Red Virginia - Pietro Bianchi
Nella West Virginia, lo stato più povero d’America, dove Donald Trump ha
raccolto in assoluto più consensi durante l’ultima elezione, nelle ultime
settimane gli insegnanti delle scuole pubbliche hanno portato avanti una delle
lotte sindacali più radicali degli ultimi anni. E hanno vinto
Quando il 9 novembre 2016 l’America si svegliò nell’incubo di una vittoria
di Donald Trump, nessuno nel piccolo stato della West Virginia poteva dirsi
davvero sorpreso. Si trattò, con il 68.5% dei voti (e punte in alcuni contee
dell’87%) dello Stato in cui la percentuale di consenso di Trump fu più alta di
tutti gli Stati Uniti, con una vera e propria umiliazione di Hillary Clinton
che venne staccata di più di 42 punti. È ormai qualche decade che la West
Virginia sembra essere un’inattaccabile roccaforte repubblicana, persino più di
Alabama, Tennessee o degli stati di quell’America bianca, rozza e rurale che
sembrerebbe essere il più grande bacino di consenso del miliardario di New
York. D’altra parte è lo stato dove Obama venne brutalmente sconfitto due volte
persino nella sua “gloriosa” vittoria del 2008 e dove ormai i Repubblicani
stravincono senza nemmeno aver bisogno di fare campagna elettorale. Com’è che
allora proprio nello Stato più repubblicano e conservatore d’America nelle
ultime settimane è avvenuta una delle lotte sindacali più radicali e avanzate
degli ultimi anni?
La storia della West Virginia può davvero essere considerata una metafora
della parabola della lotta di classe in America. All’inizio del XX Secolo
quando il carbone doveva alimentare il motore dello sviluppo industriale
americano, le miniere della West Virginia avevano un ruolo fondamentale e
attraevano capitali e lavoratori da tutta l’America. Ma le condizioni della
miniera erano devastanti e la mortalità sul lavoro più alta di ogni altro
settore produttivo.
Il sindacato degli United Mine Workers of America (UMWA) iniziò una
durissima battaglia sindacale che culminò nelle famosissime Mine Wars.
Non dobbiamo pensare al termine war come metaforico: fu il più
grande conflitto sul lavoro dell’intera storia degli Stati Uniti e il più
imponente scontro armato sul territorio americano dopo la Guerra Civile. Per
cinque giorni dalla fine di agosto all’inizio di settembre nel 1921 a Logan
County 10mila minatori armati si batterono con 3mila tra poliziotti, crumiri e
guardie private pagati dalle aziende minerarie per il riconoscimento del
proprio sindacato, fino a che il Governo Federale non decise di mandare
l’esercito.
Com’è noto il movimento sindacale americano iniziò a essere duramente
represso a partire dagli anni Trenta, ma la West Virgina riuscì a mantenere la
nomea di zoccolo duro della sinistra sindacale americana fino a pochi anni fa.
Ancora negli anni Sessanta e Settanta nella West Virginia il partito
democratico prevaleva anche in elezioni storiche per i repubblicani come la
vittoria di Nixon del 1968 o il famoso landslide di Reagan del
1980 (dove vinse 44 a 6 e la West Virginia era uno dei sei stati “in
controtendenza”). Ciò che non fece l’ideologia neo-liberale degli anni Ottanta
e Novanta lo fece la deindustrializzazione che rese obsoleto il ciclo
produttivo del carbone, soprattutto a fronte di una produzione manifatturiera
che il capitale americano riuscì parzialmente a spostare in luoghi dal costo
del lavoro più basso. Oggi la West Virginia è il 49esimo Stato come reddito pro
capite, secondo solo al Mississippi, e nella famosa Logan County, teatro
delle Mine Wars, nonostante si abbia un’aspettativa di vita
maschile di 69 anni (9 in meno della media nazionale, con un dato che è in
linea con i paesi africani del Nord), Trump nelle ultime elezioni ha preso il
79,6% dei voti.
