Da quando nel 2018 l’esercito turco ha invaso, con i
suoi ascari jihadisti, il cantone di Afrin non si contano le violazioni dei
diritti umani perpetrate dalle truppe di occupazione. Nella prospettiva di un
esodo imposto agli abitanti originari da sostituire con una popolazione
filo-turca.
Che lo stupro fosse, oltre che un crimine di guerra e
contro l’umanità, anche un’arma di guerra me lo aveva spiegato in dettaglio
(come si suol dire “fuor di metafora”, di ogni possibile metafora) Bruna
Bianchi una decina di anni fa (v. l’intervista del 2013)*.
Ovviamente ci sono guerre e guerre. Quelle di cui si parla
e quelle su cui si preferisce stendere un velo (un sudario ?) poco pietoso.
Così avviene per l’occupazione di Afrin nel Nord della
Siria,avviata nel 2018 da parte dell’esercito turco con i suoi ascari
jihadisti.
Secondo quanto ha denunciato (durante una
conferenza-stampa nel campo di Serdem, a Shehba, dove si affollano decine di
migliaia di sfollati) una portavoce dell’’Organizzazione per i diritti umani di
Afrin-Siria, in questi cinque anni almeno 99 donne sono state ammazzate, 74
violentate e oltre un migliaio rapite. E almeno una decina si sarebbero
suicidate dopo aver subito maltrattamenti e umiliazioni.
Non esisterebbero invece al momento dati attendibili
sulla pratica alquanto diffusa dei “matrimoni” forzati.
Ovviamente si tratta di numeri in difetto, quelli
accertati.
Per un portavoce di Kongra Star potrebbe trattarsi
solamente del 10% dei crimini effettivamente avvenuti.
Un quadro generale alquanto fosco alimentato, oltre da
stupri e rapimenti, anche da torture e aggressioni sessuali di ogni genere, sia
contro le donne in generale che contro i minori.
Di gran parte delle migliaia di donne sequestrate,
rapite (di fatto “desaparecidas”, scomparse)non si conosce quale sia
stato il destino.
In un comunicato letto da Heyhan Elî si sollecitano “tutte
le organizzazioni internazionali in difesa dei diritti umani, le organizzazioni
umanitarie femministe a compiere il loro dovere morale e legale di fronte ai
crimini commessi contro la popolazione nei territori occupati del Nord della
Siria. Gli autori di questi crimini, in particolare quelli contro le donne e i
bambini, devono essere tradotti davanti a un tribunale.
Occorre inoltre esercitare ogni possibile pressione
sullo Stato turco affinché ritiri le sue truppe dai territori occupati. Gli
sfollati devono poter rientrare in sicurezza nelle loro terree le vittime
devono poter usufruire di sostegno sia morale che materiale”.
La settimana scorsa un altro esponente
dell’organizzazione, Mihemed Ebdo, aveva denunciato come dall’inizio del 2023
le violazioni dei diritti umani si fossero ulteriormente accentuate.
“Lo Stato turco – aveva dichiarato – viola
i diritti umani nella regione commettendo crimini di ogni genere: massacri,
rapimento, stupri, saccheggi e distruzione dell’ambiente naturale”.
Complessivamente dall’inizio dell’anno i rapimenti
documentati (in totale) sarebbero stati almeno 208, tra cui 24 donne e un
minore (un tredicenne vittima di violenze sessuale).
Sempre nel 2023, tredici persone (tra cui tre donne)
sono state assassinate dalle forze occupanti. Inoltre oltre 16mila alberi sono
stati abbattuti, un altro migliaio sradicati e circa settanta ettari di terreno
dati alle fiamme.
Su tali vicende era intervenuto in questi giorni anche
Alif Muhammad, portavoce del Coordinamento del Kongra Star.
Denunciando in particolare un recente episodio,
l’azione criminale compiuta daZakaria Bustani, un esponente del – cosiddetto –
Consiglio locale del distretto di Jinderes (sempre nel cantone di Afrin sotto
occupazione). Insieme al figlio, Nasr Bustani, si sarebbe reso responsabile
dello stupro di una ragazzina di 14 anni rapita da casa sua minacciando di
morte i presenti.
Sempre in agosto, le truppe di occupazione e i
mercenari islamisti avrebbero violentato anche tre insegnanti di una scuola di
Jarablus. Invece un capo della milizia Al-Sharqiya si sarebbe “limitato” a
minacciare un cittadino di Janders di violentarne la figlia se non avesse
versato un forte riscatto.
