L’inchiesta scottante, di questi giorni, in mano ai giudici francesi che
coinvolge pesantemente l’ex Presidente Sarkozy dimostra che la Francia ha
attaccato la Libia, su avallo degli americani e la complicità britannica, per
ragioni che hanno molto poco di umanitario. Nel suolo libico, infatti, si è
giocata una sporca guerra petrolifera tra le multinazionali europee, in
particolare per scalzare l’Italia che aveva quasi l’esclusiva del petrolio
libico, imporre un governo favorevole, e gestire i flussi di petrolio a proprio
vantaggio.
Alla fine anche l’Italia, com’è noto, insieme alla Nato, il 23 marzo, fu costretta, in un certo senso, ad entrare in guerra contro la Libia. Un paradosso, ma non poteva restare fuori dai paesi “vincitori” e perdere quel poco che poteva rimanere. Osservatori autorevoli sostengono, addirittura, che la Nato avrebbe potuto persino colpire “per sbaglio” i terminali petroliferi dell’Eni, se l’Italia non avesse accettato.
http://notizie.tiscali.it/…/articoli/Sarkozy-soldi-Gheddafi/
Questa è la nostra democratica Europa. Dobbiamo farcene una ragione e comprendere che, da che mondo è mondo, i rapporti politici, anche quelli apparentemente amichevoli, nascondono sempre rapporti di forza.
Del resto, quello che accadde in Libia nella guerra del 2011 è esattamente quello che sta ora accadendo con Assad in Siria, e che è accaduto con Saddam in Iraq. Il trucco è ormai noto, spiegato da osservatori, studiosi ed analisti di tutto il mondo. Si impone un dittatore a comandare un paese strategico per le risorse. Finché fa comodo, lo si sostiene, e permane il silenzio sulla sua politica interna. Se per caso quel dittatore non persegue più gli interessi dell’Occidente, parte la campagna denigratoria sul suo conto. Poi, inevitabile, arriva la guerra.
Che una una volta si faceva direttamente con gli eserciti. Ora si fa più furbescamente finanziando ipotetici eserciti di liberazione guidati da “ribelli”.
Giova ricordare che quegli stessi ribelli, quando poi arrivano impazziti in Europa a portare la distruzione, sono definiti “terroristi”.
Ma la distinzione semantica tra terroristi e ribelli a seconda del luogo in cui compiono le loro azioni spiega solo in parte la capacità della propaganda di manipolare l’opinione pubblica.
Tutti sapevamo chi fosse Gheddafi, non propriamente uno stinco di santo, come si suol dire. Tuttavia è corretto dire anche che la Libia era il paese africano con il maggior tasso di crescita economica e di sviluppo umano. E sappiamo anche che le intemperanze del folle dittatore, con il tempo, si erano affievolite, dopo i bombardamenti americani del 1986 e dopo la distruzione dell’Iraq del 2004. Ma, soprattutto, c’era in corso il tentativo libico di creare una moneta africana che scalzasse la valuta francese, il Franco francese FCA, in uso in molti paesi ex colonie.
E tutti sappiamo quanti affari e quanti finanziamenti i petrodollari libici procuravano in Europa e in particolare in Italia. Nell’agosto del 2010 fu Berlusconi, come vi ricorderete, ad accogliere in pompa magna Gheddafi a Roma, con la sottoscrizione di lauti affari tra le due nazioni.
Forse troppo per Sarkozy e i militari francesi. Il fatto che l’Italia facesse grossi affari con la Libia, e che l’Eni ricavasse flussi di petrolio in misura nettamente maggiore delle multinazionali francesi, oltre al ruolo che la Libia andava a ricoprire di leadership nel contesto africano.
Ora che è scoppiato lo scandalo, e l’inchiesta ha investito l’ex Presidente Sarkozy, si ha la conferma di quello che già era apparso chiaro dalle cosiddette “lettere” di Hillary Clinton.
Questa storia ricorda il periodo dell’Eni di Mattei: in quegli anni ’60, le capacità diplomatiche degli italiani avevano messo in crisi l’intero sistema petrolifero mondiale. La storia, come andò a finire, è nota.
Si potrebbe dire che la distruzione della Libia abbia trascinato con sé anche l’indebolimento politico e sociale dell’Italia. Infatti le conseguenze della guerra non sono soltanto la perdita di commesse per miliardi di euro, ma anche la destabilizzazione di uno stato, la Libia appunto, che aveva un ruolo fondamentale nel controllo dell’emigrazione clandestina nel Mediterraneo, che ora si riversa in Italia provocando i conflitti sociali e la situazione di instabilità politica che stiamo vivendo.
Volendo essere maligni, e concepire l’Europa come una entità dove le rivalità economiche spesso travalicano i buoni rapporti tra gli stati, si potrebbe dire che con la guerra libica si è ottenuto il duplice scopo di distruggere un paese africano scomodo per le politiche coloniali francesi e inglesi, e indebolire l’Italia.
