Nell’immaginario di tutto il mondo, Carrara significa marmo. Ed è per la storia delle cave da dove quel marmo si estrae che Carrara significa anche anarchia. Se tradizionalmente le cave erano beni comuni, appartenendo alle “vicinanze”, ovvero alle comunità di montagna, nell’Ottocento esse vennero progressivamente espropriate dai privati, col beneplacito delle leggi dello Stato, e i cavatori passarono dalla condizione di artigiani a quella di salariati, sfruttati e immiseriti. L’Idea dell’anarchia si propagò naturalmente tra loro, che rivendicavano il ritorno delle cave alle comunità, la condivisione di beni che erano comuni.
Da allora, a Carrara gli anarchici sono
stati una presenza costante, che appartiene alla storia e all’identità del
territorio. Numerosi i circoli e le associazioni libertarie che si sono
susseguite nel tempo, e il circolo Gogliardo Fiaschi è da diversi decenni il
circolo che forse rappresenta di più questa identità e questa storia.
Gogliardo Fiaschi, che il circolo lo
fondò, è stata una figura fondamentale nella storia dell’anarchia carrarina.
Girava sempre col suo fiocco nero al collo, e se lo incontravi non esitava a
raccontarti la sua storia, come fece con me la prima volta che lo incontrai per
caso, al bancone di un bar. Non sapevo che fosse un anarchico d’immensa fede,
che aveva dedicato la sua migliore età a far giustizia del tiranno che aveva
schiacciato la rivoluzione spagnola, e con essa quell’anarchismo che mai come
in quel momento era stato vicino a dar vita a una società radicalmente nuova.
«A tredici anni ero partigiano», mi
disse Gogliardo, «nel battaglione Gino Lucetti. Avevo detto di aver quindici
anni, sennò non mi prendevano. Dopo la guerra al circolo Pietro Gori conobbi
José Luis Facerias, anarchico di grande fascino, di grande eleganza, molto
ricercato. Era anche ricercato da anni dalla polizia franchista. Ne rimasi
conquistato, lo seguii in Spagna. Avevo ventisette anni. Entrammo in Spagna dai
Pirenei travestiti da escursionisti. Ma ci presero prima di mettere in atto il
piano. Cioè, presero me vivo, Facerias invece lo presero morto, la guardia
civil lo fece fuori. A me mi diedero vent’anni di galera. Me ne sono fatti
diciassette: otto in Spagna, girando ventotto carceri, e nove in Italia. Una
bella vacanzina, sì. Sono uscito nel 1973, con quarantatré anni addosso e i
capelli bianchi».
Tornò a Carrara e si rimise al lavoro.
Conservare e trasmettere la memoria, e riattivarla. Il circolo di via Ulivi 8
fu il compimento del suo impegno. Gogliardo morì il 29 luglio del 2000 (proprio
il centenario, guarda il sublime caso, del giorno in cui Gaetano Bresci sparò a
Umberto I: «Non ho ucciso Umberto, ho ucciso un re, ho ucciso un principio!»),
dopodiché il circolo prese il suo nome.
Negli anni successivi alla morte di
Gogliardo, il circolo ha visto la presenza attiva e costante di alcune persone
che ne hanno gestito la continuità: tra queste, Angelo Dolci, il partigiano
Taro, morto nel 2015, e poi Gino Vatteroni, lo storico che non ha mai mancato
di accogliere chiunque con la sua gentilezza e nutrirlo con la sua passione.
Mettere agli arresti Gino e i suoi compagni per «propaganda sovversiva» è un
gesto politico che sembra riportarci indietro nel tempo, a quell’Ottocento in
cui gli anarchici venivano messi in galera per il semplice fatto di essere
tali, a quando la Spartana – la prima società segreta che chiedeva il ritorno
alla «spartizione» del bene comune marmo tra le comunità – venne dichiarata
«associazione di malfattori». E tutto questo mentre a Carrara continua impunita
la devastazione delle montagne in nome dei profitti intascati dalle grandi
imprese: nemmeno le briciole restano alla terra apuana ma solo lo scempio.
Contro il quale il circolo ha da anni levato la sua voce.
da il manifesto
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Solidarietà agli inquisiti e agli arrestati della rivista anarchica
Bezmotivny!
Siamo abituati a inchieste giudiziarie
con accuse e contestazione di reati gravissimi che a fine dell’iter processuale
si dimostrano castelli di sabbia. Le modalità di azione delle Procure seguono
sempre lo stesso canovaccio: si contestano reati gravissimi o semplicemente l’associazione
sovversiva con finalità di terrorismo, si arrestano uomini e donne ricorrendo a
quella carcerazione preventiva (che da eccezionale è diventata la norma,
specialmente per i militanti politici), trasformando “reati” d’opinione in
azioni sovversive. Senza alcuna prova concreta si privano della libertà uomini
e donne che sovente perdono anche il posto di lavoro, la fonte di sostentamento
loro e delle famiglie e si vedono sbattuti come mostri sulle prime pagine dei
giornali e dei tg.
Questa volta è toccato a redattori/trici
e collaboratori della rivista di orientamento anarchico Bezmotivny: 4 arresti e
5 obblighi di firma, nonostante le pubblicazioni del quindicinale fossero
terminate da qualche mese.
Non conosciamo gli atti dell’inchiesta
che ha portato all’arresto di compagni anarchici tra Toscana e Umbria, e
leggiamo increduli di un circolo di Carrara, intitolato a un partigiano e
antifascista che giovanissimo combatté contro i regimi di Mussolini e di Franco
in Spagna e proseguì la sua storia militante partecipando alle lotte sociali e
sindacali degli anni Sessanta e Settanta, chiuso perché ritenuto una sorta di
covo, di centro nevralgico della sedizione.
In quel circolo si sono ritrovati molti
anarchici che all’indomani della Seconda guerra mondiale vennero incarcerati
per anni e trattati alla stregua di criminali comuni, oggi si ritrovano
anarchici e libertari attivi contro il Green pass e feroci nemici di ogni
autoritarismo, che conducono le loro battaglie alla luce del sole come palese è
il loro impegno contro la guerra e le devastazioni ambientali. In tempi nei
quali si nega la verità giudiziaria sulle stragi di stato può capitare che
esponenti anarchici diventino i capri espiatori di presunte trame eversive e
finiscano in carcere in attesa di conoscere il loro destino. Gli anni passano
ma la caccia alle streghe è sempre la stessa. Solidarietà agli inquisiti e agli
arrestati. Siamo tutti sovversivi!
Redazione di Lotta Continua
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