venerdì 11 agosto 2023

L’Occidente tramonta anche in Africa

 

articoli, video, immagini di Silvestro Montanaro, Thomas Sankara, Jalel Lahbib, Giuliano Marrucci, Fernando Moragón, Ezequiel Bistoletti, Diego Ruzzarin, Antonio Castronovi, Guido Salerno Aletta, Sergio Cararo, Fabrizio Poggi, Massimo Fini, Irina Smirnova, Stefano Galieni, Achille Mbembé, Improta, Santiago Armesilla, Ibrahim Traorè, Alberto Negri, Mauro Armanino


Niger. Fallita la missione americana di Victoria Nuland. Minacce respinte al mittente – Jalel Lahbib

La vice segretaria di stato ad interim degli Stati Uniti, Victoria Nuland lunedì, si è recata nella capitale del Niger, Niamey, intrattenendo colloqui con alti funzionari della giunta militare. Nuland ha detto durante l’incontro che i funzionari del governo non hanno accolto i suggerimenti degli Stati Uniti per cercare di ripristinare “l’ordine democratico” e che la sua richiesta di incontrare il deposto presidente del Niger Mohamed Bazoum è stata rifiutata.

Nuland ha affermato di non aver avuto l’opportunità di incontrare il leader del golpe, il generale Abdourahamane Tchiani. Indispettita dell’affronto ha minacciato la giunta avvertendo che ci saranno gravi conseguenze se deciderà di collaborare con la Russia. “Dopo che li ho avvertiti, i leader golpisti in Niger sono ben consapevoli dei pericoli di allearsi con la Russia”, ha affermando la Nuland, che ha accuratamente evitato di spiegare come è finito l’incontro. Dinnanzi al suo atteggiamento di superbia e ai dicktact pronuniciati, le autorità nigerine hanno terminato bruscamente il colloquo, invitandola a ritornare da dove è venuta.

Tra le richieste (leggi ordini) della Nuland vi era il “dovere” da parte della giunta militare di incontrare la delegazione della comunità economia dei Paesi dell’Africa occidentale (Ecowas). Subito dopo la sua partenza la giunta militare ha annunciato di non poter accogliere la delegazione.

Sulla disastrosa visita della Nuland in Niger, il leader della Wagner, Yevgeny Prigozhin ha rilasciato un’intervista, affermando che la Wagner lotterà al fianco del Niger per garantire la sua sovranità e i diritti del popolo nigerino: “Wagner lotterà sempre per la giustizia e aiuterà coloro che combattono per la loro sovranità e i diritti del loro popolo”.

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Alberto Negri – In Niger un disastro che è iniziato in Libia – Alberto Negri

USA-UE-AFRICA. È una storia da periferia del mondo, una storia sbagliata, che improvvisamente si addensa sulla capitale del Niger Niamey, dove sono di stanza tremila soldati Nato e americani evocando il fallimento di Kabul

È una storia da periferia del mondo, una storia sbagliata, che improvvisamente si addensa sulla capitale del Niger Niamey, dove sono di stanza tremila soldati Nato e americani, evocando i fantasmi della caduta di Kabul nel 2021. Scaduto l’ultimatum lanciato dopo il golpe del 26 luglio scorso che ha deposto il presidente Mohamed Bazoum, la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale si era detta pronta a intervenire militarmente ma in attesa di una comunicazione ufficiale, secondo fonti militari riferite dal Wall Street Journal, per ora l’organizzazione degli stati africani non avrebbe ancora «la forza necessaria per partecipare a una simile operazione militare».

La questione è evidente: con una base Usa di droni nel Nord e 1.100 soldati americani sul terreno (i francesi sono 1500, gli italiani 340 circa) la Casa Bianca, nonostante la solidarietà espressa a Bazoum, teme che un intervento militare mal riuscito possa risolversi in un disastro. E in Africa americani ed europei di disastri ne hanno già combinati a sufficienza. Sono stati i loro errori che hanno lasciato spazio a russi, cinesi, turchi: queste potenze fanno esattamente il lavoro che facevamo noi un tempo, rafforzano chi è al potere e sfruttano le risorse minerarie e umane.

