Riceviamo e pubblichiamo da “DocD”, medico di pronto soccorso di un importante nosocomio pubblico italiano. Buona lettura
Alcuni anni fa, all’epoca del Governo Renzi, in una serie di rapporti e/o
di interventi promossi dall’Ania (acronimo di Associazione Nazionale per le
Imprese Assicuratrici) e dal Censis, si evidenziava come il comparto della
sanità in Italia fosse un potenziale mercato multimiliardario, sottosfruttato,
per esempio, dal ramo assicurazioni in quanto a copertura delle spese sostenute
dai cittadini italiani nel sistema sanitario privato (1). Quei rilievi e/o
moniti ebbero scarsa risonanza nel mainstream e, comunque, furono condannati da
più parti rimarcando come, la privatizzazione del Servizio Sanitario Nazionale
(SSN), sarebbe stato il più grande suicidio politico per chiunque avesse anche
solo pensato di intestarsela.
Allora, come si risolve la questione? Si rinuncia alla grana? Giammai!!! Si
tratterebbe di convincere i cittadini che l’SSN sia una spesa superflua,
dannosa, inutile, che sia solo sperpero di denaro.
Il problema è che tutti noi siamo stati male almeno una volta nella vita,
con patologie più o meno gravi, e abbiamo effettuato anche solo un banale
accesso in Pronto Soccorso (PS), per cui risulta difficile convincere che si
possa fare a meno di tutto ciò.
Come approdare, quindi, nella configurazione in cui siano gli stessi
cittadini ad invocare la privatizzazione dell’SSN? Semplice! Basta renderlo
talmente disfunzionale, insufficiente, povero di risorse ed operatori che
apparirà un tale carrozzone inutile e pericoloso da costringere tutti a recarsi
comunque in privato per ottenere le “cure del caso”. Questo processo è ormai in
moto da anni, provocato ad arte da mancate assunzioni, da pensionamenti non
sostituiti, da chiusure di servizi territoriali (i punti nascita, le urologie
decentrate, ecc.) che si giustificano invocando, o l’assenza di personale
qualificato, o volumi di lavoro esigui in periferia, di modo che tutto possa
rimanere tale.
Sempre più spesso i cittadini sono costretti a muoversi lontano da casa, ad
andare in ospedali maggiori, quando non a fissare appuntamenti in giro per la
ragione onde non aspettare mesi. Inoltre, questo sistema sradica il paziente
dal territorio ed impedisce un rapporto medico specialista-paziente nel tempo,
spingendo così, chi può, a rivolgersi al privato, anche solo per essere visto
sempre dalla stessa persona. Chi ha potuto, e può tutt’ora, si rivolge al privato,
convenzionato o meno che sia, per ottenere prestazioni singole (risonanze
magnetiche, visite specialistiche, tac, endoscopia, ecc.) che pagherà di tasca
propria o stipulando assicurazioni mediche più o meno legate al contratto di
lavoro.
Tuttavia, queste storture indotte non sono state sufficienti per far
collassare il sistema, pertanto si è rilanciato oltre, si è escogitato qualcosa
di più subdolo, come trovare il modo di far demordere gli operatori sanitari
stessi calcandogli la mano. Si è evitato di aggiornare gli stipendi, reso
aleatorio lo sblocco di carriera, così come si è praticamente tagliata la
valorizzazione delle performance, con valutazioni fittizie o riguardanti
briciole dello stipendio. Non è mancato neanche il blocco dell’intramoenia (i.e.
attività privata intraospedaliera) per alcune categorie di specialisti
(rianimatori, medici di pronto soccorso, ecc.).
Inoltre, contribuisce all’avvelenamento della situazione il tasso di
litigiosità che si lascia dilagare per vie legali, senza freno. È bene
ricordare che, sebbene negli ultimi anni sia stato invertito l’onere della
prova, non essendo più il medico a dover provare di aver agito bene, ma il
querelante a dover dimostrare il dolo, ciò vale solo per le cause civili.
Perché in ambito penale, unici in questo insieme a Polonia e Messico (2), si
mietono vittime di continuo, con costi elevatissimi per il medico, anche solo
per la difesa in tribunale, che le polizze di tutela legale non sempre coprono
integralmente e che, in caso di assoluzione, non consentono alcun indennizzo
statale.
