Nel 2018 fare attivismo politico – e soprattutto in
difesa dei migranti – è un’impresa quasi impossibile. Dal 1998 a oggi,
l’associazione Front Line Defenders registra l’uccisione di
oltre 3.500 difensori dei diritti, 312 nel solo 2017; tra loro attivisti che si
battevano per l’ambiente, avvocati impegnati nel denunciare multinazionali o
pezzi corrotti del proprio Stato, oppositori politici che chiedevano giustizia.
A questo dato si aggiunge un fenomeno che il delegato Onu per la difesa dei
diritti umani Michael Forst definisce come “riduzione dello spazio pubblico”,
ossia la diminuzione dei luoghi dove i militanti possano agire, rendendo fuori
legge alcune attività.
In Europa ci sono Paesi che hanno messo al bando le
Ong, altri che hanno cercato di depotenziarle. Tra questi ultimi, capofila è
l’Italia, che nell’estate del 2017, attraverso l’introduzione di nuove norme,
ha decimato di fatto le missioni in mare: dalle nove del giugno 2017, alle sole
di tre oggi, come spiega La Voce.info. La narrazione dell’attività delle
organizzazioni non governative impegnate nel salvataggio dei barconi alla
deriva è diventata così quella dei “tassisti del
mare” che, su chiamata dei trafficanti di esseri umani,
avrebbero agito appunto da “passaggio” per quei migranti che volevano
raggiungere le coste italiane.
In Europa questo
fenomeno di criminalizzazione di chi è impegnato in attività di solidarietà
riguarda soprattutto chi si muove in difesa dei migranti, aiutandoli ad
attraversare un confine, sfamandoli, difendendoli in un’aula di
Tribunale. L’ultimo rapporto di Forst, presentato a
Ginevra il primo marzo scorso, è proprio dedicato alle violazioni sui difensori
dei diritti umani che si occupano di “people on the move”. “Individui,
gruppi e comunità impegnate nella difesa dei diritti dei migranti hanno
affrontato enormi sfide,” scrive il delegato delle Nazioni Unite, “Hanno
affrontato limitazioni senza precedenti, incluse minacce e violenze, denunce
durante discorsi pubblici e sono stati criminalizzati. Coloro che hanno preso
il mare per salvare i migranti sono stati arrestati, le loro navi confiscate e
sono stati accusati di favorire l’immigrazione illegale.” Forst scrive che,
ormai, chi si occupa di migranti in Europa è percepito come un “agente esterno”
che favorisce “l’invasione”. L’effetto di questo stigma è la legittimazione di
chi attacca i difensori dei diritti umani.
In questo momento
in Europa ci sono decine di persone sotto processo per aver aiutato un migrante
ad attraversare un confine o per avergli dato una coperta. Il fronte più caldo
è il confine italo-francese. Il primo caso arrivato a sentenza riguarda Cédric
Herrou, un contadino di Breil-sur-Roya condannato in agosto a quattro mesi di carcere con
condizionale per aver aiutato e ospitato centinaia di migranti che volevano
attraversare la frontiera tra Italia e Francia. In passato per quelle stesse
azioni Herrou era stato premiato come cittadino dell’anno in Costa Azzurra e
non ha mai avuto problemi a definire il suo aiuto ai migranti “un atto
politico”.
Dopo di lui è toccato a Martine Landry, nizzarda di
73 anni, membro dell’associazione Anafe(Association nationale d’assistance aux
frontières pour les étrangers) e responsabile di Amnesty International a
Nizza. Il suo processo si celebrerà proprio nella città costiera l’11 aprile,
dopo due rinvii. Landry è accusata di favoreggiamento all’immigrazione
clandestina per aver agevolato l’ingresso in Francia di due ragazzi minorenni
guineani senza documenti. Lei assicura invece di averli portati alla polizia di
frontiera solo dopo che avevano attraversato la barriera, proprio come prevede
la legge, per fare domanda di tutela sociale prevista per i minorenni.