Il paradosso è che molte delle élite militari oggi in sella le abbiamo armate e addestrate nelle scuole militari di Francia e Stati uniti. Come sottolineava Marco Boccitto sul manifesto del 5 agosto anche in Niger i militari golpisti hanno ricevuto dall’Occidente la loro «educazione sentimentale». Gli stessi militari italiani – sulla cui sorte ci rassicura il ministro della difesa Crosetto – sono a Niamey per addestrare i nigerini.

Tutto comincia con la fine della Libia di Gheddafi nel 2011, iniziata con l’intervento francese, britannico e americano diventato poi Nato. Era lui il “guardiano” delle coste del Mediterraneo e del Sahel. Un dittatore detestabile ma che teneva in piedi il Sahel: dal Mali al Niger, i dinari libici oliavano i regimi e tenevano in piedi confini di sabbia. Sia l’Unione africana che il presidente del Niger Issoufou Mahamoud avevano messo in guardia l’Occidente dall’attaccare la Libia. Ma chi li ha ascoltati? Nessuno si è preoccupato seriamente di frenare la deriva dei confini.

Dopo la storia è nota: con la disgregazione della Libia avanzano ovunque i gruppi jihadisti, da Al Qaeda all’Isis, e i movimenti irredentisti.

Le frontiere che vediamo oggi disegnate sulle mappe sono più virtuali che reali, in particolare quelle nel triangolo tra Niger, Mali e Burkina Faso. I francesi nel 2022 fanno le valigie e mettono fine all’operazione Barkhane ripiegando dal Mali al Niger, a loro posto a Bamako arrivano nuovi generali al potere e i russi della Wagner: che, è bene sottolinearlo, non riscuotono un così grande successo ma agli occhi di chi è al potere hanno un verginità coloniale e non chiedono alcun rispetto dei diritti umani e politici.

Del resto che rispetto abbiamo noi dei Paesi africani? Siamo qui a spingere perché diventino i guardiani delle nostre frontiere, cosa che non piace a nessuno, come ha ribadito più volte il presidente tunisino Saied, criticabilissimo per le sue espressioni razziste sui migranti ma con le spalle al muro per la crisi economica e finanziaria di un Paese che sta affondando.

Non sono crollate solo le frontiere del Sahel. A Ras Jedir, confine tra Libia e Tunisia ormai fuori controllo, c’è un giro d’affari di contrabbando per 500 milioni di dollari l’anno: il carburante arriva dalla Libia, dove il costo è sostenuto all’80% dallo stato, passa l’alcol dall’Algeria, l’hashish dal Marocco, poi frutta, verdura elettrodomestici e, naturalmente, esseri umani in mano ai trafficanti. Un’intera regione dell’Africa del Nord ma anche sotto, nel Sahel, vive di traffici illeciti. E come farebbe altrimenti a sopravvivere la Tunisia? Con la fine di Gheddafi Tunisi ha perso 350mila posti di lavoro in Libia che sostenevano l’economia mentre con le “primavere arabe” settemila tunisini si arruolavano con i jihadisti per la guerra in Siria. Oggi Assad è stato riammesso nel grembo del mondo arabo e loro sono tornati in un Paese che non riesce a dare lavoro e pane a nessuno. Non si può pensare che rivolgimenti del genere non abbiano conseguenze.

L’Africa sulla questione dell’intervento in Niger è divisa. Dal Maghreb all’Ovest del continente si levano voci discordanti. Il blocco degli interventisti è guidato dalla Nigeria, 215 milioni di abitanti, con l’esercito più forte della regione e un’economia predominante. Contrari sono i Paesi dei “nuovi golpisti” come Mali e Burkina Faso. Ma anche l’Algeria, che non fa parte di Ecowas, è una potenza assai influente. “Senza di noi in Niger non ci sarà una soluzione”, ha ammonito il presidente Tabboune. A Roma devono aprire le orecchie visto che Algeri è il nostro maggiore fornitore di gas e il perno di quel Piano Mattei che nessuno ha ancora visto. Come l’araba fenice di Metastasio, «che ci sia ciascun lo dice, ove sia nessun lo sa».