Stando ai dati forniti dal portavoce di Kongra Star
tra luglio e agosto i mercenari filo-turchi avrebbero violentato almeno 20
donne e cinque bambini
Per non parlare del saccheggio (per poi vendere i
reperti sul mercato nero) e della pura e semplice distruzione di siti storici
come il tempio di Ishtar d’Ayn Dara, del mausoleo di Nebi Huri, della grotta di
Duderi e della tomba di Mar Maron.
Scopo apertamente dichiarato, lo stravolgimento
demografico della regione attraverso la realizzazione di colonie in cui
insediare popolazioni filo-turche.
In questa opera di“genocidio culturale” Ankara può
contare sul sostegno economico di Qatar, Kuwait, organizzazioni legate ai
Fratelli musulmani (al-Ayadi al Bayda, Kuwait al-Rahma, Binyan al-Qatari…). E
anche -spiace dirlo – di qualche organizzazione palestinese.
*nota 1: L’arma dello stupro
Intervista a Bruna Bianchi di Gianni Sartori –
02/09/2013
Alla fine di marzo 2013 l’Alto Commissariato forniva
dati inquietanti sugli stupri nei campi dei rifugiati somali (si parla del 60%
delle donne) mentre alcune Ong denunciavano l’esercito congolese per le
violenze nel nord-est della RDC (sfatando l’idea che le violenze fossero opera
solo delle milizie). Situazione sempre più drammatica anche per le donne
siriane, vittime sia dei soldati governativi che dei combattenti ribelli.
Stando alle dichiarazioni dei medici, sono in continuo aumento quelle che
arrivano negli ospedali libanesi. Ma soltanto se incinte, altrimenti lo stupro
subito rimane una “vergogna” privata. Ne abbiamo parlato con Bruna
Bianchi, docente di Storia Contemporanea (Università Cà
Foscari di Venezia).
1) D. A quasi 40 anni dalla pubblicazione di Against
our will di Susan Brownmiller che denunciava lo stupro come “arma
repressiva” nei confronti delle donne, le cose non sembrano essere cambiate. Un
suo parere…
1.
Lo stupro è
onnipresente, non solo nelle situazioni citate, tanto in pace quanto in guerra.
Le donne migranti che dal Messico cercano di attraversare illegalmente la
frontiera con gli Stati Uniti, prima di partire prendono anticoncezionali
sapendo che quasi certamente verranno violentate. Rientra nella loro condizione
in quanto donne sole o comunque in una situazione di debolezza, come quelle nei
campi profughi. In tutte le guerre civili contemporanee, il cui scopo è quello
di distruggere un’organizzazione sociale, sradicare o annientare una comunità,
gli stupri hanno raggiunto un’ampiezza e una ferocia estrema.
Le donne, soprattutto in tempo di guerra, mantengono i
legami della famiglia e della comunità e quindi occupano un posto particolare
in questa logica della distruzione. Ucciderle e degradarle si è rivelata una
strategia militare efficace per diffondere il terrore, costringerle alla fuga,
rendere impossibile il ritorno.
2) D. Cosa ha rappresentato, anche simbolicamente, lo
stupro in situazioni di conflitto come i Balcani, il Ruanda o la Repubblica
democratica del Congo?
1.
Violentare,
occupare il corpo della donna significa conquistare simbolicamente un
territorio (quindi lo stupro conquista, degrada, ripulisce lo spazio). Nei
Balcani, negli anni ’90, tutti i gruppi etnici se ne sono resi colpevoli.
L’opinione pubblica è rimasta particolarmente colpita dall’orrore dei “campi di
stupro” organizzati dai serbi con lo scopo di far nascere “piccoli cetnici” da
donne bosniache musulmane in base al pregiudizio che solo gli uomini possono
trasmettere l’etnia. Si contava sul fatto che le donne, considerate
“contaminate”, sarebbero state rifiutate dalla loro comunità e i figli
abbandonati ad un destino di marginalità. In Ruanda invece molti bambini nati
da stupro sono stati arruolati nell’esercito. Per queste ragioni oggi si parla
di stupro come crimine contro l’umanità, crimine di genere e contro l’infanzia.
