giovedì 31 agosto 2023

Come lavora la propaganda per l'uscita dell’Italia dalla Via della Seta - Eusebio Filopatro

 

Riceviamo e volentieri rilanciamo un articolo di Eusebio Filopatro, vittima della solita aggressione dei media "liberi" per una sua riflessione pubblicata sul Global Times.


“Sogno un mondo dove gli scrittori, obbligati dalla legge, devono tenere segreta la loro identità e usare uno pseudonimo.” Così il compianto Milan Kundera ne L’arte del romanzo.

In quelle pagine, Kundera parlava soprattutto dei romanzieri, e la sua preoccupazione era evitare lo stridulo ed egotistico ritornello: “come scrivo nel mio libro…” Kundera notava che, giunti al compiaciuto “mio libro” la voce scarta di un’ottava.

Ci sono però altre ragioni valide, e ben più politiche, dietro alla scelta dell’anonimato, o dello pseudonimo.

Ad esempio, l’Economist pubblica tutti gli articoli anonimamente, con poche e specifiche eccezioni, dalla sua fondazione nel 1843, ovvero da 180 anni. Uno dei suoi editori (1938-1956), Geoffrey Crowther, così giustificava questa linea: il giornalista “non è il padrone ma il servitore di qualcosa di gran lunga più grande di sé stesso… [l’anonimato] concede allo scritto un sorprendente slancio di pensiero e di principio”. Più succintamente, come scrive – anonimamente – l’Economist: “ciò che si scrive conta più di chi lo scrive”.

Allora vien da chiedersi: perché l’anonimato del mio articolo sull’uscita dell’Italia dalla Via della Seta ha attratto le critiche degli “esperti di propaganda”?

Logicamente, se l’intento è quello di identificare e screditare le fake news e promuovere la libertà di pensiero e dibattito, l’attacco è assurdo, e diametralmente controproducente.

Gli effetti di questo degrado nel dibattito pubblico sono tanto gravi quanto evidenti. Da un lato disturbando il lavoro di chi ricerca, riflette, e dibatte, e riservando il campo ai plaudenti “esperti di propaganda”, i decisori si privano dei necessari riscontri critici per correggere errori potenzialmente disastrosi. Come dire, se copro lo specchio perché ingeneroso finirà che prima o poi esco di casa con qualcosa di ridicolo indosso. Dall’altro, sempre più persone si renderanno gradualmente conto che la narrazione è monofonica, e alla lunga gli esclusi, gli emarginati, e poi molti altri si domanderanno se davvero la nostra società sia sincera nel proclamare determinati valori, oltre che più pluralista e migliore di altre.

Chiedersi “chi si nasconde dietro a Eusebio Filopatro” è invece perfettamente razionale se chi pone la domanda ha altri ed opposti obiettivi.

Anzitutto, il Global Times stampa quotidianamente 2 milioni e 600 mila copie, le sue pagine sono viste da 8 milioni di utenti al giorno, e i suoi social media contano qualcosa come 100 milioni di followers. Non esattamente i numeri di Formiche, con ogni rispetto per una pubblicazione che talvolta leggo anch’io. Insomma, accusare chi vi scrive, sia pure sotto pseudonimo, di “nascondersi”, appare ad un esame obiettivo abbastanza ridicolo, ma perfettamente comprensibile quale tentativo di screditarne le idee. In realtà chi si “nasconde” sta zitto, o pubblica di comodo là dove conviene farlo, o per un pubblico selezionato.

Dunque un chiaro intento è quello di screditare l’articolo e l’autore, accusato di “nascondersi”. Che poi qualche ingenuo lettore possa non rendersi conto che tutti i maggiori giornali pubblicano pezzi anonimi e pseudonimi alla bisogna, è solo un indice del degrado del dibattito critico sulla stampa occidentale.

Un obiettivo ancora più evidente, almeno per chi scrive, è quello di intimidire. “Ci interessa sapere chi sei”. Naturale preludio all’allusione: “lo sappiamo già. E se ci pare veniamo pure a prenderti”.

Dopo quanto abbiamo letto sull’NSA, grazie a Edward Snowden e compagni, e avendo davanti agli occhi l’integrazione crescente tra apparati di “informazione” e di stampa, servizi segreti, interessi politici, industriali e personali, sembra ragionevole supporre che, quando i mentori della politica estera di Giorgia Meloni si domandano su Twitter chi io sia, essi in realtà già lo sappiano, o possano perlomeno scoprirlo agevolmente.

Sulla base dei principi che l’occidente indica come moralmente e legalmente imprescindibili, dovrei comunque dormire sonni tranquilli. Neanche un secolo fa, il premio Nobel George Bernard Shaw viveva apprezzato e indisturbato nonostante la sua sperticata e pubblica ammirazione per Stalin. E questo in piena Guerra Fredda.

