Assalto all’ambasciata francese in Niger dopo
il colpo di Stato, ma eravamo stati avvertiti – Il 26 maggio 2011 il
presidente nigerino Mahamadou Issofou ora deposto, è stato l’unico a dire ai
leader occidentali che l’intervento in Libia avrebbe trasformato il Paese in
un’altra Somalia offrendola al caos e all’islamismo radicale. Aveva
ragione lui e torto Stati Uniti, Nato ed Europa, anche se con responsabilità
diverse.
Il nigeriano preveggente
Mohamed Bazoum, il
presidente del Niger rimosso
il 27 luglio da un golpe militare, in una intervista con Analisi Difesa nel
2014. «Noi valutiamo la guerra
libica una minaccia per il nostro Paese e per la regione che si prolungherà
negli anni a venire… Avevamo messo in guardia l’Occidente dal distruggere lo
Stato libico… L’Unione Africana aveva proposto una soluzione che facesse uscire
di scena Gheddafi preservando lo Stato e l’unità nazionale ma non siamo stati
ascoltati anche se l’Italia ci è sembrata più sensibile a questa proposta».
«Nove anni dopo anche Bazoum è stato
travolto dall’ondata di destabilizzazione, in gran parte di matrice islamista,
generata da quella sciagurata guerra con cui Occidente e NATO hanno gettato
l’intero Sahel nel caos minando anche gli interessi dell’Italia e dell’Europa».
Il Sahel ora anti occidentale
«L’errore compiuto nel 2011 e la successiva incapacità occidentale di
sanare i guai combinati e nel stroncare le insurrezioni islamiste –denuncia Gianandrea Gaiani–, ci viene fatto pagare oggi con la
progressiva instaurazione in Africa sub sahariana di governi e giunte militari
che guardano con sospetto e ostilità all’Occidente, orientate a puntare sui
BRICS, in particolare su Russia e Cina, per garantirsi sviluppo e sicurezza».
Uno scenario simile a quello che si registra nel mondo arabo, soprattutto tra
le monarchie del Golfo, con il distacco dagli USA protagonisti del fallito
sostegno alle cosiddette ‘primavere arabe’ contro i regimi arabi sempre
fortemente autoritari ma allora amici dell’Occidente.
Il generale Tchiani e Salifou Mody
Il 28 luglio
il generale Abdourahamane Tchiani,
capo della Guardia Presidenziale, è stato proclamato nuovo leader del Niger.
Contro Bazoum, l’accusa sul fronte sicurezza e della cattiva gestione economica
e sociale: «un mucchio di
morti, sfollati, umiliazioni e frustrazioni senza risultati». E
subito l’appello d’aiuto alle forze straniere presenti in Niger (1.500 militari
francesi, 1.100 statunitensi e oltre 300 italiani).
Ai vertici del comitato golpista, Salifou
Mody, ex capo di stato maggiore della Difesa rimosso dal presidente Bazoum
nell’aprile scorso dopo una visita nel marzo scorso in Mali, retto da una
giunta militare che ha allontanato dal paese le forze francesi, della Ue e
dell’ONU ottenendo aiuti militari dalla Russia (armi, consiglieri militari e
contractors del Gruppo Wagner) per combattere l’insurrezione jihadista.
Burkina Faso, Mali, Niger e la minaccia islamista
Il Niger
condivide col Burkina Faso,
e Mali le difficoltà
nella repressione degli jihadisti legati ad al-Qaeda (Gruppo per il Sostegno dell’Islam e dei Musulmani),
e quelli fedeli allo Stato
Islamico nel Grande Sahara. Il Niger è stato finora il bastione della
presenza militare occidentale nel Sahel a contrasto dei movimenti jihadisti
ricevendo forniture militari italiane, europee, francesi, statunitensi,
egiziane e turche. Ma anni di presenza militare occidentale non hanno sconfitto
il jihadismo e non è un caso che siano state le élite militari a rovesciare i
governi in Mali, Burkina Faso e Niger.
Reazioni internazionali
La Francia ha annunciato la
sospensione degli aiuti allo sviluppo al Niger: 120 milioni di euro lo scorso
anno. L’Unione Europea insegue
con l’immediata sospensione del budget per gli aiuti e la cooperazione nella
sicurezza. L’Unione Africana ha
dato 15 giorni di tempo ai golpisti perché ripristinino l’ordine costituzionale
nel paese.
«Qualsiasi intervento militare
esterno, di qualsiasi provenienza, rischierebbe di avere conseguenze disastrose
e incontrollabili per le nostre popolazioni e di seminare il caos nel nostro
Paese», avverte lo Stato maggiore. «Il nostro Paese è ancora afflitto dall’insicurezza imposta dai gruppi
armati terroristici e da altri gruppi di criminalità organizzata e invita tutte
le Forze di difesa e sicurezza a rimanere concentrate sulle loro missioni».
Flop dell’intelligence, ennesima sconfitta francese
L’aspetto
più incredibile del golpe è l’ignavia dei servizi segreti occidentali con
stretti rapporti con i comandi militari che non abbiano previsto né avuto
sentore del ‘pronunciamiento’. Neppure la DGSE e l’intelligence militare francese che a Niamey sono di casa.
Per la Francia la perdita del controllo sul Niger segue l’espulsione dei propri
militari e dei propri interessi da Mali, Burkina Faso e Repubblica Centrafricana (a
vantaggio della Russia). Molto peggio, il Niger fornisce a Parigi a prezzi
contenutissimi circa il 30 per cento dell’uranio utilizzato per alimentare le
centrali nucleari. Uranio che fino al 2014 la Francia ha prelevato
gratuitamente.
La mano di Mosca?
A Niamey,
dallo scorso settembre, è apparso il Movimento62, che si propone di cacciare i francesi e le altre truppe
straniere dal paese. In piazza bandiera russe e cartelli con scritto «abbasso la Francia» -le
scene di ieri e oggi-, riportava Biloslavo sul Giornale. Ma per il momento non
ci sono elementi a sostegno del ruolo di Mosca, sostiene il Washington Post. Solo le dichiarazioni
del capo della Wagner, Prigozhin. «Quello che è successo in Niger è una lotta del popolo contro i
colonizzatori che hanno imposto le loro regole di vita, e li tengono in una
condizione che era nell’Africa di centinaia di anni fa».
La presenza italiana
L’Italia ha
300 militari in Niger ufficialmente impegnati nell’addestramento, oltre a non
specificate attenzioni ai flussi migratori illegali diretti in Libia e poi in
Italia. In tutta la cosiddetta ‘Françafrique’ sottolinea
Gaiani, «l’Italia ha avuto
molte occasioni di affermarsi come partner di riferimento per molte nazioni
africane, ma dovrebbe presentarsi come alternativa alla Francia, e non come
partner subordinato a Parigi o alla Ue». Ma non sarà così, ed ora
è Remocontro che si
azzarda a prevedere.
Perché la risposta dell’Europa e dell’Italia ai cambiamenti in Africa
sarà ancora una volta quella di sanzioni e blocco degli aiuti economici e
militari, il risultato sarà di far crescere la voglia di smarcarsi
dall’occidente di memoria coloniale e lasciare campo libero alla penetrazione
russa, turca e cinese.
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