Sullo stesso confine, nel 2016, quattro attivisti
della rete No Borders di Ventimiglia ricevevano un foglio di via che ne
limitava gli accessi ai comuni della provincia di Imperia proprio a causa delle
loro attività a sostegno dei migranti. Questa decisione è stata poi annullata
da una sentenza del Tar nel luglio 2017. Anche in altre città di frontiera
italiane, come Udine e Como, sono avvenuti episodi simili, con operatori e
volontari denunciati per aver aiutato dei migranti.
“Si può dare da mangiare, dare accoglienza e
vestire degli stranieri senza problemi, a patto che ciò avvenga in uno spazio
demarcato come umanitario (quando, in sostanza, si supplisca all’assenza dello
Stato e della collettività) e senza che ci sia alcuna contropartita (nessuno
scambio in denaro o materiale).” Lo scrivono i No border dell’Alta Savoia,
in un post in cui cercano di dare strumenti di difesa ai volontari che
continuano a supportare i migranti lungo il confine. Sempre tra Francia e
Italia, gli attivisti hanno inoltre dato vita a una sorta di osservatorio dei
crimini di solidarietà: Délinquants solidaires, un sito di un collettivo di
associazioni transfrontaliere che organizza sit-in davanti ai
Tribunali in occasione dei processi (il prossimo il 17 luglio, a Imperia),
oppure eventi di sensibilizzazione in materia di crimini di solidarietà.
Questi procedimenti penali sono il prodotto di una
fase cominciata in Europa nel 2015, una svolta nelle politiche europee
sull’immigrazione. Alla fine del settembre 2017 è nata la Carta di Milano che definisce i valori comuni agli
attivisti “solidali” con i migranti. Alla Carta è collegato un altro
osservatorio permanente che raccoglie le denunce di violazioni contro chi si
impegna in questa causa. Chi partecipa all’osservatorio sono i difensori dei
diritti umani che condividono – di fondo – l’idea che i migranti vadano accolti
e non respinti. In Italia, durante la campagna elettorale, dopo che per primo
Silvio Berlusconi ha definito l’immigrazione una “bomba sociale”, la stessa
formula è stata impiegata da PD e Movimento 5 stelle. Migrare è molto lontano
dall’essere considerato un diritto.
Nel 2018 fare attivismo politico –
e soprattutto in difesa dei migranti – è un’impresa quasi impossibile. Dal 1998
a oggi, l’associazione Front Line Defenders registra
l’uccisione di oltre 3.500 difensori dei diritti, 312 nel solo 2017; tra loro
attivisti che si battevano per l’ambiente, avvocati impegnati nel denunciare
multinazionali o pezzi corrotti del proprio Stato, oppositori politici che
chiedevano giustizia. A questo dato si aggiunge un fenomeno che il delegato Onu
per la difesa dei diritti umani Michael Forst definisce come “riduzione dello
spazio pubblico”, ossia la diminuzione dei luoghi dove i militanti possano
agire, rendendo fuori legge alcune attività.
In Europa ci sono Paesi che hanno
messo al bando le Ong, altri che hanno cercato di depotenziarle. Tra questi
ultimi, capofila è l’Italia, che nell’estate del 2017, attraverso
l’introduzione di nuove norme, ha decimato di fatto le missioni in mare: dalle
nove del giugno 2017, alle sole di tre oggi, come spiega La Voce.info.
La narrazione dell’attività delle organizzazioni non governative impegnate nel
salvataggio dei barconi alla deriva è diventata così quella dei “tassisti del
mare” che, su chiamata dei trafficanti di esseri umani,
avrebbero agito appunto da “passaggio” per quei migranti che volevano
raggiungere le coste italiane.
