La Libertà Non Sta Nello Scegliere Tra Bianco E Nero, Ma Nel Sottrarsi A Questa Scelta Prescritta. (Theodor W.Adorno)
venerdì 16 marzo 2018
La polizia contro Pasolini, Pasolini contro la polizia - Wu Ming 1
1. “Quel bastardo è morto”
Elisei
Marcello, di anni 19, muore alle tre di notte, solo come un cane alla catena in
una casa abbandonata. Muore dopo un giorno e una notte di urla, suppliche,
gemiti, lasciato senza cibo né acqua, legato per i polsi e le caviglie a un
tavolaccio in una cella del carcere di Regina Coeli. Ha la broncopolmonite, è
in stato di shock, la cella è gelida. I legacci bloccano la circolazione del
sangue. Da una cella vicina un altro detenuto, il neofascista Paolo Signorelli,
sente il ragazzo gridare a lungo, poi rantolare, invocare acqua, infine il
silenzio. La mattina, chiede lumi su cosa sia accaduto. “Quel bastardo è
morto”, taglia corto un agente di custodia. È il 29 novembre 1959.
Marcello
Elisei stava scontando una condanna a quattro anni e sette mesi per aver rubato
gomme d’automobile. Aveva dato segni di disagio psichico. Segni chiarissimi:
aveva ingoiato chiodi, poi rimossi con una lavanda gastrica; il giorno prima
aveva battuto più volte la testa contro un muro, cercando di uccidersi. I
medici del carcere lo avevano accusato di “simulare”. Le guardie lo avevano
trascinato via con la forza e legato al tavolaccio.
Il
15 dicembre si dimette il direttore del carcere Carmelo Scalia, ufficialmente
per motivi di salute. A parte questo, per la morte di Elisei non pagherà
nessuno. Inchieste e processi scagioneranno tutti gli indagati.
Leggendo
della vicenda, Pier Paolo Pasolini rimane sconvolto. “Non so come avrei scritto
un articolo su questa orribile morte”, dichiara alla rivista Noi donne del 27
dicembre 1959. “Ma certamente è un episodio che inserirò in uno dei racconti
che ho in mente, o forse anche nel romanzo Il rio della grana”. Un romanzo rimasto incompiuto,
poi incluso tra i materiali della raccolta Alì dagli occhi azzurri (1965).Se dovessi scrivere un’inchiesta,
aggiunge, “sarei assolutamente spietato con i responsabili: dai secondini al
direttore del carcere. E non mancherei di implicare le responsabilità dei
governanti”.
L’agonia
e la morte in solitudine di Marcello Elisei scaveranno a lungo dentro Pasolini,
fino a ispirare il finale di Mamma Roma (1962). Ma nel 1959 Pasolini non è
ancora un regista. Ha 37 anni, è autore di raccolte poetiche, sceneggiature e
due romanzi che hanno fatto scalpore: Ragazzi di vita e Una vita violenta. Ha già subìto fermi di polizia,
denunce, processi. Per censurare Ragazzi di vita si è mossa direttamente la
presidenza del consiglio dei ministri. Eppure, a paragone dello stalking
fascista, del mobbing poliziesco-giudiziario e del linciaggio mediatico che
l’uomo sta per subire, questa è ancora poca roba.
Nel
libro collettaneo Pasolini: cronaca giudiziaria,
persecuzione, morte (Garzanti 1977) Stefano Rodotà riassume la
questione in una frase: “Pasolini rimane ininterrottamente nelle mani dei giudici dal 1960
al 1975”. E anche oltre, va precisato. Post mortem. Rodotà parla di “un solo
processo”, lunga catena di istruttorie e udienze che trascinò Pasolini decine e
decine di volte nelle aule di tribunale, perfino più volte al giorno, tra
umiliazioni e vessazioni, mentre fuori la stampa lo insultava, lo irrideva, lo
linciava.
2. Il giornalismo libero
“Siamo
ovviamente d’accordo contro l’istituzione della polizia”.
