“Legato mani e piedi e pestato a sangue. Ma essendo
oggi il fascista vittima e non carnefice zero tweet di solidarietà.
Bisognerebbe ricordare Pannella e Pasolini: non si può esitare a condannare il
fascismo, ma non si può esitare a condannare il fascismo dell’anti fascismo”.
Claudio Cerasa, direttore de “Il Foglio“, tweet del 21
febbraio 2018
Riconoscere
l’esistenza di contraddizioni, talvolta anche pesantissime, presenti nei
diversi schieramenti sarebbe un atto di serietà e di responsabilità politica,
sia per i soggetti direttamente interessati, sia per gli osservatori dei fatti
pubblici, ammettere che esse ci accompagnano pressoché costantemente nel nostro
cammino sulla terra, sarebbe segno di onestà intellettuale. Ma l’affermazione di Cerasa, sul pestaggio palermitano di un
esponente di Forza Nuova, gioca con le parole fino a truccarne i significati e
non vuole indagare affatto quell’aspetto. È un terreno irto e
difficile, troppo faticoso, inadatto al tweet di giornata, soprattutto non ha
nulla a che vedere con la tesi che l’autore vuole dimostrare.
Il direttore de “Il Foglio” mentre cita
Pasolini sul “fascismo dell’antifascismo” – lasciando intendere di essere in consonanza
con lui, chiedendo di ascoltare la sua lezione – nega radicalmente il suo pensiero, lo rovescia come un calzino e
se ne pone agli antipodi. Se dovesse averlo fatto consapevolmente ci
troveremmo davanti all’ennesimo caso di un giornalismo manipolatorio e
truffaldino, se avesse scritto senza leggere le fonti, citando a casaccio,
orecchiando dal cialtronesco tritume senza alcun fondamento che da decenni
circola sul tema, sarebbe di certo ancora peggio.
Pasolini è angosciato dall’omologazione, la
disperazione giunge al suo culmine quando inizia ad essere convinto che essa
abbia rotto anche gli argini del campo antifascista. La sua invettiva, in quegli
articoli del Corriere, raccolti successivamente negli “Scritti Corsari“, parte dalla Chiesa, dal Vaticano, “è molto tempo ormai che lì i cattolici si sono dimenticati di
essere cristiani“, passa per la Democrazia Cristiana e arriva,
transitando attraverso i partiti laici, fino al PCI. “Non c’è più dunque differenza apprezzabile – al di fuori di una
scelta politica come schema morto da riempire gesticolando – tra un qualsiasi
cittadino italiano fascista e un qualsiasi cittadino italiano antifascista.
Essi sono culturalmente, psicologicamente e, quel che è più impressionante,
fisicamente, interscambiabili“. Pasolini non formula alcuna
teoria degli opposti estremismi, tutt’altro, per questi ultimi quel
medesimo identico processo omologatorio è solo una variante “più radicale” di
una trasformazione generale.
Il
principale obbiettivo di Pasolini, al contrario di Cerasa, non sono questi
ultimi ma chi declama un “antifascismo facile che ha per
oggetto ed obiettivo un fascismo arcaico che non esiste più e che non esisterà
mai più“. Quella borghesia del paese, e non solo essa, che ha
assunto, metabolizzato e trasformato “il vero fascismo [in] quello che i sociologhi hanno troppo bonariamente chiamato «la
società dei consumi»”, laddove ciò che è accaduto “nel paesaggio,
nell’urbanistica e, soprattutto, negli uomini, vede che i risultati di questa
spensierata società dei consumi sono i risultati di una dittatura, di un vero e
proprio fascismo“, un fascismo che ha cambiato “l’anima” anche ai
giovani, toccandoli nell’intimo. Pasolini chiude così: “se la
parola fascismo significa la prepotenza del potere, la «società dei consumi» ha
bene realizzato il fascismo“.
Naturalmente non è affatto obbligatorio essere
d’accordo, del tutto o in parte, con Pasolini, citarlo in questa guisa
però, ammiccando una convergenza d’opinione ma occultandone e negandone, di
fatto, pensiero, obbiettivi e contesto sui quali quella considerazione si fonda
e si sorregge, è un’operazione di grave disonestà intellettuale, filologica e,
in questo caso, anche deontologica.
Per Cerasa l’omologazione odierna dei soggetti
politici in campo sembra un dato acquisito, null’affatto preoccupante. Tutt’altro, ognuno – compreso il
campo antifascista – ha il proprio angolino buio, da cui la parte buona deve
prendere senza “esitare” le distanze, in questo modo tutto è sistemato, ogni
cosa si mette al suo posto. Così ritorna, rinnovata nella veste
lessicale, la teoria degli opposti estremismi, che mantiene intatto il suo
fascino arido, triste e consolatorio, benché sempre discreto, come
la penna di Cerasa mostra.
Naturalmente,
nell’urgenza dell’impulso cinguettante, il direttore straparla dell’assenza di
condanna di quel gesto orribile e violento laddove la condanna, sia pure ancora
superficiale e insufficiente, soprattutto nell’analisi e nelle risposte, è
stata invece amplissima.
Vorrei solo ricordare, in chiusura, che Pasolini scrive e articola
il suo pensiero sul fascismo e l’antifascismo nei mesi immediatamente
successivi alla “orrenda strage” di Piazza Loggia, le cui responsabilità
“reali” egli assegna da subito al “governo e (al)la polizia
italiana: perché se governo e
polizia avessero voluto, tali stragi non ci sarebbero state“. E’
vieppiù amaro allora, constatare come anche nella nostra città, così duramente
colpita dalla barbarie fascista, ci sia ancora oggi chi sottoscriva questo
superficiale e pericoloso modo di pensare indicato nel tweet di Cerasa,
rispolverando opposti estremismi e una sciagurata e inaccettabile equidistanza
tra fascismo e antifascismo.
Infine una nota su una assenza. Nell’articolo sul Corriere del 16
luglio 1964 ricordato sopra, Pasolini si occupa dell’antifascismo solo
indirettamente, la gran parte del suo argomentare ruota attorno al digiuno di
Pannella in relazione agli otto referendum proposti allora dai radicali e alle
reazioni politiche conseguenti a quell’evento. Pasolini
elabora in quel frangente, tra le altre, diverse considerazioni interessanti
sul tema della nonviolenza. Ecco, questo tema risulta assente dalla quasi
totalità delle proposte e delle carte dei principi dei soggetti politici
presenti oggi nel paese e laddove fa, sommessamente, capolino è relegato ad
ambiti di dettaglio, accuratamente recintati e circoscritti, senza
diventare mai criterio e direttrice principale per orientare parti preponderanti
di un progetto politico o assurgere a pilastro fondativo per il suo sviluppo.
Nessuna
crisi, nessun conflitto, potrà essere seriamente affrontato e risolto con gli
strumenti della violenza, della sopraffazione e della prepotenza. La strada,
lunga e difficile, della nonviolenza non potrà essere elusa se ancora vogliamo
dare un senso al nostro essere uomini e donne, alle relazioni che vogliamo
stabilire tra di noi e con l’intero creato, alla parola futuro.
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