In Europa questo fenomeno di
criminalizzazione di chi è impegnato in attività di solidarietà riguarda
soprattutto chi si muove in difesa dei migranti, aiutandoli ad attraversare un
confine, sfamandoli, difendendoli in un’aula di Tribunale. L’ultimo
rapporto di Forst, presentato a Ginevra il primo marzo scorso,
è proprio dedicato alle violazioni sui difensori dei diritti umani che si
occupano di “people on the move”. “Individui, gruppi e comunità
impegnate nella difesa dei diritti dei migranti hanno affrontato enormi sfide,”
scrive il delegato delle Nazioni Unite, “Hanno affrontato limitazioni senza
precedenti, incluse minacce e violenze, denunce durante discorsi pubblici e
sono stati criminalizzati. Coloro che hanno preso il mare per salvare i
migranti sono stati arrestati, le loro navi confiscate e sono stati accusati di
favorire l’immigrazione illegale.” Forst scrive che, ormai, chi si occupa di
migranti in Europa è percepito come un “agente esterno” che favorisce
“l’invasione”. L’effetto di questo stigma è la legittimazione di chi attacca i
difensori dei diritti umani.
In questo momento in Europa ci
sono decine di persone sotto processo per aver aiutato un migrante ad
attraversare un confine o per avergli dato una coperta. Il fronte più caldo è
il confine italo-francese. Il primo caso arrivato a sentenza riguarda Cédric
Herrou, un contadino di Breil-sur-Roya condannato in agosto a quattro mesi di
carcere con condizionale per aver aiutato e ospitato centinaia di migranti che
volevano attraversare la frontiera tra Italia e Francia. In passato per quelle
stesse azioni Herrou era stato premiato come cittadino dell’anno in Costa
Azzurra e non ha mai avuto problemi a definire il suo aiuto ai migranti “un
atto politico”.
Dopo di lui è toccato a Martine
Landry, nizzarda di 73 anni, membro dell’associazione Anafe(Association nationale
d’assistance aux frontières pour les étrangers) e responsabile di Amnesty
International a Nizza. Il suo processo si celebrerà proprio nella città
costiera l’11 aprile, dopo due rinvii. Landry è accusata di favoreggiamento
all’immigrazione clandestina per aver agevolato l’ingresso in Francia di due
ragazzi minorenni guineani senza documenti. Lei assicura invece di averli
portati alla polizia di frontiera solo dopo che avevano attraversato la
barriera, proprio come prevede la legge, per fare domanda di tutela sociale
prevista per i minorenni.
Sullo stesso confine, nel 2016,
quattro attivisti della rete No Borders di Ventimiglia ricevevano un foglio di
via che ne limitava gli accessi ai comuni della provincia di Imperia proprio a
causa delle loro attività a sostegno dei migranti. Questa decisione è stata poi
annullata da una sentenza del Tar nel luglio 2017.
Anche in altre città di frontiera italiane, come Udine e Como, sono avvenuti
episodi simili, con operatori e volontari denunciati per aver aiutato dei
migranti.
“Si può dare da mangiare, dare accoglienza e
vestire degli stranieri senza problemi, a patto che ciò avvenga in uno spazio demarcato
come umanitario (quando, in sostanza, si supplisca all’assenza dello Stato e
della collettività) e senza che ci sia alcuna contropartita (nessuno scambio in
denaro o materiale).” Lo scrivono i No border dell’Alta Savoia, in
un post in cui cercano di dare strumenti di difesa ai volontari che continuano
a supportare i migranti lungo il confine. Sempre tra Francia e Italia, gli
attivisti hanno inoltre dato vita a una sorta di osservatorio dei crimini di
solidarietà: Délinquants
solidaires, un sito di un collettivo di associazioni
transfrontaliere che organizza sit-in davanti ai Tribunali in
occasione dei processi (il prossimo il 17 luglio, a Imperia), oppure eventi di
sensibilizzazione in materia di crimini di solidarietà.
Questi procedimenti penali sono il
prodotto di una fase cominciata in Europa nel 2015, una svolta nelle politiche
europee sull’immigrazione. Alla fine del settembre 2017 è nata la Carta di
Milano che definisce i valori comuni agli attivisti “solidali” con i migranti.