L’uomo
che nel giugno 1968 scrive questo verso ha già sulle spalle quattro fermi di
polizia, 16 denunce e undici processi come imputato, oltre a tre aggressioni da
parte di neofascisti (tutte archiviate dalla magistratura) e una perquisizione
del proprio appartamento da parte della polizia in cerca di armi da fuoco.
“Appena avrò un po’ di tempo”, scrive in un appunto inedito, “pubblicherò un
libro bianco di una dozzina di sentenze pronunciate contro di me: senza
commento. Sarà uno dei libri più comici della pubblicistica italiana. Ma ora le
cose non sono più comiche. Sono tragiche, perché non riguardano più la
persecuzione di un capro espiatorio […]: ora si tratta di una vasta, profonda
calcolata opera di repressione, a cui la parte più retriva della Magistratura si
è dedicata con zelo…”. E ancora: “Ho speso circa quindici milioni in avvocati,
per difendermi in processi assurdi e puramente politici”.
Oggi
è difficile, quasi impossibile cogliere la portata della persecuzione subita
ogni giorno da Pasolini in 15 anni. La mostra Una strategia del linciaggio e delle mistificazioni,
inaugurata nel 2005 e da poco riallestita alla sala Borsa di Bologna,
restituisce appena tenui riverberi. Non può che essere così, per capire
bisognerebbe calarsi nell’abisso – come ha fatto Franco Grattarola, autore di Pasolini. Una vita violentata (Coniglio
2005) – e ripercorrere la sfilza dei pestaggi a mezzo stampa. Toccare con le
dita un’omofobia da sporcarsi solo a immaginarla. Soppesare l’intero corpus
fradicio di articoli, denso come un grande bolo di sterco e vermi.
Tra
i quotidiani si fa notare soprattutto Il Tempo, ma è la stampa periodica di
destra a tormentare Pasolini in maniera teppistica e ininterrotta. Rotocalchi
come Lo Specchio e Il Borghese si dedicano alla missione con entusiasmo, con
reporter e corsivisti distaccati a tallonare la vittima, a provocarla, a
colpirla in ogni occasione, con titoli come “Il c..o batte a sinistra” e lo
stile inconfondibile oggi ereditato da Libero – per citare una sola testata.
Sulle
pagine del Borghese si distinguono nel killeraggio il critico musicale Piero
Buscaroli e il futuro autore e regista televisivo Pier Francesco Pingitore,
fondatore del Bagaglino. Altre invettive giungono dallo scrittore Giovannino
Guareschi e, in un’occasione, dal critico cinematografico Gian Luigi Rondi, ma
la regina dell’antipasolinismo è senza dubbio Gianna Preda, pseudonimo di Maria
Giovanna Pazzagli Predassi (1922-1981), poi cofondatrice – indovinate – del
Bagaglino.
Celebrata
ancora oggi su un blog di destra come “la signora del giornalismo libero”,
“fuori dal coro”, “mai moralista né oscurantista” e via ritinteggiando, Preda
coltiva nei confronti di Pasolini un’autentica ossessione omofobica,
sessuofobica e – ça va sans dire –
ideologica. Sovente si riferisce allo scrittore/regista chiamandolo “la
Pasolina”. Per gli omosessuali, descritti come artefici di loschi complotti,
conia il termine “pasolinidi”. Va avanti per anni – proseguendo anche dopo la
morte di PPP – a scrivere cose del genere:
[Pasolini]
ha potuto, con immutata disinvoltura, continuare a confondere le questioni del
bassoschiena con quelle dell’antifascismo […] Una segreta alleanza […] fa dei
‘capovolti’ il partito più numeroso e saldo d’Italia; un partito che,
attraverso i suoi illustri esponenti, finisce sempre col far capo o col rendere
servizi al Pci […] Il ‘capovolto’ sente, a naso, quel che gli conviene e dove
deve appoggiarsi, se non vuole rendere conto all’opinione pubblica di quello
che essa giudica ancora un vizio […] Così nasce un nuovo mito… [A celebrarlo]
pensano poi i giornali di sinistra, che riescono a camuffare da eroismo la
paura segreta di questo o quel ‘capovolto’ clandestino. Luminose saranno le
sorti dei pasolinidi d’Italia. Già si avvertono i segni delle fortune di coloro
che hanno scoperto troppo tardi il vantaggio d’esser pasolinidi […] Se avremo,
dunque, nuovi scontri con i marxisti […] prima di pensare a coprirci il petto,
preoccupiamoci di coprirci le terga…
Il
“metodo Boffo” giunge da lontano. E anche i complottismi sulla malvagia “teoria
del gender”.
