Stamane a scuola si è celebrata la Giornata internazionale delle donne, in aula magna era presente un nutrito pubblico di studentesse e studenti delle classi quarte e quinte.
La prima parte, prevedeva la proiezione del film “Suffragette”. Mentre la storia si dipanava sullo schermo la sala, di tanto in tanto, veniva illuminata come a un concerto da tante fiammelle. Non certo lumicini a ricordare il sacrificio di tante donne ma cellulari accesi. Alcuni inviavano messaggi, altri mostravano giochini.
Noi insegnanti abbiamo più volte invitato a spegnerli: una lotta. Uno si spegneva e l’altro si accendeva.
Mi sono avvicinata a due studenti, che hanno opposto resistenza, fingendo di spegnere. Ho ricordato che si trattava di attività didattica a tutti gli effetti, che non era consentito loro fare ciò che volevano. Uno dei due giovanotti mi ha risposto “Uffa ma cosa vuole che me ne importi di queste femmine, tutta cosa di femmine. Io sono un maschilista. Un vero maschilista.”
Tutto ciò mentre sullo schermo una delle protagoniste, Maud veniva nuovamente arrestata e, come moltissime suffragette prima di lei, iniziava lo sciopero della fame il quale dopo cinque giorni di digiuno veniva brutalmente interrotto con la forza costringendo la donna ad alimentarsi. Una violenza tremenda.
Meditavo sul fatto che la frase dello studente dovesse essere rimarcata (senza citarne l’autore). Finito il film non ho potuto trattenermi. Mi si imbiancheranno anche i capelli ma non perdo il vizio. Chiedo la parola e racconto l’accaduto, partendo dal significato della parola maschilismo di cui il giovane si fregiava con tanto orgoglio e provo ad evidenziare il fatto che si tratta di una forma di sessismo che inneggia a una presunta superiorità dell’uomo nei confronti della donna. Lo studente comincia ad agitarsi, borbotta, rivelando così di essere l’autore dell’infelice uscita.
Continuo soffermandomi sulla parola femminicidio, cerco di richiamare l’attenzione sui sacrifici cui la storia ha sottoposto le donne, ribadisco che i diritti conquistati con la vita, dalle antesignane di quelle battaglie, sono gli stessi di cui godiamo tutte, compresa la madre dello studente in questione. Il ragazzo a sentire nominare la madre si agita sempre più, intuisco che mi stia dicendo di non nominare la mamma. Lo invito a spiegarsi: gli chiedo cosa stia dicendo ma non parla. Borbotta .
La sala è tutta un brusio.
Una pietra è stata lanciata nello stagno, i cerchi già si allargano.
Intanto però questo modo di usare le parole in modo così sbrigativo e superficiale non può non addolorarmi.
Così prima che iniziasse la seconda parte delle attività previste, tornata sulla mia sedia, ho iniziato a riflettere sulla questione delle parole: quante e quali parole posseggono oggi questi nostri studenti mi chiedevo. Già nel 1976 Tullio De Mauro, l’esimio linguista poi ministro della Pubblica Istruzione, evidenziava, attraverso una ricerca, che gli studenti del ginnasio possedevano un vocabolario composto da 1600 parole. Vent’anni dopo il bagaglio si era dimezzato. Oggi pare che si aggiri intorno alle trecento parole. Trecento: delle quali non sempre si possiede il significato. Lo chiamano analfabetismo funzionale. Un dramma con il quale nelle scuole ci confrontiamo quotidianamente: durante le verifiche orali e le conversazioni in aula, sempre più spesso la gestualità viene invocata da studenti/esse per accompagnare un significato che non si riesce a esprimere.
Così avviene che si usi con orgoglio la parola maschilismo per contrapporla a femmina, chè femminismo è faccenda troppo impegnativa,
Si ha difficoltà a percepire cosa sia un diritto, che ci sono diritti a compartimenti stagni: i diritti delle donne e quelli dei maschi; i diritti dei bianchi e quelli dei “negri”; i diritti degli italiani e quelli degli “invasori”.
Il vocabolario viene sostituito dagli slogan – usati in modo strumentale anche da certa politica- e si diffonde uno scarso senso critico; Facebook diventa la Bibbia e si allarga l’incapacità di distinguere le notizie vere da quelle false.
Un lavoro immane attende la Scuola – maiuscola – fagocitata da attività che fanno dimenticare come si costruiscono cittadini consapevoli.
Disarmata mi sono sentita.
Ho però preso una decisione, compirò una azione di protesta. Domani mi armerò di tinta e pennellessa, con l’aiuto dei miei studenti/esse, ci riapproprieremo di un poco di nobili parole, cancelleremo assieme una scritta che è comparsa da una settimana dentro la scuola e che, preceduta da una svastica, recita “viva Salvini, fuori i Negri da questa scuola”.
Di quel muro faremo lavagna e tutti assieme, in bella grafia, scriveremo: “”Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali” (Articolo 3 della Costituzione, prima parte).
Ognuna delle parole che vi compaiono necessiterà di lunga meditazione, visto che sancisce uno dei princìpi più significativi della Costituzione repubblicana ed essendo il portato dei valori che discendendo dalla rivoluzione francese sono poi ribaditi nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.
Ma la parola uomo non significa maschio e nemmeno maschilista o razzista.
Spero non se ne abbiano a male gli estimatori di Salvini, che hanno imbrattato la scuola; nel caso ce lo appunteremo come medaglia sul petto.
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