Ma, a tutto questo, la categoria ha retto fermamente, perché esisteva
un’assurda regola che vincolava il dipendente SSN al sistema stesso fino alla
pazzia. Infatti, si richiedeva, per la maturazione di anzianità e scatti di
stipendio, la continuità di lavoro nell’SSN. Di per sé, tale principio può
apparire corretto, ma negli anni ha portato ad impensabili storture. Per
esempio, se un professionista, nel semplice trasferirsi da una ASL ad un’altra,
per avvicinarsi a casa o per qualsiasi altro motivo, perdeva anche solo un
giorno di continuità del contratto, si vedeva privato per sempre di stipendio,
anzianità di servizio e possibilità di carriera.
Ovviamente, ciò appare insensato, cosicché l’ultima revisione del contratto
nazionale di lavoro (2016-2018), approvato nel 2019, ha previsto di correggere
tali aberrazioni disponendo però, non una discontinuità di 1 o 2 mesi, bensì di
ben 5 anni, aprendo in tal modo le porte alla fuga nel privato dei medici
dell’SSN. Fuga che si è materializzata con le folli cifre pagate per il covid
da enti privati, a fronte dell’assenza di alcun aumento di bonus o di
sostanziale vantaggio per chi rimaneva nell’SSN, in condizioni via via
peggiori. Ad onor di cronaca, solo con il decreto bollette dell’ultimo Governo
si è potuto arginare questa pratica (3), ma solo rivolta a chi lascia l’SSN per
le cooperative, con un divieto assoluto e permanente di rientro nell’SSN, la cui
efficacia e costituzionalità sarei curioso di testare dinnanzi ad un giudice.
Allo stato attuale delle cose, i servizi di emergenza sono vuoti, molti si
sono licenziati rientrando con le cooperative e guadagnando cifre
precedentemente impensabili, ma con la conseguenza inevitabile di un
peggioramento della qualità del servizio per turni effettuati, stanchezza e
scarsa conoscenza delle organizzazioni interne dei singoli ospedali. A chi è
fuori da questa realtà può sembrare demenziale, ma due ospedali relativamente
vicini, ma afferenti a due ASL diverse, hanno ambulatori, percorsi interni e
divisioni dei compiti completamente differenti, che, se non conosciuti, possono
peggiorare radicalmente le prestazioni.
Inoltre, i criteri per essere assunti in PS, o per poterci “semplicemente
lavorare”, sono assai diversi. Ad un non specialista semplicemente laureato, è
consentito di lavorare in un PS tramite cooperativa o alcuni bandi dell’ASL, ma
non potrebbe essere assunto in quello stesso ruolo per mancanza di requisiti
fondamentali. Ovviamente, credo che ciò appaia folle tanto a me quanto al
lettore!
E, quindi, avremo strutture fatiscenti, pochi medici nel pubblico, per
giunta di qualità inferiore e sconnessi dalla realtà locale. Con tali
presupposti, quanto tempo dovrà passare prima che il sistema collassi, e che ci
si senta obbligati dai fatti ad andare nel privato con l’assicurazione? Quando
quel giorno avverrà, il popolo chiederà a gran voce di risparmiare i soldi
delle tasse buttati per questo carrozzone. I politici, loro malgrado, li
accontenteranno ed il giorno dopo aumenteranno di 10 volte i premi delle
polizze sanitarie, la marchetta sarà pagata, alla lunga l’aspettativa di vita
diminuirà ed i politici, come moderni Ponzio Pilato, potranno svicolare
dicendo: “avete scelto voi la chiusura ed io vi ho accontentati!”.
NOTE
(1) Per un’analisi di quei rapporti e/o
interventi, vedi Francesco Carraro e Massimo Quezel, Salute S.p.A. La
sanità svenduta alle assicurazioni. Il racconto di due insider, Milano,
Chiarelettere, 2018, in particolare i paragrafi Una prateria tutta da
conquistare e Game over.
(3) Si tratta dell’art.10, comma 6,
inserito nel DL n. 34 del 30 marzo 2023, successivamente convertito in legge il
26 maggio.
Nessun commento:
Posta un commento