La cosiddetta emergenza migratoria sta
facendo colare a picco le democrazie europee, che stanno rinnegando i propri
valori fondamentali, ossia la dottrina
dei diritti umani e il principio di uguaglianza, per l’obiettivo
dichiarato di proteggere i propri cittadini, tutto sommato benestanti, da una
presunta minaccia – fisica, economica, di valori – in arrivo dall’esterno.
Il
potenziale immigrato è d il nuovo
barbaro e viene sistematicamente destituito della propria dignità
di persona. Si agita lo spauracchio della sicurezza esasperando diffidenze
istintive e poco ragionate col progetto di istituire il “governo della paura”: è questo
il nuovo carburante dell’azione politica, miserabile sostituto delle correnti
culturali e ideologiche di un tempo. E’ un progetto rovinoso e contraddittorio, se
pensiamo che un’Europa senza gli immigrati presenti e futuri andrebbe incontro
a un inesorabile tracollo demografico e quindi economico, oltre che culturale.
E’ un
ragionamento, quello appena esposto, escluso dal ragionamento politico
corrente: viene di solito bollato come ideologico, oppure buonista, o magari ingenuo; la tesi corrente è
che siamo di fronte a un’invasione epocale, che occorre “governare” i flussi e
che l’obiettivo dev’essere la limitazione degli ingressi e il rafforzamento
delle frontiere, costi quel che costi (c’è anche ci si produce in acrobatici
cortocircuiti sostenendo che proprio il blocco delle migrazioni salvaguarda le
democrazie, che altrimenti finirebbero sgretolate dal rancore sociale e
dall’odio razziale…)
Donatella Di Cesare, in un bellissimo
intervento su Radio 3, ha sviluppato su questo tema una visione
filosofico-politica molto originale, nella quale mette a fuoco le origini
dell’attuale guerra che lo stato nazionale sta conducendo contro i migranti, in
nome di un’idea di cittadinanza che postula un sorta di diritto di proprietà sul territorio spettante
ai nativi. Per difendere questa equivoca idea di cittadinanza lo stato è
disposto a sacrificare i diritti umani, abiurando così i propri valori
fondamentali.
Eppure le
migrazioni non sono certo una novità nella storia dell’umanità e della stessa
società occidentale: il punto è allora tutto politico. Donatella Di Cesare afferma che la globalizzazione
ha portato in primo piano il cuore di un diverso concetto di cittadinanza, nel
quale non esiste una relazione di proprietà fra nativi e territorio: siamo
invece tutti “stranieri residenti”,
a vario titolo ospiti del luogo nel quale si vive e si opera, senza alcun
diritto proprietario. Questa visione è oggi negata da chi ha interesse a
mantenere lo status quo, costi quel che costi, anche una guerra ai migranti e
ai diritti umani, una guerra che sta mettendo a repentaglio la stessa
possibilità di una convivenza democratica su basi di uguaglianza.
Perciò Di
Cesare conclude sostenendo che il diritto
di migrare è la prospettiva dei nostri tempi e del nostro futuro,
in una battaglia culturale e politica simile – dice – a quella combattuta contro la schiavitù.
Nessun commento:
Posta un commento