Si potrebbe anche dire, cinicamente, che fino alla seconda guerra mondiale gli stati europei si scannavano tra di loro in guerre devastanti. Da allora, da quel terribile conflitto, l’Europa preferisce combattere le proprie guerre, portando distruzione, morte e destabilizzazione, sul suolo altrui.
Alla fine anche l’Italia, com’è noto, insieme alla Nato, il 23 marzo, fu costretta, in un certo senso, ad entrare in guerra contro la Libia. Un paradosso, ma non poteva restare fuori dai paesi “vincitori” e perdere quel poco che poteva rimanere. Osservatori autorevoli sostengono, addirittura, che la Nato avrebbe potuto persino colpire “per sbaglio” i terminali petroliferi dell’Eni, se l’Italia non avesse accettato.
http://notizie.tiscali.it/…/articoli/Sarkozy-soldi-Gheddafi/
Questa è la nostra democratica Europa. Dobbiamo farcene una ragione e comprendere che, da che mondo è mondo, i rapporti politici, anche quelli apparentemente amichevoli, nascondono sempre rapporti di forza.
Del resto, quello che accadde in Libia nella guerra del 2011 è esattamente quello che sta ora accadendo con Assad in Siria, e che è accaduto con Saddam in Iraq. Il trucco è ormai noto, spiegato da osservatori, studiosi ed analisti di tutto il mondo. Si impone un dittatore a comandare un paese strategico per le risorse. Finché fa comodo, lo si sostiene, e permane il silenzio sulla sua politica interna. Se per caso quel dittatore non persegue più gli interessi dell’Occidente, parte la campagna denigratoria sul suo conto. Poi, inevitabile, arriva la guerra.
Che una una volta si faceva direttamente con gli eserciti. Ora si fa più furbescamente finanziando ipotetici eserciti di liberazione guidati da “ribelli”.
Giova ricordare che quegli stessi ribelli, quando poi arrivano impazziti in Europa a portare la distruzione, sono definiti “terroristi”.
Ma la distinzione semantica tra terroristi e ribelli a seconda del luogo in cui compiono le loro azioni spiega solo in parte la capacità della propaganda di manipolare l’opinione pubblica.
Tutti sapevamo chi fosse Gheddafi, non propriamente uno stinco di santo, come si suol dire. Tuttavia è corretto dire anche che la Libia era il paese africano con il maggior tasso di crescita economica e di sviluppo umano. E sappiamo anche che le intemperanze del folle dittatore, con il tempo, si erano affievolite, dopo i bombardamenti americani del 1986 e dopo la distruzione dell’Iraq del 2004. Ma, soprattutto, c’era in corso il tentativo libico di creare una moneta africana che scalzasse la valuta francese, il Franco francese FCA, in uso in molti paesi ex colonie.
E tutti sappiamo quanti affari e quanti finanziamenti i petrodollari libici procuravano in Europa e in particolare in Italia. Nell’agosto del 2010 fu Berlusconi, come vi ricorderete, ad accogliere in pompa magna Gheddafi a Roma, con la sottoscrizione di lauti affari tra le due nazioni.
Forse troppo per Sarkozy e i militari francesi. Il fatto che l’Italia facesse grossi affari con la Libia, e che l’Eni ricavasse flussi di petrolio in misura nettamente maggiore delle multinazionali francesi, oltre al ruolo che la Libia andava a ricoprire di leadership nel contesto africano.
Ora che è scoppiato lo scandalo, e l’inchiesta ha investito l’ex Presidente Sarkozy, si ha la conferma di quello che già era apparso chiaro dalle cosiddette “lettere” di Hillary Clinton.
Questa storia ricorda il periodo dell’Eni di Mattei: in quegli anni ’60, le capacità diplomatiche degli italiani avevano messo in crisi l’intero sistema petrolifero mondiale. La storia, come andò a finire, è nota.
Si potrebbe dire che la distruzione della Libia abbia trascinato con sé anche l’indebolimento politico e sociale dell’Italia. Infatti le conseguenze della guerra non sono soltanto la perdita di commesse per miliardi di euro, ma anche la destabilizzazione di uno stato, la Libia appunto, che aveva un ruolo fondamentale nel controllo dell’emigrazione clandestina nel Mediterraneo, che ora si riversa in Italia provocando i conflitti sociali e la situazione di instabilità politica che stiamo vivendo.
Volendo essere maligni, e concepire l’Europa come una entità dove le rivalità economiche spesso travalicano i buoni rapporti tra gli stati, si potrebbe dire che con la guerra libica si è ottenuto il duplice scopo di distruggere un paese africano scomodo per le politiche coloniali francesi e inglesi, e indebolire l’Italia.
Si potrebbe anche dire, cinicamente, che fino alla seconda guerra mondiale gli stati europei si scannavano tra di loro in guerre devastanti. Da allora, da quel terribile conflitto, l’Europa preferisce combattere le proprie guerre, portando distruzione, morte e destabilizzazione, sul suolo altrui.
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