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L’Ucraina, il Niger e la rivoluzione multipolare in atto – Antonio Castronovi

La scelta coraggiosa della Russia di respingere il tentativo della NATO di fare dell’Ucraina un avamposto atlantico per destabilizzarla, e di accettare quindi il livello militare dello scontro imposto dal rifiuto di trattare da parte della NATO le condizioni della sicurezza reciproca in Europa, ha aperto nuovi scenari prima impensabili nel mondo. Lo scontro tra le pretese unipolari e imperialiste del blocco occidentale e la resistenza politica, economica e militare della Russia ha rafforzato nel mondo le aspirazioni di popoli, paesi e regioni che aspirano alla propria sovranità e autodeterminazione e che desiderano sganciarsi dal controllo e dalla soggezione coloniale dell’Occidente. Si rafforza l’asse russo-cinese nel continente eurasiatico e si estende l’area dei paesi di tre continenti che vogliono aderire ai BRICS, ad oggi una trentina.

Il conflitto tra NATO E RUSSIA in Ucraina sta aprendo così le porte ad una vera rivoluzione mondiale anticoloniale e multipolare che ha il suo epicentro in Africa, in particolare nell’area centro-africana che vede scomparire da essa, uno dopo l’altro, il controllo coloniale francese.

Dopo la Repubblica Centro-Africana, il Mali, il Burkina Faso, ecc. , in questi giorni è saltato l’ultimo bastione della presenza francese, il Niger. Le reazioni di panico nell’establishment occidentale danno la misura del cambio di clima che si respira in Africa. Non c’è più la paura della reazione punitiva, economica e militare, che potrebbe venire dalla Francia o da paesi ancora sotto il giogo coloniale. Il Mali, il Burkina Faso, la Guinea e l’Algeria, sono pronte a difendere anche con le armi il Niger da un intervento militare esterno. Sta emergendo così l’orgoglio e la dignità di una giovane classe dirigente anticoloniale africana che ha raccolto l’eredità dei Lumumba, dei Sankara e del socialismo pan-africano e che sta intessendo rapporti di cooperazione economica e commerciale con la Russia e la Cina, senza le condizioni capestro imposte dal FMI e dalla Banca Mondiale con la pratica dello strozzinaggio che crea debito e dipendenza ulteriore. Il gesto di Putin di condonare un debito di 20 miliardi di dollari dei paesi africani e quella di donare grano a quelli più bisognosi, ha scatenato reazioni isteriche nei governi occidentali, in cui si è distinto per goffaggine il ministro Tajani, ma soprattutto ha suscitato entusiasmo e spirito di rivolta anticoloniale nelle popolazioni africane che stanno riempiendo le piazze inneggiando alla Russia e a Putin.

Nel vertice russo-africano di San Pietroburgo era presente tutta l’Africa tranne tre governi, dimostrando così che l’Africa non teme più le punizioni e le reazioni del padrone bianco. Chi è rimasta spiazzata e afona di fronte a questa ondata di rivolta anticoloniale in Africa è senza dubbio la sinistra europea nelle sue diverse varianti: non solo quella russofoba e filoatlantica, ma anche quella cosiddetta pacifista ma anti-putiniana, quella che non ha mai rinunciato al mantra aggressore-aggredito, che non aveva capito nulla della natura dello scontro aperto in Ucraina e che oggi fa fatica ad accettare l’entusiasmo e la solidarietà africana nei confronti della Russia. Ma questo è un antico vizio e un difetto d’origine anche del marxismo occidentale che non ha mai collegato la lotta anticapitalistica alla lotta anticoloniale, che non aveva capito la lezione di Lenin ieri, che non aveva capito la natura della rivoluzione cinese come rivoluzione anticoloniale, e non ha compreso oggi il valore della rivoluzione mondiale in atto come rivoluzione multipolare che ha la sua forza trainante nella Russia e nella Cina e il suo centro in Africa, ma che ha già spostato gli equilibri geopolitici in medio-oriente. Già, l’Occidente non è più la culla della rivoluzione socialista. Forse non lo è mai stata. Come diceva Domenico Losurdo, forse non lo è mai stata perché ha rifiutato l’incontro con la rivoluzione anticoloniale, vista come separata dalla prospettiva socialista. Un errore strategico e teorico che le classi popolari in Europa stanno ancora pagando.