Alla Carta è collegato un altro osservatorio permanente che raccoglie le
denunce di violazioni contro chi si impegna in questa causa. Chi partecipa
all’osservatorio sono i difensori dei diritti umani che condividono – di fondo
– l’idea che i migranti vadano accolti e non respinti. In Italia, durante la
campagna elettorale, dopo che per primo Silvio Berlusconi ha definito
l’immigrazione una “bomba sociale”, la stessa formula è stata impiegata da PD e
Movimento 5 stelle. Migrare è molto lontano dall’essere considerato un diritto.
Nel 2015 la Commissione europea
introduceva l’”approccio hotspot” alla gestione dell’accoglienza,
ovvero la creazione di centri di smistamento in cui gli operatori delle agenzie
europee potessero registrare i dati personali dei cittadini stranieri appena
sbarcati, fotografarli e raccoglierne le impronte digitali entro 48 ore dal
loro arrivo, eventualmente prorogabili a un massimo di 72. Un giro di vite sui
controlli, perché Italia e Grecia nel biennio 2013-2014 non hanno registrato le
impronte di tutti i migranti, permettendo loro di entrare in Ue senza
documenti. Così, nel 2015, entrava in vigore il nuovo Codice
dei confini di Schengen: “La Commissione ritiene che l’afflusso
incontrollato di un numero elevato di persone prive di documenti o non
adeguatamente registrate e riconosciute al loro primo ingresso nell’Ue, possa
costituire una seria minaccia per l’ordine pubblico e la sicurezza interna, e
quindi giustificare l’applicazione di questa misura straordinaria disponibile
sotto l’Sbc (il Codice delle Frontiere di Schengen).” È così che s’innesca la
bomba dell’immigrazione, che prevede che chiunque aiuti il flusso, sia
complice.
Yasha Maccanico, ricercatore di
Statewatch, sta lavorando a uno studio in cui indica proprio in questa visione
legislativa l’inizio della criminalizzazione di chi difende i diritti. Con
l’introduzione degli hotspot, infatti, si è anche diluita la
distinzione tra smuggling (traffico) e trafficking (tratta
di esseri umani, due reati normalmente molto diversi).
Tra i difensori dei migranti più celebri che hanno
risentito di questa nuova configurazione (e, quindi, percezione) del reato, c’è
padre Mosé Zerai, il prete eritreo fondatore dell’agenzia Habeshia.
Nata nel 2006 con lo scopo di denunciare le violazioni dei diritti umani dei
richiedenti asilo e dei rifugiati in Libia, Egitto, Tunisia, Eritrea e Israele,
Habeshia ha rivelato il traffico di organi di cui erano vittima gli eritrei nel
Sinai. Un risultato valso a don Zerai una candidatura al Nobel per la pace nel
2015.
Poi, però, arriva l’estate 2017, quando il
procuratore di Catania Carmelo Zuccaro annuncia al Comitato
Schengen “l’analisi” del comportamento delle Ong: da
allora inizia la caccia. Non è un’inchiesta giudiziaria eppure, a luglio, la
nave della Jugend Rettet è sottoposta a sequestro preventivo. Il reato
ipotizzato dalla Procura di Trapani è favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Iscritto inizialmente contro ignoti, il procedimento passa nel giro di pochi
giorni nel registro a carico di noti e, tra gli indagati, compare anche il nome
di padre Zerai, accusato di essere dall’altra parte del telefono a rispondere
ai migranti a rischio naufragio in mezzo al Mediterraneo.
“È una vera e propria campagna denigratoria nei
miei confronti. Non ho mai avuto contatti diretti con la nave di Jugend Rettet
e non ho mai fatto parte di alcuna chat segreta, come è stato
riportato da alcuni giornali. Purtroppo, da mesi, si porta avanti una campagna
mediatica e politica contro le Ong, e tutte quelle persone che manifestano una
forma di solidarietà nei confronti dei migranti e dei profughi che cercano di
raggiungere l’Europa. È un modo per indebolire l’azione umanitaria,” ha
dichiarato il prete in un’intervista alla svizzera SwissInfo.
