Pubblichiamo questo stimolante contributo di Anselm Jappe, una riflessione su Internet, sulla iper-invasiva tecnologia cellulare e sul loro utilizzo da parte dei movimenti e comunque di coloro che vorrebbero opporsi al sistema. La digitalizzazione del mondo apre nuovi orizzonti e nuove possibilità, come recita anche il mantra neoliberale, oppure al contrario rappresenta solo l’ennesima stretta alle nostre catene, la tracciabilità permanente e il controllo ossessivo sulle nostre azioni e finanche sui nostri pensieri – senza considerare gli innumerevoli danni per l’ambiente? Questioni che non sono di lana caprina, e che meriterebbero un dibattito più approfondito rispetto a quello esistente. La provocazione di Jappe ci aiuta a fare qualche passo in questa direzione.
Ps: originariamente questo articolo è stato scritto in francese (titolo
originale: Ecologistes ou hyperconnectés?). Inizialmente proposto
al sito Reporterre, che lo ha rifiutato con
pretesti formali, uscirà a breve sulla rivista La Decroissance. La versione italiana, che qui
presentiamo, è stata leggermente ritoccata d’accordo con l’autore.
* * * *
Ecologisti o iperconnessi?
Nei raduni ecologisti piccoli e grandi del mondo intero si può spesso
assistere a questo strano rituale: quando si tratta di parlare di questioni
organizzative, dove si possono anche trattare temi che richiedono discrezione,
si è invitati a lasciare il proprio cellulare su un tavolo, a qualche metro di
distanza dalla riunione. Dopodiché, i militanti si avvicinano gli uni agli
altri il più possibile per scambiarsi informazioni quasi sottovoce. Si sa che
gli smartphone possono funzionare in due direzioni e, all’insaputa dei loro
proprietari, trasmettere informazioni verso orecchie indiscrete.
I militanti se ne privano allora per un quarto d’ora – senza dubbio
inutilmente, visto che esistono dispositivi Spyware in grado di ascoltare a
distanza (senza contare che, con ogni probabilità, ci sono informatori fra gli
attivisti – ma questo è un altro argomento di cui si parla raramente nel
movimento).
Questo rituale rappresenta un compromesso un po’ imbarazzante: sappiamo
perfettamente che si dovrebbe riuscire a non rimanere connessi in modo
permanente, ma ci riusciamo solo di tanto in tanto, per un quarto d’ora, e per
ragioni di «sicurezza» – che fanno anche un po’ sorridere per via di certi modi
da «boy scout». Ma le persone con una sensibilità ecologica dovrebbero, più di
tutte le altre, diffidare del mondo digitale, e ridurne il più possibile
l’utilizzo.
A rischio di ripetere argomenti che ogni ecologista dovrebbe conoscere a
memoria, e diffondere, bisogna rammentare qui qualche «banalità di base»:
L’uso di Internet causa un grande consumo di energia (soprattutto fossile):
attualmente, a livello mondiale, incide per il 15%, ma è in forte crescita, e
fra pochi anni sarà molto maggiore.1 Il suo contributo al «riscaldamento globale» è ben noto. Le reti
saranno pure «immateriali», ma si basano comunque su strutture molto materiali,
come i data center, i cavi, i computer, i telefoni. Presentare la
«transizione» verso un uso sempre maggiore di questi dispositivi come una
soluzione «ecologica» è una illusione o un imbroglio, così come quando si
propone – nello stile dei Verdi tedeschi al governo – di ricorrere quanto più
possibile allo smart working, arrivando persino a felicitarsi del
fatto che la pandemia del Covid abbia fortemente contribuito a far crescere
questa modalità di lavoro. Si dimentica, qui, che Internet e i cellulari
esistono solo grazie all’estrazione di materie prime, alla loro fabbricazione e
ad una gestione dei rifiuti che si svolgono immancabilmente, in condizioni
spaventose, nel sud del mondo. Ma le stesse persone che bevono solo caffè, e
indossano camicie che provengono dal commercio «ecosolidale», si mostrano in
genere poco sensibili di fronte a certi argomenti, forse perché sanno che da
quelle parti troveranno ben pochi prodotti «equi e sostenibili» e dovrebbero allora
farne a meno del tutto, se fossero coerenti.
Ricordiamo, di passaggio, che le onde elettromagnetiche hanno gravi
conseguenze sulla salute, e come oramai non si sia più al riparo da nessuna
parte dalle loro radiazioni.