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Personaggi in cerca d’autore, ovvero il golpe del Niger – La testimonianza di P. Mauro Armanino

I confini tra realtà e finzione, come Luigi Pirandello bene evidenziava nella sua drammaturgia, sono sempre molto labili. Quanto sta accadendo in Niger, dopo la relativa presa di potere di un gruppo di militari delle Guardia Presidenziale mercoledì scorso, assomiglia ad un gioco nel quale tutti i personaggi sono in cerca d’autore.

La politica anzitutto, intesa come partecipazione nella costruzione del bene comune, non si è mai di fatto mai realmente concretizzata. Essa è stata interpretata come perenne lotta per il potere, con la stessa logica di quello coloniale della Francia, che ha potuto proseguire – nel Paese del ‘suo’ uranio – grazie a politici compiacenti.

Quando, questi ultimi, hanno cercato di prendere le distanze dal Padre Padrone francese sono scaturiti, non per caso, i primi colpi di stato di autore senza nome. Il prossimo 3 agosto sarà l’anniversario dell’indipendenza del Niger e faranno 63 anni di cammino nel deserto attraversato dal fiume omonimo.

Gli altri personaggi del dramma sono stati i partiti politici che, oggi, si contano a decine e il cui numero e consistenza varia a seconda delle stagioni del potere. Si fanno e disfanno aggregazioni di compiacimento che solo assicurano qualche garanzia ‘alimentare’ in più per i membri dei partiti. Uno di essi, al governo da dieci anni, si denomina PNDS e cioè il Partito Nigerino per la Democrazia e il Socialismo. Presentatosi alle elezioni del 2004 e del 1999, era risultato perdente e solo dopo il penultimo colpo di stato nel 2010, aveva vinto le elezioni l’anno seguente.

L’attuale presidente Mohamed Bazoum è il successore (e da lui prescelto) di Mahamadou Issoufou, entrambi fondatori del PNDS. Il decennio di potere del suo mentore, contrariamente all’opinione occidentale e africana, ha gradualmente contribuito ad affossare la fragile democrazia nel Paese.

Demoliti i partiti, eliminato l’oppositore principale Hama Amadou, divisa per compravendita la società civile e, infine, l’operazione seduzione ‘pecuniaria’ per la classe intellettuale del Paese, la democrazia si è trasformata nel regno tentacolare e fondamentalmente corrotto del PNDS.

Bazoum, malgrado la complicità degli osservatori internazionali che hanno ratificato i risultati dello scrutinio delle ultime presidenziali del 2021, è stato eletto in modo fraudolento. Dopo circa due anni, alla vigilia della festa dell’Indipendenza, è stato deposto da una giunta militare e si trova prigioniero di elementi armati della Guardia Presidenziale, voluta e curata dal suo predecessore.

Tra i personaggi della vita politica del Niger e in Africa Occidentale, si trovano i militari, personaggi in cerca d’autore di tutti i golpe e dei tentativi andati a male, nel frattempo. Per carenza di democrazia reale, intesa come sistema che rende possibile il gioco di alternanze politiche senza ricorrere alla violenza, essi sono coloro che ‘azzerano’ il contagiri e permettono alla democrazia di riattivarsi.

Questo spiega perché, in generale, da questa parte del mondo i colpi di stato sono assai ben visti e appoggiati dal popolo, che vede in essi un’opportunità di rimessa in moto del recita a soggetto in questione.

Il grande escluso di tutto ciò, per assenza di autori e cioè di cittadini riconosciuti e riconoscibili, è proprio il popolo che in tutti questi anni è stato preso, volutamente o meno, in ostaggio dai vari regimi politici che si sono succeduti.

Lo stesso popolo della città di Niamey e di altre città del Niger, che ha appoggiato il golpe e che si è spinto ieri fino alla zone delle ambasciate e, soprattutto quella della Francia, ne è stata il bersaglio principale.

La situazione, al momento è ancora incerta. La Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale, l’Unione Europea, gli Stati Uniti e l’Unione Africana (e la Francia in particolare) hanno ovviamente condannato il golpe e deciso di applicare con inusuale rapidità un arsenale di sanzioni economiche e politiche. Non si esclude neppure un intervento armato nel caso in cui il presidente eletto non venga rilasciato e prenda le funzioni a lui spettanti prima del colpo di forza.

