Flusso di cassa, dividendi e
indirizzi di politica estera.
Il quadro generale
Se dici industria della Difesa non puoi non
pensare al ministero della Difesa. Sono due entità compenetrate e strette
saldamente da un patto simbiotico tutto governativo in cui purtroppo anche i
sindacati confederali giocano un ruolo per niente marginale.
Governativa è infatti la nomina degli
Amministratori delegati di Leonardo e sempre governativa, ovviamente, è la
nomina dei titolari del dicastero competente (a cui bisogna aggiungere, per
completezza, i titolari del ministero di Economia e Finanze e del ministero per
lo Sviluppo economico).
Ministri ed amministratori delegati vanno e
vengono, si sa, per le più disparate ragioni: scandali, mazzette, governi che
cadono o terminano il loro mandato, condanne penali. Nessuno di questi è
indispensabile, l’importante è che tutti/e si facciano custodi ed interpreti,
indipendentemente dal segno politico, del trasversale patto simbiotico in
essere.
In questo senso l’ex ministro Roberta Pinotti
è stata una zelante interprete ed una risoluta portatrice d’acqua. Nel suo
curriculum ministeriale possiamo annoverare un Libro bianco della Difesa tutto
rivolto all’hitech industriale, bilanci del ministero in crescita, una
fruttuosa azione di promozione commerciale per sistemi d’arma di terra, di
cielo e di mare che ha riportato Leonardo nella top ten globale ed infine il
posizionamento dell’Italia come terzo socio di maggioranza nell’architettura
della Pesco, impropriamente definita Difesa europea.
Il lavoro della Pinotti lascia concretamente
una bella dote ai fatturati di Leonardo, anche in prospettiva.
Non a caso l’amministratore delegato
Alessandro Profumo, a margine della presentazione del nuovo piano industriale
2018-22 di Leonardo, ha ringraziato pubblicamente il governo definendo
“incredibile” il suo supporto nella riapertura del mercato con l’India a
seguito degli scandali (mazzette e relativi procedimenti giudiziari) legati
alla vecchia fornitura di elicotteri AW-101.
Da Moretti a Profumo
Prima di considerare il nuovo piano
quinquennale di Leonardo vale la pena di fare un cenno al recente passato di
questo grosso conglomerato industriale.
Nel 2014 Mauro Moretti, ex sindacalista
Filt-Cgil, viene paracadutato da Matteo Renzi ai vertici di Finmeccanica dopo
una lunga carriera come amministratore delegato prima di Rfi (Rete ferroviaria
italiana) poi di Fs (Ferrovie dello Stato).
Moretti raccoglie quindi il testimone
lasciatogli dal management che l’ha preceduto: vende gli asset industriali
legati all’energia ed ai trasporti (Ansaldo) per puntare tutto sull’hi-tech
militare e trasforma rapidamente Finmeccanica da holding di controllo a vera e
propria “one company”
articolata in sette specifiche Divisioni. Il senso di questa operazione è stato quello di
consolidare il gruppo attorno ad un orizzonte industriale rivolto quasi
esclusivamente al mercato globale dei sistemi d’arma più avanzati.
La conseguenza evidente di questa scelta è
stata quella di rinunciare totalmente al controllo pubblico su alcune leve
industriali indispensabili per pensare ad una conversione del Paese in materia
di trasporti, logistica ed energia.
Questa strategia di Moretti raccoglie un
immediato apprezzamento della Borsa e persino della Fiom che si spinge ad offrire anche suggerimenti di un
certo peso al governo (marzo 2017):
“…la Fiom-Cgil condivide le linee strategiche del piano (…) Il ruolo
del nostro Governo va esercitato con determinazione dentro il progetto del
Piano di difesa europeo, che ha spinto ogni paese a rafforzare le imprese
nazionali in termini di alleanze geopolitiche e di investimenti dedicati a
innovazione e tecnologie ad alto valore aggiunto.
Questa è la ragione per la
quale abbiamo chiesto unitariamente, con Fim e Uilm, la convocazione di un
incontro da parte del Presidente Gentiloni sulle politiche industriali, sul
livello di impegno che intende destinare alla più grande impresa metalmeccanica
di questo paese, ovvero Leonardo (…)
Quell’appuntamento sarà anche
l’occasione per avanzare di nuovo la nostra proposta di un ruolo deciso di Cassa
Depositi e Prestiti dentro un processo di eventuale ricapitalizzazione di
Leonardo, oltre che per sollecitare il Ministro competente a ricomprendere le
attività strategiche dell’aerospazio, della sicurezza e della difesa dentro le
iniziative intraprese a sostegno del programma Industria 4.0…”.
Purtroppo per Moretti, in concomitanza con la
presentazione del piano industriale di Leonardo (2017-2021) a cui per altro fa
riferimento la nota Fiom riportata qui sopra, arriva la sentenza del tribunale
di Lucca che lo condanna a 7 anni di reclusione per la strage ferroviaria di
Viareggio del 2009 che costò la vita a 32 persone.
Nonostante l’estrema gravità della sentenza,
definita “populista” dal suo avvocato, Moretti incassa immediatamente la
conferma della sua carica dal Cda e non si dimette; ma a maggio, suo malgrado,
Gentiloni, Padoan e il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella lo
rimuovono dall’incarico per sostituirlo con il banchiere Alessandro Profumo,
già ad di Unicredit.
Il Cda di Leonardo accorderà comunque a Mauro
Moretti una buona uscita di oltre nove milioni di euro.