In Congo il fattore determinante è il controllo delle
risorse minerarie e quindi, ancora una volta, sfruttamento del territorio. Gli
stupri esprimono volontà di terrorizzare, umiliare, imporre il senso
dell’inesorabilità di un destino di sottomissione totale e renderlo manifesto
attraverso l’umiliazione della donna, la sua disumanizzazione. Lo stupro
inoltre rafforza lo spirito di complicità maschile, esalta il potere e
l’autorità come valori inscritti nella virilità. Nella cultura dominante il
corpo femminile è una risorsa da sfruttare. Pensiamo al lavoro agricolo, svolto
nel mondo in gran parte dalle donne, al traffico di ragazze a scopo
matrimoniale, al turismo sessuale o alla prostituzione.
3) D. Sulla prostituzione, anche in ambito femminista,
non c’è sempre pieno accordo, o sbaglio?
1.
La
prostituzione è una forma estrema di sfruttamento e oppressione, un turpe
mercato alimentato da povertà e discriminazione che riduce ogni anno in
schiavitù sessuale 5milioni di donne, di cui un milione di bambine. Esse sono
inviate per lo più nei paesi occidentali dove l’accesso a prestazioni sessuali
a pagamento ha avuto una crescita esponenziale. E’ considerata una servitù
irrinunciabile, socialmente accettata e coperta dai media che riducono la
questione alle “donne sfruttate” da un lato e a “pochi sfruttatori” (quelli che
gestiscono i traffici) dall’altro. Una parte significativa della giurisprudenza
femminista considera la prostituzione come tortura in quanto l’uso del corpo
delle donne a fini di piacere rientra nei “trattamenti disumani e degradanti”.
Esistono poi altre correnti di pensiero femminista che invece parlano di sex
work, forse pensando di sottrarre le donne alla svalorizzazione.
4) D. A suo avviso è possibile tracciare una linea di
demarcazione tra i metodi adottati dagli eserciti o dalle milizie comunque
legate al potere (gruppi etnici dominanti o strumento di interessi economici) e
quelli dei “movimenti di liberazione”? Ho in mente i gruppi guerriglieri
latino-americani del secolo scorso o le milizie libertarie nella guerra civile
di Spagna che semplicemente fucilavano gli stupratori (soprattutto quando
provenivano dai loro ranghi)?
1.
Ritengo che
quando si prendono le armi sia difficile sfuggire allo spirito del militarismo.
In Guatemala, ad esempio, sia l’esercito che i gruppi paramilitari e i
guerriglieri che si resero colpevoli di stupro condividevano la stessa immagine
della donna, simbolo della terra e oggetto di appropriazione e anche di
protezione. Le donne riproducono la nazione fisicamente e simbolicamente,
incarnano la moralità di una comunità, mentre gli uomini la proteggono, la
difendono e la vendicano. Il corpo femminile è il luogo simbolico del
territorio della nazione, sia per lo stato che per i movimenti identitari,
oggetto della protezione o dell’esecrazione maschile. La concezione maschile
della vergogna e dell’onore è un nodo cruciale per comprendere le dinamiche
degli stupri di massa. Si pensi alla Partizione dell’India quando tra 75mila e
centomila donne furono violentate e rapite e molte altre furono uccise o spinte
a togliersi la vita dai propri famigliari per non essere stuprate dagli uomini
dell’altro gruppo religioso.
5) D. Esiste poi un’altra faccia della medaglia. La
sua opinione sulle donne addestrate e arruolate nell’esercito afgano e
presentate all’opinione pubblica come esempio di “emancipazione”?
1.
Vedo un
rischio di un uso disonesto e retorico delle donne-soldato in Afghanistan non
solo da parte di chi le arruola, ma anche di chi dice “in fondo ora ci sono le
donne-soldato, anche le donne possono essere militariste, violente…”.
In tutte le società l’ordine simbolico dominante è
quello maschile. Pensiamo all’enfasi su concetti come autonomia, indipendenza,
competizione. Tutto ciò che è legato agli affetti, al quotidiano, alla
responsabilità per la vita, alla cura è svalutato. Non esiste più l’ordine
simbolico della madre e il lavoro domestico e di cura delle donne è invisibile,
non pagato, svalorizzato. In un certo senso le donne costituiscono una casta,
destinate per nascita a un lavoro senza valore. Non vedo quindi come ci si
possa stupire se alcune accolgono i valori dominanti.
6) D. Volendo individuare i fattori economici
all’origine dell’oppressione subita dalle donne, contro chi punterebbe il dito?
1.
