Parafrasando un aforisma del compianto Roberto Freak
Antoni potremmo dire, pensando alla bufera mediatica esplosa attorno
a Enrico Zucca, che
non c’è gusto in Italia a dire la verità. Invece d’essere ascoltato e
ringraziato, il magistrato è stato additato come una minaccia da buona parte
della nomenclatura istituzionale, con il chiaro obiettivo di
non discutere le questioni da lui sollevate.
Enrico Zucca, che fu pm nel processo Diaz (il cui esito non
è mai stato digerito ai vari piani del Palazzo), durante un convegno a Genova
ha messo in fila alcune evidenze processuali degli ultimi anni.
Ha
detto che la tutela dei diritti fondamentali è diventata più difficile dopo l’11 settembre e l’avvio
della cosiddetta guerra al terrorismo, tanto che la ragion di stato, in più casi,
ha prevalso sulle regole scritte nelle Convenzioni sui diritti umani.
Ha detto che l’Italia ha violato più volte queste convenzioni, ad
esempio nel caso Abu Omar (l’imam rapito a Milano dalla Cia e consegnato
all’Egitto dove è stato torturato), subendo così una condanna davanti alla
Corte europea per i diritti umani, e anche nelle vicende riguardanti il G8 di Genova,
quando il nostro paese ha disatteso l’impegno a sospendere e rimuovere i
funzionari condannati per le torture alla scuola Diaz e
nella caserma di Bolzaneto.
Ha aggiunto che simili condotte, con l’implicita indifferenza verso
gli impegni dettati da Carte così solenni, mina la statura morale del nostro
paese quando si trova a chiedere ad altri paesi, com’è il caso dell’Egitto per
l’omicidio di Giulio Regeni, di punire e consegnare i responsabili di
abusi e torture.
Enrico
Zucca ha quindi offerto una dettagliata e articolata ricostruzione di
vicende giudiziarie ben conosciute, arrivando a conclusioni
assai fondate: è noto, addirittura stranoto, che i funzionari processati e poi
condannati per le torture alla Diaz e a Bolzaneto sono stati nel tempo
protetti, promossi (almeno quelli di grado gerarchico più alto) e infine
reintegrati in servizio, anche in ruoli di vertice, alla scadenza dei cinque anni
di interdizione dai pubblici uffici.
È bene ricordare un passaggio contenuto nella dirompente
sentenza della Corte di Strasburgo sul caso Diaz (Cestaro vs Italia, del 7 aprile 2015),
una sentenza che non suscitò alcuna seria reazione da parte di chi oggi grida
allo scandalo per l’intervento di Enrico Zucca. È il paragrafo 216: “(…)
l’assenza di identificazione degli autori materiali dei maltrattamenti in
causa deriva dalla difficoltà oggettiva della procura di procedere a
identificazioni certe e dalla mancata collaborazione della polizia nel corso delle
indagini preliminari. La Corte si rammarica che la polizia italiana si sia
potuta rifiutare
impunemente di fornire alle autorità competenti la
collaborazione necessaria all’identificazione degli agenti che potevano essere
coinvolti negli atti di tortura”.
Quel “rifiutarsi impunemente” è un macigno che pesa sulla credibilità
della nostra polizia quanto la mancata sospensione dei funzionari durante
indagini e processi e la loro mancata rimozione dopo le condanne definitive
(paragrafo 210).
Il
quadro d’insieme è tanto limpido quanto desolante: nei nostri
recenti casi di tortura, la protezione istituzionale verso indagati, imputati e
condannati è stata la rotta seguita dai vertici amministrativi e politici dello
stato.
Per questi motivi l’ondata di indignazione e sdegno per l’intervento
di Enrico Zucca avviata dal capo della polizia Franco Gabrielli e molti
altri, tutti
attenti a non entrare nel merito delle constatazioni e
delle valutazioni espresse dal magistrato, appare come una montagna di panna
montata sotto la quale si conta di occultare alcune scomode verità.
Né Gabrielli né altri hanno spiegato perché la polizia di stato abbia
coperto, promosso, reintegrato i responsabili della cosiddetta perquisizione
alla scuola Diaz, qualificata come un caso di tortura dalla Corte di
Strasburgo, ed è proprio questo il punto dell’intera vicenda.
Per la reputazione della polizia di stato non sono oltraggiose le
parole di Enrico Zucca, bensì le condotte tenute nel corso del tempo, dal 2001
in poi, da numerosi funzionari, dirigenti e responsabili politici. Condotte
delle quali non si vuole parlare.
Si tace sulla sostanza e si urla su immaginari oltraggi. Fra tante grida
scomposte, le parole più serie e sincere le dobbiamo ai genitori di Giulio
Regeni, che hanno espresso “stima e gratitudine al dottor Zucca per il suo
intervento preciso ed equilibrato”.
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