Non casualmente, questo gioco della parti si evidenzia nel Niger, Paese tra i più poveri economicamente del mondo, ma ricco della sua geopolitica: l’uranio per la Francia, il petrolio per la Cina e altre materie prime da definirsi; l’esternalizzazione delle frontiere per controllare e bloccare la mobilità umana. L’oasi di stabilità per accogliere i militari di Francia, Stati Uniti, Germani e Italia, fanno del Niger, come detto all’inizio, un Paese in cerca d’autore e, invece delle stelle, sono le sirene russe che ora stanno a guardare.

Padre Mauro Armanino

Niamey

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Risiko Africano: Destabilizzazione e Penetrazione – Guido Salerno Aletta

Gioco a 6 tra Mercanti di uomini, Jihadisti, Russia, Cina, USA e Paesi Europei

L’Africa è un Continente sempre più conteso, ricchissimo di materie prime che fanno gola a tutti, ma estremamente povero.

Serve innanzitutto tracciare una mappa degli interessi, economici e geopolitici, iniziando da quelli dei mercanti di uomini che alimentano il traffico dei migranti disperati, che li pagano per sfuggire a situazioni di grande povertà nella speranza di trovare migliori condizioni di vita in Europa.

Cominciamo con la destabilizzazione dell’Europa, in cui arrivano da anni, a centinaia di migliaia, i disperati che provengono dalle aree più povere del Sud del Mondo, oltre che dalle zone di guerra. E’ un interesse geopolitico che accumuna tanti attori della scena mondiale: portano scompiglio economico e sociale, creano problemi di integrazione. Il problema è umanitario, certo, ma dietro c’è chi ha interesse ad alimentare le tensioni che derivano dai flussi di immigrazione incontrollata.

Le ONG, che salvano i tanti che vengono imbarcati su natanti di fortuna, e poi abbandonati alla deriva nel Mediterraneo, non possono far molto per i tanti che si trascinano per migliaia di chilometri sulle rotte terrestri che vanno dal Golfo di Guinea fino ai porti di imbarco: ci sono i tanti Paesi africani da cui partono le moltitudini dei migranti, quelli che vengono solo attraversati da queste moltitudini, quelli europei di prima accoglienza e quelli che vengono ambiti come destinazione finale.

L’Italia è un Paese di prima accoglienza, a sua volta di transito temporaneo, perché la gran parte dei migranti vuole andarsene via il prima possibile, per recarsi in Francia o in Germania se non in Inghilterra, raggiungendo parenti o altri amici già lì insediati.

Tutti sanno delle condizioni di Ventimiglia, ai confini della Francia, dove a migliaia i clandestini stazionano in attesa di passare la frontiera, venendo costantemente ricacciati indietro dalla Gendarmeria. Ma è lo stesso a Calais, il porto francese sulla Manica, dove sempre a migliaia si sono raccolti per anni in una sorta di Giungla i clandestini che volevano arrivare in Gran Bretagna.

Ci sono poi i Paesi del Magreb, quelli della sponda meridionale del Mediterraneo, che sono solo attraversati dai flussi di migranti: creano loro parecchi problemi per questa ospitalità temporanea che devono offrire, sperando che se ne vadano via il prima possibile. Il Marocco come l’Algeria, la Tunisia come la Libia, sono i più colpiti da questo fenomeno.

Ci limitiamo a questa rotta mediterranea, senza considerare quella balcanica o quella che passa per la Turchia e per la Grecia, Paesi di transito, che affrontano in particolare i flussi di provenienza dei profughi siriani.

Per quanto riguarda l’Italia, basta vedere i dati di provenienza dei migranti arrivati nel 2023: al primo posto c’è la Costa d’Avorio col 12% degli arrivi, poi la Guinea con l’11%, l’Egitto col 9%, il Bangladesh con l’8%, il Pakistan e la Tunisia con il 7%, il Burkina Faso col 6%, la Siria col 5%, il Camerun ed il Mali col 3%. Messi insieme, i migranti che provengono dai Paesi sub-sahariani pesano per il 35%.