Leonardo 2.0: “one company –
one voice”
“…Il lavoro svolto da Moretti costituisce una solida, fantastica
base per costruire il futuro…”, ha dichiarato il nuovo
amministratore delegato lo scorso luglio. In effetti la nuova one company,
debitamente alleggerita dagli asset civili più ingombranti, presenta quasi
tutte le carte in regola per rilanciarsi nella mischia del business bellico
globale. Quasi, perché Moretti, nella sua foga innovatrice fatta di tagli,
accorpamenti, cessioni e riorganizzazione societaria, ha penalizzato
pesantemente la struttura commerciale di Leonardo silurando managers e
depauperando l’attività degli uffici all’estero.
Profumo, conscio del fatto che non si può
contare soltanto sullo spirito di servizio di governi e ministri (per quanto
“incredibile”), ha deciso di mettere mano a questa falla creata dalla gestione
del suo predecessore. Falla che, se non riparata velocemente, rischia di
compromettere la vocazione all’internazionalizzazione e all’export di Leonardo.
Ecco allora che con il nuovo piano industriale
per il quinquennio 2018-22, che resetta quello di Moretti, si parla già di
“Leonardo 2.0”.
Al centro del piano in questione, presentato
lo scorso gennaio, c’è il rilancio massiccio della struttura commerciale che
all’oggi poggia su un organico di 500 persone in Italia e in 25 uffici e
filiali all’estero. Verranno aperti altri 26 uffici in tutto il mondo e 25
nuove iniziative commerciali affiancate da hub regionali di coordinamento. Il
senso di questo potenziamento è quello di presidiare ogni mercato ritenuto
strategico, influenzare i requisiti che stanno alla base delle gare per le
forniture militari e contemporaneamente garantire un supporto sistematico post-vendita
al cliente (il così detto customer support & service).
Il rilancio della struttura commerciale, nelle
intenzioni del management dovrebbe consentire la crescita degli ordini, dei
ricavi e della stessa redditività.
Profumo conta, in cinque anni, di recuperare e
rilanciare il business Elicotteri (divisione che ha perso un miliardo di ricavi
nel periodo 2012-17) e portare al 6% la crescita degli ordini complessivi di
Leonardo per un valore di 70 miliardi di euro.
Il flusso di cassa per il 2018 è stimato in
100 milioni di euro e questo pare essere il motivo di una pessima performance
in borsa all’atto della presentazione del piano industriale.
Tuttavia le prospettive per il flusso di cassa
(e per i dividendi) sono davvero rosee: tra il 2019 ed il 2020 questo è
destinato al raddoppio grazie ai petrodollari che arriveranno a Leonardo
principalmente per la fornitura di cacciabombardieri Eurofighter al Kuwait, al
Qatar e per un secondo ordine saudita in arrivo. Rispetto al “prodotto”
Eurofighter va detto inoltre che nel piano non è stata conteggiata la probabile
commessa tedesca da 90 unità (stimabile in 8-10 miliardi di euro) rivolta alla
sostituzione dei vecchi Tornado. Vola bene pure il settore degli addestratori,
di cui Leonardo è leader mondiale.
Fruttuose inoltre le prospettive per
l’Elettronica per la Difesa, la divisione trainante che già nel 2016 valeva il
45% del business Leonardo: una commessa navale per il Qatar, un buon andamento
della controllata DRS e i programmi della Legge Navale (metà del valore di un’imbarcazione militare
è dato dall’elettronica e dai sistemi d’arma imbarcati).
Nella sostanza, il piano sembra chiudere con
la fase di ristrutturazione morettiana per orientarsi alla crescita; la quale
si appoggia, tra l’altro, all’aumento delle spese militari e ai finanziamenti
europei messi a disposizione dalla Pesco per la ricerca e lo sviluppo. E non va
dimenticato l’abbattimento totale dell’Iva per i sistemi d’arma “made in
Europe”, un vero e proprio assist per sostenere la concorrenzialità sul prezzo
dei prodotti rispetto agli Stati uniti.
Nel piano si prevedono risparmi di costo da
200 milioni di euro all’anno che verranno reinvestiti nell’abbassamento
ulteriore dei prezzi. Viene quindi fissato un aumento degli investimenti che si
attestano a 600-700 milioni l’anno. Investimenti che andranno a sviluppare
principalmente il portafoglio prodotti delle tre divisioni trainanti
(Elettronica per la Difesa, Aerospaziale, Elicotteri).
“…siamo certi…” dice Profumo nel comunicato stampa ufficiale “…che questo Piano fornirà le basi per una nuova fase di crescita
sostenibile, caratterizzata da costante miglioramento della nostra top line,
della redditività e flusso di cassa per la creazione di valore a beneficio di
tutti gli stakeholder…”.
E non c’è dubbio che Leonardo 2.0 abbia il vento in poppa: una rombante guerra fredda 2.0 che rilancia alla grande il riarmo europeo sostenuto dalla Pesco, gli alleati “giusti” in medio oriente ma soprattutto l’esenzione delle spese militari dai vincoli di austerità legati al Fiscal compact ed al pareggio di bilancio. Soffiano infatti sulle vele della one company un po’ tutti: dalle forze politiche rappresentate in Parlamento (cinque stelle compresi) ai sindacati confederali che considerano evidentemente un cacciabombardiere alla stessa stregua di una lavatrice.
E non c’è dubbio che Leonardo 2.0 abbia il vento in poppa: una rombante guerra fredda 2.0 che rilancia alla grande il riarmo europeo sostenuto dalla Pesco, gli alleati “giusti” in medio oriente ma soprattutto l’esenzione delle spese militari dai vincoli di austerità legati al Fiscal compact ed al pareggio di bilancio. Soffiano infatti sulle vele della one company un po’ tutti: dalle forze politiche rappresentate in Parlamento (cinque stelle compresi) ai sindacati confederali che considerano evidentemente un cacciabombardiere alla stessa stregua di una lavatrice.
(*) articolo tratto da Pressenza
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