Media internazionali e nazionali hanno
raccontato in modo vergognoso, parziale e profondamente scorretto quanto
accaduto ieri a Gaza. Ma i fatti e le immagini parlano più di qualunque
menzogna
La popolazione palestinese è stata
abituata negli anni alla disinformazione per quanto riguarda la narrazione
dominante rispetto alle proprie vicende.
Quanto accaduto ieri, nel primo giorno
della Great Return March ha ampiamente superato il limite
della vergogna e della decenza e non solo in Italia.
I fatti sono abbastanza espliciti ed
inequivocabili, quasi 20.000 persone si sono avvicinate alla barriera tra la
Striscia e Israele a partire da sei accampamenti lungo il perimetro, invadendo
quella buffer zone, o zona cuscinetto che percorre tutta la
frontiera, permanentemente interdetta alla coltivazione e all’accesso. A parte
un singolo isolato caso di due militanti della Jihad islamica che erano armati
(e sono stati subito uccisi dall’esercito israeliano) tutti i manifestanti
hanno utilizzato esclusivamente modalità di protesta popolari e
nonviolente,avvicinandosi al muro di separazione disarmati, a volto scoperto,
assieme a bambini e donne.
La repressione si è trasformata in un
vero e proprio massacro, si parla ad oggi di 16 morti e più di mille feriti.
Hamas, pure ovviamente presente durante la marcia, non ha avuto un ruolo
centrale: questa è stata convocata da una larga coalizione che include anche
tutti i pezzi laici e di sinistra della società civile palestinese. Non a caso,
parti della sinistra israeliana si sono organizzate nei giorni scorsi per manifestare
il proprio supporto dall’altra parte del muro. Nessun soldato israeliano è
stato ferito nella giornata di ieri.
Vediamo cosa riportano i
giornali. Repubblica parla di «violenti scontri»
«violentissima battaglia». Perché un massacro di persone disarmate diventa
improvvisamente una battaglia? Una battaglia linguisticamente parlando è un
confronto tra due entità armate. La Stampa titola «Hamas
sposta le masse al confine e punta al ritorno dei profughi del 1948» mentre
l’articolo è ancora peggiore: «La strategia adottata da Hamas ha messo in
difficoltà Israele e costretto i suoi militari nella difficile posizione di chi
deve sparare sui civili. L’esercito se lo aspettava, perché i preparativi
andavano avanti da giorni, ma non era facile trovare
contromisure». Del resto, cosa altro si può fare davanti a migliaia
di persone disarmate che vanno verso un confine invalicabile, se non sparare?
Il Corriere (che oggi ha
già spostato molto giù l’articolo) riporta «La “Marcia del ritorno” finisce in
un bagno di sangue: l’esercito ebraico risponde con caccia e blindati
all’attacco dei manifestanti: bombardati 3 siti di Hamas». A quale attacco si
risponde con caccia e blindati? A quello di migliaia di persone disarmate?
Il Messaggero si unisce alla
definizione «scontri al confine» e riporta un articolo in cui sono virgolettati
solo comunicati dell’esercito israeliano e di media israeliani, i palestinesi
non meritano neanche il microfono, strana deontologia professionale.
Anche a livello internazionale la
giornata è stata riportata in modo non meno grave, come Mondoweiss
sottolinea, riportando la lettura estremamente parziale e ingiusta dello
stesso New York Times.
Ieri la popolazione di Gaza ha
dimostrato coraggio e capacità di mobilitazione impensabili dopo anni di
prigionia dentro la Striscia dove le condizioni di vita sono impossibili,
come ha raccontato recentemente Dinamo.
Per ricordare chi ieri è stato ucciso,
per sostenere chi ha creduto nella Great Return March e continuerà a crederci
nei prossimi giorni, pubblichiamo questa photogallery tratta dal portale
indipendente +972mag.com…
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