Tra le opere
che hanno dato un contributo decisivo alla conoscenza della posizione delle
donne nella società antica non si può non menzionare The living
goddesses dell’archeologa e linguista lituana Marija Gimbutas. Il
volume dimostra che nell’Europa antica nell’arco di alcuni millenni (dal 7000
al 3000 a.c.) si erano sviluppate diverse società matrifocali nelle quali la
donna, associata in quanto madre alla natura, portatrice di vita e di morte,
aveva un ruolo fondamentale a livello simbolico e religioso, così come nella
pratica sociale. La studiosa descrive queste culture, poi quasi completamente
distrutte con le invasioni delle popolazioni indoeuropee, come pacifiche, prive
di gerarchie e di forti differenze di classe. Altri studi hanno disegnato un
quadro che in parte rientra nelle linee tracciate da Engels. L’egualitarismo
originario e la condizione delle donne iniziarono a declinare quando esse
persero la loro autonomia economica, quando il lavoro delle donne, inizialmente
pubblico nel contesto delle comunità o dei villaggi, fu trasformato in un
servizio privato nei confini della famiglia.
D 7) Tale trasformazione è da considerare più un
frutto della natura umana o della cultura?
1.
Come
femminista rifiuto la dicotomia tra natura e cultura. Il femminismo, e in
particolare l’eco-femminismo, hanno criticato il pensiero oppositivo. E’
impossibile separare la natura dalla cultura; si pensi alle prime relazioni
delle donne con l’ambiente naturale. Spinte dalla volontà di nutrire e
proteggere i figli, le donne svilupparono la prima vera relazione produttiva
con la natura; in questo processo acquisirono una conoscenza profonda delle
forze generative delle piante, degli animali, della terra e la tramandarono,
ovvero crearono la società e la storia.
8) D. Questo per la cultura. Diversa invece la posizione
dell’eco-femminismo nei confronti della tecnologia, estranea se non ostile alla
natura. Un atteggiamento in cui colgo alcune affinità con il pacifismo e
l’ecologismo radicale; in parte anche con l’antispecismo…
1.
A partire
dal dilemma ambientale contemporaneo e dalle sue connessioni con la scienza e
la tecnologia, l’ecofemminismo ha ricostruito il processo di formazione di una
visione del mondo e di una scienza che, riconcettualizzando la natura come una
macchina anziché come organismo vivente, sanzionarono il dominio dell’uomo
sulla natura e sulla donna. La percezione della natura come materia inerte si
rese necessaria per eliminare ogni remora morale allo sfruttamento accelerato e
indiscriminato delle risorse naturali e umane. Riducendo gli esseri viventi a
macchine da studiare, su cui sperimentare, separando ragione ed emozione e
stabilendo la supriorità della razionalità astratta, il pensiero scientifico
dissocia l’uomo dalla donna, gli animali, la natura; femminilizza la natura e
naturalizza le donne. La natura e le donne esistono per i bisogni degli uomini.
Storicamente il mondo degli uomini è stato costruito in opposizione al mondo
della natura e a quello delle donne. Essere uomini significa dissociarsi dal
femminile e da quello che rappresenta: vulnerabilità, cura, inclusione. La
mascolinità può essere raggiunta attraverso l’opposizione al mondo concreto
della vita quotidiana, fuggendo dal contatto con il mondo femminile della casa
verso il mondo maschile della politica o della vita pubblica. Questa
esperienza di due mondi giace al cuore dei dualismi oppositivi.
9) D. E per il futuro? Vede qualche possibile
alternativa allo stato di cose presente?
1.
Il futuro di
una comunità veramente umana richiede che gli uomini, per preservare la loro
stessa umanità e dignità, vogliano e sappiano riconoscere e far propri i valori
della produzione e del sostegno della vita, cambiare il modo di pensare, di
essere nel mondo e nella relazione con le donne, rifiutino la violenza. Per
quanto riguarda i movimenti, al momento attuale tra femministe, pacifisti,
ambientalisti, antispecisti (ma penso anche a chi si batte per i diritti
dell’infanzia, contro lo sfruttamento minorile, in difesa delle minoranze,
degli indigeni…) manca la connessione. Da questo punto di vista il caso del
Congo – da cui eravamo partiti – appare emblematico: di fronte alla violenza
sugli inermi, donne e bambini, alla distruzione delle foreste, all’estinzione
degli animali, alla tragedia dei profughi non è più consentito avere sguardi
parziali, occorre connetterli, sia a livello teorico che pratico.
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