Dio salvi gli ultimi dai penultimi. L’estrema durezza del premier britannico Rishi Sunak nei confronti degli immigrati, soprattutto quelli africani, conferma una volta di più una costante delle migrazioni. Dicono infatti le cronache che il capo del governo inglese, per scoraggiare il costante arrivo di disperati che riescono a sbarcare in Inghilterra a dispetto delle crescenti rigidità nei controlli dopo la Brexit spacciata dai demagoghi come il magico ritorno ai tempi antichi con le frontiere blindate, butta lì ogni giorno un’idea diversa. Prima quella di deportarne il più possibile in Ruanda. Poi di depositarne una parte sulla vulcanica Ascension Island, a metà oceano tra l’Angola e il Brasile. Quindi di ammassare gli indesiderati su dormitorio galleggiante attraccato nel porto di Portland.
Tutte scelte impraticabili già un secolo e mezzo fa (ci provò l’allora capo del governo italiano Federico Menabrea a liberarsi di tanti meridionali invisi chiedendo di accoglierne un po’ prima all’Argentina poi al Borneo: richieste respinte) ma a maggior ragione sorprendentemente dure perché lo stesso Sunak è figlio e nipote di emigrati. I nonni cercarono una vita migliore partendo dall’India verso la costa orientale africana (come moltissimi indiani, si pensi a Gandhi nel Sudafrica britannico), il padre e madre dal Kenya e dalla Tanzania in Inghilterra. E provarono tutti sulla loro pelle, per citare l’esule Dante Alighieri, «sì come sa di sale lo pane altrui».
Nessuno stupore, però. La storia millenaria delle migrazioni insegna che chi si insedia in un nuovo Paese e fa di questo la sua nuova patria («La patria è là dove si prospera», scrisse Aristofane) tende sempre o quasi sempre a proteggere il proprio insediamento da chi arriva dopo di lui e aspira a insediarsi (esattamente quanto lui stesso aspirava un tempo) mettendo a rischio le «sue» conquiste. Gli italiani, che emigrarono in almeno 27 milioni, lo sanno bene. Sanno quanto fu dura inserirsi fra i vignaioli poveri della Riverina in Australia, tra i contadini della pampa in Argentina o i boscaioli nel Mato Grosso in Brasile, tra i miserabili costretti a lavorare nelle saline in Francia. Dicono tutto certe tragiche rivolte contro i nostri nonni che «rubavano il lavoro». Su tutte quella del 14 marzo 1891 a New Orleans dove undici italiani accusati ingiustamente d’aver ucciso un poliziotto furono linciati nonostante fossero stati assolti. I più feroci nell’assalto, scriveranno i giornali, furono migliaia di neri già schiavi nelle piantagioni di cotone. Uccidere i nostri nonni era un modo di dire: non siamo più noi gli ultimi, adesso siete voi.
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