La cancel culture è un contenitore (semplice, e non complesso, come sono le cose umane) per milioni di parole e immagini che esistono, e che qualcuno, a torto o a ragione, vorrebbe cancellare.
Faccio
tre esempi.
Se
qualcuno facesse sparire la statua, in qualche piazza, di Adolf Hitler sarebbe
da disprezzare? E perché fare sparire, o solo imbrattare, con vernice
indelebile, la statua a cavallo di Leopoldo II re del Belgio (assassino di
almeno 10 milioni di africani, qui e qui)
sarebbe deprecabile?
Non
si parla di censure per gli storici, o la ricerca, solo degli omaggi pubblici in
forma di statue, in luoghi pubblici, a serial killer.
Poi
ci sono anche quegli incapaci che mai hanno scritto o scriveranno un libro
memorabile e si mettono a riscrivere i libri degli altri, e dai libri di Mark
Twain vogliono cancellare la parola negro (l’unica esistente allora, per
indicare gli schiavi africani e i loro discendenti afroamericani).
Come
se qualche governo italiano (composto da ministri fini
intellettuali) decidesse di cambiare i nomi dei non italiani, per esempio
cambiando Oliver Stone in Oliviero Pietra, o John Cage in Giovanni Gabbia.
Quando
ero bambino, negli anni sessanta, sui muri c’erano ancora tante scritte (come
canta De Gregori qui), citazioni di quel tipo delle decisioni irrevocabili, si chiamava Mussolini.
Non ci sono più, non so se per la cancel culture, o per la speculazione edilizia,
comunque meno male che sono sparite dai muri delle città (qualcuno le avrà
fotografate, sono in qualche libro, e va bene così).
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