A parlare di lui, a febbraio, c’è anche Il Primato Nazionale, la testata di Casapound: don
Zerai e l’attivista Meron Estefanos vengono citati come oppositori politici
contrari all’interesse nazionale eritreo. Altra vittima dei blogger di
destra è Elsa Chyrum, una militante eritrea ritenuta colpevole di sostenere le
popolazioni in fuga dalla dittatura africana. E questa volta, contro di lei, si
schiera anche Luca Donadel, collaboratore de Il
Giornale diventato noto proprio per la sua campagna contro le Ong.
Per Frost, l’effetto della criminalizzazione della
solidarietà “rischia di promuovere, nell’opinione pubblica e nell’arena
politica, indifferenza verso migranti e rifugiati, posizioni razziste e
nazionaliste”. Per quanto alle recenti elezioni le sigle di estrema destra
abbiano collezionato degli “zero virgola”, a Macerata – dove il militante
di CasaPound Luca Traini, ex candidato leghista, ha sparato su tre migranti –
la stessa Lega di Salvini ha conquistato il 21%, partendo da uno scarso 6%. Il
giorno dopo le elezioni, a Firenze, un senegalese di 54 anni – Idy Aliou Diéne
– è stato ucciso a colpi di pistola da un signore di 65 anni in difficoltà
economiche, che voleva finire in carcere.
Il database di Cronache di Ordinario razzismo, sito che monitora
episodi di discriminazione e violenza a sfondo razziale, nel 2017 ha registrato
oltre 450 casi solo tra giugno e ottobre, in cui sono stati coinvolti difensori
dei diritti degli stranieri. Eppure, a novembre, SWG misurava in un sondaggio
la lontananza degli italiani dal razzismo, con risultati sbalorditivi: il 55%
lo giustifica; allo stesso tempo, la crescente sfiducia verso le Ong, ovvero
dei difensori dei diritti per antonomasia, registra al 71% il numero
d’intervistati che crede in loro poco o nulla, come riporta SkyTg24.
Il libro degli orrori lo chiude l’Osce. In
particolare, l’Ufficio per le istituzioni democratiche e i diritti umani, che
nel suo ultimo rapporto – poi ripreso dall’Agenzia europea per i diritti fondamentali (Fra)–
denuncia come in diversi Stati membri vengano mosse accuse infondate nei
confronti delle Ong impegnate sul fronte delle migrazioni con il solo scopo di
metterle sotto processo e limitarne il raggio d’azione. L’esempio numero uno è
quello dell’Ungheria degli identitari, dove si riportano accuse di diffamazione
rivolte alle organizzazioni per metterle sotto processo. A febbraio, per
altro, a Budapest è stata introdotta una legge sulle Ong che vuole mettere al bando chi si
occupa di migranti, definita dall’Unhcr “un’ingiustificata restrizione alla libertà
di associazione”.
Anche l’ultimo risultato elettorale italiano è
probabilmente la conferma di quanto la solidarietà non sia più un sentimento di
moda. L’immigrazione è stato uno dei principali terreni di scontro, e i due
candidati premier in pectore – Matteo Salvini e Luigi Di Maio
– sono tra i principali sostenitori della tesi delle Ong come “taxi del mare”. In questo clima non certo favorevole
si è aggiunta anche la profonda crisi reputazionale scatenata da episodi come
lo scandalo Oxfam, avvenuto ad Haiti, dove il capo
missione è stato protagonista di episodi di induzione alla prostituzione e di
minacce.
Le circostanze sembrano perfette per la
prosecuzione della campagna contro i difensori dei diritti, a qualunque
latitudine.
Nessun commento:
Posta un commento