A voler schematizzare dal punto di vista geografico, ci sono dunque tre fasce si Paesi che sono interessati dalla rotta mediterranea dei migranti: quella dei Paesi del Magrebcon la Tunisia e la Libia in testa, in cui arrivano per imbarcarsi ed arrivare finalmente in Europa, attraverso i porti sicuri come quelli dell’Italia; quelli del Sahel, la fascia sub-sahariana, che rappresentano invece una fascia di territorio che viene solo attraversata da coloro provengono da ancora più a Sud, come il Camerun, la Costa d’Avorio o la Guinea. In pratica, il Niger è un Paese chiave per le rotte dei migranti, visto che passano tutti di lì per arrivare in Libia ed in Algeria.

Detto chiaramente: i migranti sono innanzitutto un business, sia per chi ne organizza la tratta per farli arrivare a destinazione, sia per le organizzazioni che ne gestiscono il salvataggio in mare e poi l’assistenza nei diversi Paesi. Ma sono anche uno strumento di destabilizzazione innanzitutto per i Paesi africani di transito, poi per quelli europei di prima accoglienza ed infine per quelli sempre europei di destinazione finale.

La Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha appena presieduto alla Farnesina una Conferenza internazionale, su “Sviluppo e Migrazioni”, cui ha invitato sia il Presidente tunisino Saied che la Presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen, ed a alla quale hanno partecipato numerosissimi Paesi europei ed africani interessati ai flussi di transito che di accoglienza, che ha avuto tra i principali punti di attenzione proprio il contrasto al traffico illegale di migranti.

C’è un secondo strumento di destabilizzazione, stavolta dell’Africa: i movimenti jihadisti.

E’ un argomento subdolo, perché non si sa mai bene chi ci sia dietro: non può essere solo un fenomeno spontaneo, visto che per un verso viene strumentalizzato per indebolire i governi africani e per l’altro per offrire loro un sostegno per contrastarli. In pratica, rappresentano forme di aggregazione sociale su base religiosa che minano l’autorità degli assetti ufficiali di potere: rappresentano una alternativa islamista, comunitarista, che erode la legittimazione della struttura politica tradizionale.

Il Califfato africano, esteso a macchia di leopardo, è ormai un fenomeno endemico: interi Paesi non sono più agibili, dal Sud Sudan alla Somalia per citarne alcuni.

La destabilizzazione dell’Africa attraverso il sostegno nascosto che viene dato al Jihadismo è un modo per impedire ad altre Potenze di insediarsi in questi Paesi: come la tattica degli Indiani di avvelenare i pozzi, o quella dei Tartari di ritirarsi bruciandosi alle spalle la steppa. Nessun nemico può prendere possesso di quelle aree.

C’è un altro aspetto: contrastare le organizzazioni Jihadiste può essere un modo attraverso il quale gli Stati stranieri a questo punto offrono protezione ai regimi africani che sono al potere. Protezione armata, naturalmente, inviando proprie truppe: lo ha fatto in più di un caso la Francia, con scarsissimo successo in Mali e Burkina Faso, oppure l’Italia partecipando ad una missione internazionale in Niger di osservazione e contrasto al traffico di migranti.

Sappiamo bene come la Compagnia militare Wagner abbia ampiamente approfittato degli insuccessi riportati dalla Francia nel contrasto al Jihadismo: accusando indirettamente gli ex-colonizzatori di strumentalizzare la lotta al Jihadismo per tenere le proprie truppe in questi Paesi, la Russia subentra.

Il contrasto alla destabilizzazione portata dalle organizzazioni Jihadiste viene usato per fini geopolitici.

Come se non bastasse, si approfitta di questo cambio di mano per prendere possesso delle immense risorse minerarie dei Paesi africani.

E’ in questo modo che paga la protezione militare offerta dai Russi della Wagner oppure il costo delle infrastrutture di interesse generale che vengono realizzate dalla Cina con propri capitali, dalle strade alle ferrovie, ai porti.

Inutile aggiungere che la Russia sta offrendo ai Paesi africani anche la cessione a prezzi di favore dei cereali di cui le popolazioni hanno estremo bisogno, e per le quali i rispettivi governi non hanno le risorse necessarie per procedere agli acquisti a prezzi di mercato.

Questo è lo scontro geopolitico in corso in Africa: violento e sanguinoso, come sempre.

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