E tuttavia la lotta di classe riesce spesso a essere “carsica” e a
conservare in modo inaspettato la memoria lunga dei conflitti sindacali del
passato. È interessante che siano stati proprio gli insegnati delle contee di
Logan, Wyoming e Mingo, a fronte di un’emergenza sociale e persino “sanitaria”
di questo tipo, a iniziare lo scorso 2 febbraio una delle più esaltanti lotte
degli ultimi anni che si è appena conclusa ieri con un’incredibile vittoria. La
West Virginia, che si è unito da poco alla lunga lista degli Stati che hanno
adottato la legislazione right-to-work (una disciplina del
diritto del lavoro particolarmente ostile alle organizzazioni del lavoro),
prevede che i contratti dei dipendenti statali vengano decisi in modo
unilaterale dagli organi legislativi dello stato, senza l’obbligo di alcuna
consultazione delle parti sociali. Quando lo scorso autunno si è trattato di
rinnovare il contratto, lo Stato della West Virgina aveva proposto a tutti i
dipendenti un misero aumento dell’1%, ben al di sotto l’aumento dell’inflazione
e del costo della vita, e una revisione dei benefit della Public Employees
Insurance Agency (PEIA), l’assicurazione sanitaria di tutti i dipendenti
statali, che avrebbe sensibilmente aumentato i premi assicurativi anche di
centinaia di dollari l’anno. Gli insegnanti della scuole pubbliche, che hanno
tra gli stipendi più bassi di tutta la nazione (sono il 48esimo Stato su 50 che
formano gli Stati Uniti) e continuano a “perdere” insegnati a favore degli
Stati limitrofi, hanno allora iniziato un processo di auto-organizzazione
utilizzando i due sindacati degli insegnanti presenti – l’American Federation
of Teachers che fa parte dell’AFL-CIO e il West Virginia Education Association,
che fa parte del più moderato National Education Association (NEA) – e anche il
West Virginia School Service Professional Association che riunisce gli autisti
dei bus, i custodi, i bidelli e i lavoratori delle mense.
In passato queste sigle sindacali sono state spesso in competizione tra
loro, ma questa volta hanno deciso di lavorare insieme per organizzare una
mobilitazione che è cresciuta di settimana in settimana a partire da un
semplice gruppo Facebook fino ad arrivare il 17 febbraio a una manifestazione
di 10mila persone fuori dalla Camera dei Delegati e dal Senato della capitale
Charleston dove insieme ai lavoratori statali hanno manifestato anche i
Teamster (lo storico sindacato dei camonisti) e gli United Mine Workers.
Con molti di loro che sfoggiavano le bandane rosse simbolo delle lotte
sindacali delle miniere (uno dei simboli da cui viene il soprannome
dispregiativo di redneck, gli ignoranti della provincia del Sud)
gli insegnati si sono accampati fuori dal parlamento per convincere i delegati
e i senatori a rivedere la loro decisione. Tuttavia è stato solo con la
convocazione di uno sciopero selvaggio dell’intero Stato (che per i
dipendenti pubblici è illegale) che la lotta ha iniziato davvero a fare
male. Gli insegnanti chiedevano un aumento del 5% dei salari e una revisione
radicale della politica dei premi dell’assicurazione sanitaria statale. Ci sono
voluti ben 9 giorni di sciopero a oltranza che hanno bloccato l’intero sistema
scolastico dello Stato per riuscire ad arrivare a un accordo nel quale tutte le
richieste degli insegnati sono state accettate dalla controparte. Jim Justice,
il Governatore dello Stato – un’opportunista che è passato due volte
dall’essere Democratico all’essere Repubblicano, ora in quota Trump – e che
nell’ultima campagna elettorale aveva avuto un endorsement persino dal West
Virginia Education Association, si è dovuto rimangiare tutto quello che aveva
detto nei primi giorni. 277mila studenti sono rimasti a casa da scuola per 9
giorni scolastici, ma la solidarietà delle famiglie da tutte le contee dello
Stato è stata totale, e sono stati organizzati addirittura dei pranzi
autogestiti per permettere ai ragazzi e alle ragazze delle scuole di far fronte
alla chiusura delle mense durante i giorni di sciopero.
Molti sono rimasti sorpresi dalla radicalità della lotta degli insegnati
della West Virginia, che viene tutt’ora considerato come uno dei buchi neri
della provincia americana più arretrata e incolta, dove il conservatorismo
trumpiano sembrava avere un’egemonia totale. Eppure la grande lezione di questi
giorni è che le lotte sul lavoro riescono a pagare anche là dove il conflitto
di classe sembrerebbe essere più nascosto e più difficile da organizzare: in
quei right-to-work state che sembrano aver fatto
ritornare la lancetta delle relazioni industriali a inizio Novecento. Ma che di
quegli anni stanno facendo ritornare anche i conflitti.
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