In secondo luogo, la sensibilità ecologica si accompagna, generalmente, ad
una certa attenzione verso le libertà pubbliche e private (anche se, in certi
ambienti, è forte la tentazione di proporre metodi autoritari per risolvere,
almeno parzialmente, la crisi ecologica, che si tratti di smart cities,
attraverso un monitoraggio capillare dei comportamenti della popolazione, o di
vere e proprie «eco-dittature»). Non dovrebbe essere necessario, allora,
ricordare che niente oggigiorno minaccia le libertà di ognuno quanto la
possibilità di tracciare parole e movimenti di una persona attraverso un
qualche dispositivo «connesso», si tratti del telefono o della carta di
credito, del consumo di elettricità (contatore «Linky»)2 o di una serie TV, del biglietto del treno, anche se acquistato ad un
distributore automatico, oppure delle compere al supermercato. Stiamo già
sperimentando un grado di sorveglianza che oltrepassa sotto molti aspetti
quello descritto da Orwell nel suo 1984, dove era ancora possibile
spostarci fuori dallo sguardo dello schermo. E considerando che all’interno di
questo ambito tutto quello che si può fare viene effettivamente fatto, si può
stare sicuri che sistemi di sorveglianza quali quelli già operativi in Cina,
incluso il riconoscimento facciale (se ne vedrà delle belle ai prossimi giochi
olimpici nel 2024 a Parigi …), saranno ben presto normali anche in Europa.
Stiamo subendo, a tutti i livelli, una pressione permanente per farci vivere
solo nel mondo digitale – chi non ha il cellulare, praticamente non può vivere.
Per il capitale e lo Stato la digitalizzazione totale costituisce chiaramente
una priorità assoluta, e niente deve sfuggirle: e ciò costituisce una ragione
sufficiente per opporvisi.
Inoltre, ecologia significa difesa della natura a fronte delle aggressioni
tecnologiche – dunque, critica dell’artificializzazione sempre crescente
dell’esistenza. Impossibile non notare che più diventiamo digitali, meno ci
rapportiamo direttamente agli altri esseri umani o alla natura.
Sono tutte cose arci-note. Se le si rammenta ad un qualsiasi militante
ecologista, le ammetterà senza problemi. Ma passare alla pratica, è tutto un
altro par di maniche. Spesso si sottolinea quanto le ragioni addotte, sia
dall’uomo comune quanto dal potere, per dichiarare impossibile qualsiasi
cambiamento rapido (uscire dall’automobilismo, abolire i pesticidi, diminuire
il consumo di carne, farla finita con la caccia, vietare i nitriti, ridurre
drasticamente il traffico aereo etc.) siano false e siano, nel migliore dei
casi, determinate dalla pigrizia, se non dal sabotaggio e dalla volontà che
niente cambi. Ma gli stessi ecologisti, da cui provengono queste giuste
critiche, affermano sbrigativamente come il web faciliti l’organizzazione della
vita militante e la diffusione delle informazioni, tanto che è impensabile
poterne fare a meno. È un argomento, questo, che irrita i più, i quali
preferiscono deviare velocemente la discussione su altri temi. Un solo aspetto
riesce a catturare l’attenzione: il timore di venire intercettati. Ma la
soluzione tecnologica è pronta all’uso: le applicazioni «ultra-sicure», perché
criptate «end-to-end». Ogni militante deve diventarne esperto, e giurare
sull’affidabilità di Protonmail, Telegram o Signal. Peccato che Protonmail
abbia trasmesso delle informazioni su alcuni attivisti per il clima alla
polizia nel 2021 (Numerama, 6/9/21). È poi assolutamente certo che la
polizia può obbligare qualsiasi provider a fornire tutti i
dati quando la «sicurezza» è in gioco (per esempio, per l’«ecoterrorismo»!).3 Ed è altrettanto sicuro che la polizia può tenere sotto controllo,
legalmente o meno, qualsiasi mezzo di comunicazione. È infantile credere che si
possa comunicare sulle reti digitali in modo assolutamente sicuro.
Esistono, con ogni probabilità, modi più sicuri per far circolare
informazioni che non devono arrivare alle orecchie delle forze dell’ordine. Per
esempio, il vecchio servizio postale. Ma tutto questo costa tempo e fatica, e
l’attivista, come tutti oggi, come anche l’uomo medio che elogia il treno ma
poi finisce per prendere l’auto, prende sempre la via più facile.
Effettivamente, al punto in cui siamo arrivati, sembra sia diventato quasi
impossibile fare a meno da un momento all’altro dello smartphone, così come
dell’auto o del conto in banca. Ma non sarebbe necessario cominciare almeno a
discuterne, e soprattutto inaugurare qualche «buona pratica»? Perché affiggere
ovunque, in un «campo sul clima», dei QR code con il
programma, invece di stamparlo? Perché distribuire i materiali della campagna
«non paghiamo l’energia fossile» (Ultima generazione), ancora con
un QR code, simbolo della digitalizzazione totale del mondo e delle
sue conseguenze per l’ambiente, soprattutto in termini di consumo di fossili?
Era impossibile raggiungere la manifestazione di Sainte-Soline4 senza lo smartphone. Per arrivarci senza un'auto propria, era
necessario iscriversi ad un sito con tanto di password, proprio come su blablacar.