Sulla base dell’attualità, però, pare che persone indubbiamente competenti come Alessandro Orsini o Elena Basile non possano divulgare delle importanti ovvietà sul conflitto russo-ucraino senza che qualche esaltato con la schiuma alla bocca li additi come traditori. O perlomeno arriva qualche “moderato” che invita a trasferirsi in Siberia: “Ma non si tratta di un insulto, è piuttosto un buon consiglio da amico”, chiosano, come Herr Pompetzki. Insomma, meglio non essere troppo ottimisti.

Quindi questo messaggio intimidatorio verso un anonimo, cioè verso chiunque proponga un’opinione politica divergente, è un’altra delle possibili spiegazioni dell’altrimenti futile domanda “chi si nasconde dietro Eusebio Filopatro”. Non tralasciamo poi l’usuale morbosità giornalistica verso le vite degli altri.

C’è altro? Forse sì.

Non rinnovare il memorandum d’intesa tra Italia e Cina è una decisione cruciale per il futuro economico e politico del nostro paese, sia che essa sia stata presa a Washington o a Roma. Sottrarla non solo al dibattito parlamentare, ma addirittura all’opinione pubblica, appare pertanto corrispondentemente grave. Alla luce di un tale orientamento, è perlomeno lecito chiedersi se mettendo nel mirino la persona non vi sia anche l’intenzione di distrarre dai fatti e dalle questioni sollevati nell’articolo, e che qui riassumo a favore dei lettori e dei nostri decisori politici, nel caso questi vogliano finalmente chiarire:

1) Dopo 11 pacchetti di sanzioni sostanziali, l’economia russa cresce più di Gran Bretagna e Germania, e questo a detta del Fondo Monetario Internazionale (che risiede a Washington). Non vi sono nemmeno segni di cedimenti sul campo, o più generalmente militari. Quali sarebbero allora gli obiettivi concreti del rapsodico “de-risking” o “de-coupling” che si è scelto di perseguire, soprattutto considerato che l’economia cinese è circa dieci volte più voluminosa di quella russa, che dal 2008-9 la Cina è il maggior partner commerciale per più della metà dei paesi del mondo, e che secondo lo stesso Fondo Monetario Internazionale la Cina guiderà la crescita mondiale almeno per i prossimi 5 anni con un tasso doppio degli Stati Uniti? Quali sono i costi che verranno prevedibilmente sostenuti dall’economia italiana a causa di questa “scelta”?

2) Tradizionalmente, la politica estera italiana, imperniata sull’appartenenza occidentale e atlantica, si è articolata in una discreta apertura a relazioni di vario tipo con paesi diversi, inclusi alcuni che durante la Guerra Fredda erano considerati nemici. La “diplomazia del petrolio” di Enrico Mattei, per il quale recentemente la stessa Giorgia Meloni ha profuso parole d’omaggio; le fabbriche FIAT nella città sovietica di Togliatti; il “Lodo Moro” e la relativa sicurezza nazionale che esso assicurò, assieme a discrete relazioni coi paesi arabi; i rapporti stabili con la Libia: tutto questo ha senso solo in una prospettiva di relativa discrezionalità in politica estera. Quali sono quindi le giustificazioni ideali e materiali che spingerebbero ora a volgersi quasi esclusivamente al blocco occidentale, e in particolare agli Stati Uniti? Sinora la Cina era infatti l’unico paese extraeuropeo tra i primi dieci partner commerciali dell’Italia, ad eccezione degli stessi USA.

Quanto agli “esperti di propaganda”, qualche domanda ancora più semplice:

1) Perché la pubblicazione anonima e pseudonima dovrebbe essere esclusiva della stampa occidentale?

2) Cos’è che renderebbe il mio articolo, come è stato sbrigativamente derubricato, “propaganda”?

3) Tra i dati e i fatti riportati nello stesso articolo, c’è forse qualche errore da correggere a beneficio dell’opinione pubblica?

Milan Kundera, convocato in commissariato il 12 agosto del 1974, ascoltò dall’agente Platenik una sola domanda, di un genere affatto diverso: "Perché alle 9.27 del primo giugno ha scartato una caramella alla ciliegia sotto il terzo castagno del secondo cortile interno del Clementinum?".

L’indagine arbitraria sulla sfera personale è di per sé una pratica intimidatoria e potenzialmente violenta, e contraria ai principi di libertà di opinione e di dibattito. Nel momento in cui viene propagandato che per tali valori vale la pena sacrificare le vite degli altri rasentando conflitti mondiali, sarebbe apprezzabile mantenere un minimo di coerenza.

da qui

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