un libro che affascina, poi magari i romanzi sono meglio, ma i gusti sono gusti.
ne è stato fatto un film con Samuel L Jackson e Tommy Lee Jones - franz
…È un libro
davvero particolare sotto vari punti di vista: è pieno di frasi brevi e
lapidarie che al primo impatto potrebbero apparire banali o non degne di
interesse particolare ma che, lette meglio, rivelano tutta la forza del loro
significato, frasi che lasciano senza parole l’interlocutore come un destro ben
assestato o che al contrario trasmettono un forte senso di speranza,il tutto
dietro parole semplici e quotidiane. Per caratterizzare i personaggi l’autore
ha scelto due “tipi umani” facilmente stereotipati, il professore bianco e l’ex
detenuto nero, ma subito emerge la carica innovativa del testo: il nero
nonostante tutto quello che ha vissuto ha un incrollabile forza e decisione ad
andare avanti ma non da solo, bensì aiutando le persone che lo circondano; al
contrario il bianco pur nella sua esistenza tranquilla (vissuto in una famiglia
probabilmente benestante, ha avuto la possibilità di studiare e di diventare
professore, al momento narrato esercita una professione onesta che gli assicura
una sopravvivenza priva di preoccupazione) desidera solo di farla finita in
mancanza di una motivazione valida che gli faccia sopportare la decadenza cui
assiste ogni giorno. Altro tratto caratteristico è la durezza dei contenuti e
il modo in cui sono espressi, non ci sono mezze parole o eufemismi, la realtà,
specialmente dalla bocca del nero è resa in tutta la sua crudezza. Allo stesso
modo, però, il Nero con la sua schiettezza e il suo entusiasmo fa di tutto per
esaltare la bellezza della vita agli occhi dell’interlocutore, apparentemente
senza successo.
Nel libro
uno dei temi più evidenti è quello della disperazione dovuta all’impotenza:
quella del Bianco che non può fare nulla per impedire lo sgretolamento delle
cose che ama e quello del Nero che non può fare nulla di fronte alla
testardaggine del Bianco; è proprio questa consapevolezza unita alla
vanificazione di tutti gli sforzi che rende il finale sospeso così lacerante e
doloroso, per il Nero, ma soprattutto per il lettore, che dopo aver assistito
all’incontro di boxe sperando nel successo non di uno dei due pugili ma della
bellezza della vita di fronte alla disperazione dell’oblio rimane senza sapere
cosa succederà e potendo solo immaginare il finale che desiderava dalla prima
pagina.
Ma
soprattutto penso che a rendere questo libro così particolare sia la sua forza
intrinseca che avvince il lettore facendogli desiderare di non interrompere la
lettura anche se tecnicamente l’argomento era un fatto che rientrava
tranquillamente nel quotidiano, ovvero il dialogo tra uomini che si erano
appena conosciuti.
…Testo letterario ma anche testo
teatrale (andato in scena a Chicago nel maggio del 2006), anzi a dire il vero
inizialmente l’autore lo aveva pensato solo ed esclusivamente per il teatro:
tutto il dialogo dei due si svolge in una stanza di un caseggiato popolare in
un quartiere nero di New York dove il bianco appena salvato dal suicidio viene
portato dal nero. Una stanza spoglia, un ambiente squallido e i due uomini
attorno ad un tavolo su cui ci sono una bibbia da una parte a designare
l’universo del Nero: assoluto (per lui è difficile immaginare l’esistenza di
altri mondi) e un giornale a designare l’universo dell’altro, un universo
relativo dove ci sono fin troppi mondi, dall’altro; un paio di occhiali, un
taccuino e una matita, urticanti simboli dell’ateo e del credente che verranno
utili per comprendere la disputa teologica, dal vago sapore medioevale, che si
va sviluppando sui “massimi sistemi” e su tutto una domanda che aleggia
prepotentemente: “perché darsi pena per salvare una vita? A che vale la vita?”.
Dialogo puro, batti e ribatti allo stato grezzo con il Bianco che vuole morire
e il Nero che vuole salvarlo, il Bianco che vuole uscire dalla stanza e tornare
ai suoi intenti e il Nero a trattenerlo. Il Bianco ad interpretare l’uomo
sartriano, colto, competente, arcigno a mostrare il broncio alla vita e con una
postura annoiata a significare che ha già deciso. I due sono veramente Bianco e
Nero divisi da una distanza che è contrapposizione netta, irriducibile; le loro
strade percorrono parallele senza mai incontrarsi e se per caso in qualche
circostanza si sfiorano appena, sono scintille. Tutto ciò provoca tensione e il
lettore ne sente il peso attraverso le parole usate dallo scrittore; una
tensione che resta altissima dalla prima all’ultima pagina inchiodando chi
legge a una lettura convulsa, sincopata, avvolgente. Il punto fondamentale sui
cui tutto ruota e verte l’animata discussione dei due è quello della
“responsabilità” dell’uomo sull’uomo in cui il Bianco è incapace di cogliere
l’aspetto del reale fermandosi sulla soglia, una soglia fatta di “letteralità”
e “materialità” che non permette di vedere oltre e soprattutto di vedere in
assoluto davanti a sé, cose c’è nel futuro. E’ un incontro devastante, un vero
e proprio match pugilistico (a livello metaforico) che poteva durare l’arco di
un paio di pagine, tanto è evidente sin dalle prime battute che i due non si
troveranno mai, con il Nero che non si ferma alla prima giustificazione del
Bianco, e spinge il suo interlocutore ad approfondire, a scavare, a scoprire,
poiché cerca la verità e così facendo si preoccupa del “fratello” in
difficoltà; mentre il Bianco si ferma ancor prima perché con i suoi studi lui
sa che non c’è un significato che si cela dietro l’esistenza di ognuno di noi…
…Perché di una partita
evidentemente si tratta: “il nero muove”, “il bianco abbozza una difesa”, “il
nero tenta un attacco”, “il bianco arrocca”. È fin troppo evidente nel
succedersi di nero-bianco-nero ma anche nell’ambientazione (due davanti a un
tavolino spoglio, un tot di tempo a testa) e nella successione delle aperture e
delle strategie. Il nero attacca ingenuamente, il bianco è più tattico, il nero
cerca tempo per ulteriori mosse ma il bianco lo logora lentamente mangiandogli
i pezzi, fino al contrattacco finale, spietato, “il bianco muove e vince in tre
mosse[4]”, fine (no). E non si può non farsi venire in mente un’altra grande
partita a scacchi con in palio vita e morte: quella tra il Cavaliere e la Morte
ne Il settimo sigillo di
Ingmar Bergman. La morte lì è nera, sarcastica, terribilmente razionale e il
cavaliere bianco muove per scappare dalla morte ma poi per andarle incontro…
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