Successivamente, per sapere dove andare, si era invitati a iscriversi su
Telegram, e via di seguito. Chi non vuole adattarsi a queste regole,
rappresenta un fastidio per gli altri, e viene considerato, almeno tacitamente,
come reazionario, vecchio, inadatto, un rottame del passato. Proprio come nel
resto della società. Diventa impossibile consultare il proprio conto in banca,
acquistare un biglietto del treno, andare al museo. O andare ad una
manifestazione.
Una proposta pratica: negli incontri e nelle azioni ecologiste, il cibo è
sempre vegano, anche se non tutti gli attivisti lo sono. Perché allora non
dichiarare questi incontri anche «internet-free», utilizzando i dispositivi
tecnici esistenti per bloccare la rete entro un certo perimetro? Già solo
restare sconnessi qualche ora, meglio qualche giorno, potrebbe favorire la
disintossicazione e la presa di coscienza…
Ci sono comunque poche possibilità che una proposta del genere passi. Di
fatto, una delle caratteristiche dell’eco-attivismo è la ricerca dell’unanimità
e provare ad evitare conflitti interni («già siamo pochi…»). Rinunciare alla
connessione, fosse pure per poco tempo, sembrerebbe troppo duro per molti.
Forse si scoprirebbe, allora, che la FOMO (Fear of missing out, «paura
di essere esclusi») è ancora più forte dell’«eco-ansia». Dietro la questione
dell’utilizzo della rete, si profila una possibile spaccatura nel campo
ecologista: fra coloro che pensano che per evitare la catastrofe ecologica sia
necessaria una forte riduzione dell’uso delle tecnologie e la ricostituzione di
pratiche autonome, e coloro i quali credono, anche senza dirlo apertamente, che
sia inevitabile fare ricorso alle tecnologie esistenti, e persino a quelle che
devono ancora essere sviluppate, dallo smart working alla
geo-ingegneria, dagli algoritmi per la gestione dei rifiuti e del traffico alla
carne sintetica, dall’auto elettrica all’isolamento termico con polistirene,
dall’eolico ai biocarburanti…
(traduzione dal francese di Massimo
Maggini)
Note:
1. “Se Internet fosse un Paese, sarebbe il terzo consumatore di elettricità
al mondo, con 1.500 TWH all’anno, dopo Cina e Stati Uniti. In totale, il
settore digitale consuma dal 10 al 15% dell’elettricità mondiale, l’equivalente
di 100 reattori nucleari. E questo consumo raddoppia ogni 4 anni! Secondo il
ricercatore Gerhard Fettweis, entro il 2030 l’elettricità consumata dal web
sarà pari al consumo globale del 2008. Nel prossimo futuro, Internet diventerà
la più grande fonte di inquinamento del mondo. […] In termini di emissioni di
CO2, Internet inquina 1,5 volte di più del trasporto aereo. La metà dei gas
serra prodotti da Internet proviene dall’utente, l’altra metà è suddivisa tra
la rete e i centri dati” (https://www.fournisseur-energie.com/internet-plus-gros-pollueur-de-planete/, 26. 7. 2023, sito
non ecologista, ma che dà “consigli ai consumatori”).
2. Si tratta di un contatore di nuova generazione, cosiddetto «intelligente»
perché sembra permetta una gestione più efficiente del consumo di elettricità.
È stato sin da subito oggetto di controversia, soprattutto per gli elevati
campi elettromagnetici che produce e per il mancato rispetto della famosa
«privacy». Introdotto inizialmente in Francia, adesso sta diventando di uso
comune anche in Italia.
3. Un esempio di quanto i dati sensibili di ognuno, specie se «antagonista»
al sistema, siano ben poco protetti, è sicuramente il celebre episodio che
coinvolse, nel 2004, il provider Aruba e il sito antagonista inventati.org.,
che portò all’arresto di alcuni anarchici – tanto per cambiare. Aruba, su
richiesta della polizia postale, dette le chiavi per accedere alle caselle
postali dei collettivi, mettendola in grado di monitorare quotidianamente i
loro scambi di mail. Per chi volesse approfondire, può essere utile
visitare questa pagina proprio del sito in questione, o
la pagina di Wikinews che riassume i
fatti.
4. Nei pressi di Sainte-Soline, piccolo villaggio francese che si trova nel
dipartimento delle Deux-Sèvres nella regione della Nuova Aquitania, è prevista
la costruzione di maga-bacini che dovrebbero contenere enormi quantità di acqua
da utilizzare per le coltivazioni intensive. Questo progetto, devastante da un
punto di vista ambientale e legato all’agro-business, ha suscitato grandi
proteste, e diverse manifestazioni, la più famosa delle quali si è svolta il 25
di marzo del 2023. In quel caso, la violenta risposta delle forze dell’ordine
causò più di 200 feriti fra i manifestanti, alcuni dei quali gravi, e molti arresti.
Per saperne di più, cf https://www.globalproject.info/it/mondi/francia-sainte-soline-e-la-violenza-di-stato-una-nuova-strategia-repressiva-allorizzonte/24414
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