L’equivalente
di Gianna Preda sullo Specchio è lo scrittore ex repubblichino Giose Rimanelli,
celato dietro il nom de plume A.
G. Solari. Com’è ovvio, attacchi forsennati a Pasolini giungono anche dal
Secolo d’Italia, ma un lavorìo più subdolo e influente di character assassination ha
luogo sulla stampa popolare nazionalconservatrice, quella di riviste come Oggi
e Gente.
Si
va molto più in là, purtroppo. Pasolini sembra essere la cartina di tornasole
del peggio. Nel 1968 il regista Sergio Leone, interpellato dal Borghese, sente
l’urgenza di commentare così le polemiche sul film Teorema: “Sono convinto che tanti film sull’omosessualità
hanno fatto diventare del tutto normale e legittima questa forma di rapporto
anormale”. Perfino su Il manifesto si trovano battute omofobe: “La tesi [di
Pasolini] ridotta all’osso (sacro) è molto chiara…” (21 gennaio 1975). Come ha
scritto Tullio De Mauro:
I
fiotti neri finiscono con l’inquinare anche acque relativamente lontane. Il
linguaggio verbale non è fatto solo di ciò che diciamo e udiamo. È fatto anche
di ciò che, nella memoria comune, circonda e alona il detto e l’udito. Il
non-detto pesa accanto al detto, ne orienta l’apprezzamento e intendimento. Chi
legge nell’Espresso del 18 febbraio 1968 il pezzo Pasolini benedice i nudisti con foto di
giovanotto ciociaro nudo a cavallo di violoncello, è coinvolto dagli effetti
del fiotto nero d’origine fascista, gli piaccia o no e lo volessero o no i
redattori del settimanale radical-socialista.
È
una vasta campagna a favorire, o meglio, istigare non solo le azioni
poliziesche e giudiziarie, ma anche le aggressioni fisiche da parte di
fascisti. Fascisti mai toccati dalla magistratura, che poi finiranno in diverse
inchieste sulla strategia della tensione, come Serafino Di Luia, Flavio Campo e
Paolo Pecoriello.
Il
13 febbraio 1964, davanti alla Casa dello studente di Roma, una Fiat 600 cerca
di investire un gruppo di amici di Pasolini che difendevano quest’ultimo da un
agguato fascista. A guidare l’auto è Adriano Romualdi, discepolo di Julius
Evola e figlio di Pino, deputato e presidente del Movimento sociale italiano
(Msi). L’episodio è riportato con dettagli e fonti in tutte le biografie di
Pasolini, mentre è assente dalla voce che Wikipedia dedica a Romualdi.
Pasolini
non querela, né per le diffamazioni a mezzo stampa né per le aggressioni
fisiche. È una scelta meditata: non vuole abbassarsi al livello dei suoi
persecutori. Inoltre, se querelasse non farebbe che aumentare la già enorme
quantità di tempo che trascorre in tribunale.
3. Come mai?
Come
mai una simile persecuzione? Perché era omosessuale? Tra gli artisti e gli
scrittori non era certo l’unico. Perché era omosessuale e comunista? Sì, ma
nemmeno questo basta. Perché era omosessuale, comunista e si esprimeva senza
alcuna reticenza contro la borghesia, il governo, la Democrazia cristiana, i
fascisti, la magistratura e la polizia? Sì, questo basta. Sarebbe bastato
ovunque, figurarsi in Italia e in quell’Italia.
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