Abbiamo un certo numero di intelligenze
critiche in Italia, ma a chi si rivolgono oltre al fatto di avere scarsi mezzi
per veicolare i loro ragionamenti?
“Già nel 2014 il compianto Tullio De
Mauro riportava che circa due milioni di italiani erano analfabeti totali, 13
milioni semi-analfabeti, ovvero appena in grado di scrivere il proprio nome e
fare somme e sottrazioni semplici, altri 13 milioni avevano perso l’uso fluido
della lettura e della scrittura. Insomma, circa la metà della popolazione
adulta era sotto la soglia minima della piena alfabetizzazione.”.
Oggi i dati sono questi:
·
Paese OCSE con il più basso numero di laureati
·
Paese OCSE col più basso investimento in istruzione
·
Su 27 Paesi EU, destiniamo all’istruzione meno di 24 Paesi e più solo di
Grecia e Romania.
·
Stipendi degli insegnanti tra i più bassi in Europa
Le scarse nozioni ricevute a scuola, in
tempi di veloci e profondi cambiamenti, diventano rapidamente obsolete, né ci
sono modi per aggiornarle. Questo complesso di fattori determina quella che
oggi viene chiamata “povertà educativa” che chiude in un cerchio da cui non
possono evadere milioni di italiani.
Con “povertà educativa” s’intende non
tanto o solo i tassi di alfabetizzazione, quanto “…l’impossibilità e incapacità
di usare le competenze minime richieste per adattarsi alla complessità dei
cambiamenti sociali, culturali e tecnologici e di continuare ad apprendere,
sperimentare, sviluppare e far fiorire liberamente capacità, talenti e
aspirazioni lungo tutto il corso della vita.”
A ciò si aggiunge una vasta, profonda e
tradizionale ignoranza scientifica, un vero e proprio disprezzo altezzoso per
questa forma di conoscenza che avrà ovviamente i suoi difetti come ogni altra e
tuttavia è umana, al pari delle altre.
Questo brillante risultato è stato
volutamente perseguito negli ultimi trenta anni almeno, se non di più. L’Italia
è risultato il Paese a più forte rimbalzo tra decenni di intenso impegno
culturale, politico, sociale terminato negli anni ’70, anche con una eccessiva
dose di integralismo e la liberatoria stagione del disimpegno, dell’edonismo,
del piacere di vivere alla come viene.
Dagli anni ’90, diventa centrale il
complesso mediatico-culturale gestito da Berlusconi, una coerente batteria di
emissione di disprezzo culturale ed orgogliosa rivendicazione della pigrizia
intellettiva. Parallelamente, diminuiscono gli investimenti in formazione e si
susseguono una serie di riforme bizzarre. Ma più che altro, si insedia un
paradigma del fare e del non pensare, chi pensa non piglia pesci e nella
società raggiungi posizioni vantaggiose a seconda di quanti pesci hai preso.
Su questa incipiente desertificazione
culturale, si abbattono gli OGM di Internet, i giochi on line, i social, i
siti, i video che ti spiegano l’universo-mondo in cinque-minuti-cinque.
Attenzione, non si tratta solo di contenuti, agiscono le forme. Ormai, la
nostra mentalità ovvero l’organizzazione mnestica della funzione mentale, è
additivata dalla compulsione, la facile remunerazione dei neurotrasmettitori
sollecitati dalle impressioni visive ed inviti a pigiare tasti che danno
“piacere tattile”, l’impossibilità a prestare attenzione per più di cinque
secondi, l’immane fatica a comprendere, la noia e la frustrazione a scalare la
comprensione a cui siamo diventati intolleranti.
Tra l’altro, non essendoci nessun
vantaggio a sottoporsi a sforzi non riconosciuti, non richiesti e forse anche
malvisti, perché sottoporsi a queste faticose e scomode imprese controcorrente?
Non richiesti e malvisti ormai non solo dai poteri, ma da tutti quelli che ti
stanno intorno.
Ormai l’egemonia è completa, anche solo
accennare a questi fatti ti pone nella posizione di colui che dà dello scemo al
prossimo, un ottimo motivo per mandarlo a quel paese, farsi una liberatoria
risata e compatirlo. Questa è l’egemonia, non doversi più neanche preoccupare
di gestire il giudizio sociale poiché viene dato in automatico dal sociale
stesso, l’ostracismo è a base popolare quindi giusto in via di principio.
A questa chiusura egemonica
dell’ignoranza orgogliosa, concorrono spesso anche quelle rare posizioni che si
pensano “critiche” che ben si guardano di notare e preoccuparsi di tale
condizione. Loro cercano solo il proprio quarto d’ora di notorietà al mercato
della visibilità, magari fanno un partitino o una rivistina o scrivono un
libricino. Sono “popolari” o “populisti”, basso verso alto, popolo vs élite,
seminano l’incredulità di qualsiasi cosa, danno fuoco ad ogni pensiero,
demistificano, basta pensare, bisogna agire!
Eravamo il paese di Gramsci, il paese
dell’impegno a portare la cultura a tutti, ad estendere l’obbligo scolastico, a
farsi una biblioteca a comode rate di volumetti comprati ad un Festival
dell’Unità, l’Italia delle riviste, dei dibattiti, di assemblee e collettivi,
delle battaglie sulle 150 ore, delle scuole “popolari”, di Barbiana. L’Italia
del teatro e del cinema che faceva pensare, dove contava la mano dell’Autore,
delle radio private che contro-informavano, dei festival musicali comunitari,
dei quotidiani extra-parlamentari che davano una diversa immagine del mondo.
Dove esser “insegnante” era un prestigio, piccolo, ma riconosciuto. Dove un
partito che pure si definiva “comunista” arrivò a contare il 35% dei voti, più
di 12 milioni di persone adulte, quando ancora si andava a votare al 93% degli
aventi diritto (1976).
L’Italia che stava evolvendo la sua
democrazia perché non può esserci alcuna democrazia senza persone in grado di
pensare, ricercare, farsi un giudizio, dibattere, scegliere razionalmente e
consapevolmente.
Ma questa idea dell’agricoltura
culturale oggi non va più. Basta ripetere quindici volte “neo-liberismo” nelle
scarse dieci righe che si riescono a mettere assieme e la coscienza critica è
salva. Meglio se si aggiunge qualche strale contro la dicotomia
“destra-sinistra” vero problema cruciale della fase politica secondo tante
acute menti. Poi, più in basso, ci sono quelli che provano il brivido
dell’esser “contro” postando Zichichi.
Leggevo giusto stamane del deliberato
impegno del Governo di nove miliardi stanziati per ricostruire le nostre “forze
corazzate”, tra cui l’acquisto di tank tedeschi che visto che gli butta male
sulle automobili, si riconvertono. Già perché rischiamo di esser invasi, no?
Del resto, chi prende queste decisioni è stato eletto, proprio da 12 milioni di
italiani come nel ’76, solo che dato il crollo della partecipazione al voto,
oggi ha avuto il 43% dell’elettorato e grazie a leggi ad hoc che “garantiscono
la governabilità”, la maggioranza assoluta. Viva il Popolo!
Questa è la più condivisa definizione di
potere: poter far fare agli altri quello che è nel vostro e non nel loro
interesse. Sapere è potere, togli il sapere ed il gioco è fatto.
Altro che Davos e neoliberismo,
l’emergenza politica italiana è la democrazia e per la gran parte ce la siamo
distrutta con le nostre manine.
Luca Salmieri e Orazio Giancola: La povertà educativa in Italia. Dati, analisi, politiche, Carocci,
2023
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