Amitav Ghosh è uno scrittore coi fiocchi e in più è (molto) informato dei fatti, le decine di pagine di bibliografia e note alla fine del libro lo testimoniano.
Si parte dallo sterminio da parte degli olandesi degli abitanti delle isole Banda, per avere il monopolio della produzione e del commercio della noce moscata.
L'autore ci accompagna in molti luoghi dove il colonialismo europeo ha fatto stragi.
Leggiamo con dolore della crudeltà dei nostri avi, e possiamo capire che la mela del peccato originale è niente in confronto dei peccati del colonialismo e del razzismo.
Leggiamo l'opinione* di Chinua Achebe su Joseph Conrad, un convinto razzista.
Veniamo a sapere, fra le altre cose, delle straordinarie doti di umanità di L. Frank Baum, l’autore del Meraviglioso mago di Oz, che una volta scrisse: «Per legge di conquista, per giustizia di civiltà, i bianchi sono i padroni del continente americano, e il modo migliore di garantire la sicurezza degli insediamenti di frontiera è l’annientamento dei pochi indiani rimasti. Perché no? La loro gloria è sfumata, il loro spirito spezzato, la loro virilità cancellata; meglio che muoiano piuttosto che vivere nello stato pietoso in cui sono ridotti».
Un libro da non perdere, scritto benissimo e denso di contenuti importanti.
*La motivazione di Achebe appare chiara. In Heart of Darkness (1899) Conrad, attraverso Marlow, descrive l’Africa (il Congo Belga, scenario dell’opera) come un luogo remoto e selvaggio senza alcun legame con la civiltà (occidentale). Ma sono i suoi abitanti a impressionare Marlow. Egli, infatti, è sconvolto all’idea che si tratti di umani e che non via sia nessuna differenza fra lui ( e gli inglesi) e loro. Questa la citazione che condanna Conrad:
Quella terra non aveva più nulla di terrestre. Noi siamo abituati a contemplare la forma ormai doma di un mostro soggiogato, ma laggiù — laggiù ci si trovava alla presenza di qualcosa di mostruoso e di libero, qualcosa che non aveva niente di terrestre. E gli uomini… no, non erano inumani. Ma proprio questo, ve l’assicuro, era il peggio: questo sospetto che lentamente si faceva strada, che non fossero inumani. Quella gente urlava, saltava, piroettava, faceva smorfie orrende; ma ciò che dava i brividi era precisamente il senso della loro umanità — non diversa dalla nostra — il senso di una remota parentela fra noi e quel selvaggio tumulto appassionato. Una cosa sgradevole, sì, davvero sgradevole.
Le parole di Marlow son inequivocabili. Per Achebe la questione è chiusa: Conrad, si fa portavoce di un pensiero razzista che travalica i confini della finzione narrativa…
...Cuore di tenebra è un’opera razzista, e Joseph Conrad era profondamente razzista: questa è la tesi di Chinua Achebe. E in quanto tale, l’opera non può essere più considerata tra le migliori della letteratura inglese, ignorandone del tutto questi aspetti…
…La maledizione della noce moscata, partendo dalla
semplice analisi di come si crei profitto e prosperità attraverso l’efferatezza
segue due filoni: quello antropologico e quello geo-politico.
Se il filone
antropologico ci mostra un’orda di assettati affaristi disposti
a tutto pur di arricchire le proprie tasche, egoismo che si giustifica anche
attraverso una presunta superiorità morale e di costumi, l’aspetto geo-politico
è più complesso e multiforme, spesso incrociato al primo filone in modo
stupefacente.
Una delle fasi
centrali del discorso di Ghosh è quella che riguarda lo sterminio, ovvero il portare fuori da sé un popolo
attraverso il suo ecosistema. Il giornalista e antropologo di origini indiane
porta, a dimostrazione di questa tesi, il caso della colonizzazione europea nel Nord America a
scapito della popolazione indiana. Quando i primi coloni arrivarono non solo
furono brutali con le popolazioni native, ma deturparono il territorio e l’ecosistema per poterli soggiogare più
facilmente. Malattie, virus, impoverimento del territorio e della fauna locale
determinarono in maniera uguale o molto simile la scomparsa di interi popoli e
tribù nel giro di poco meno di un secolo.
In questa impresa
che ora appare catastrofica, Ghosh vede il perpetuarsi
di un’immagine di natura-oggetto, terraforma, in cui la natura viene soggiogata a
favore dei bisogni di una piccola parte della popolazione umana. Piante, fiumi,
animali, insomma tutto ciò che è non-umano verrebbe ritenuto, in questa
concezione ipercapitalistica, utile al bisogno di sopravvivenza (a breve
termine) di una parte dell’umanità ritenuta degna di una vita al di sopra della
natura.
Per corroborare le
tesi molto forti, ma per niente campate per aria, Ghosh analizza i rapporti di potere che si creano attraverso
la gestione e la distribuzione dei beni ritenuti fondamentali per la società
del benessere. Discorso che ovviamente non può prescindere da una riflessione
sul petrolio e sulla subdola forma di controllo sociale a cui sottopone.
L’unica pecca di
questo saggio, per il resto davvero illuminante (non che Ghosh sia nuovo in
quanto a saggi preziosi), è l’eterogeneità degli argomenti affrontati che
talvolta risultano complessi da collegare e quindi richiedono una lettura più
approfondita. Caratteristica però che di per sé non può considerarsi negativa.
La maledizione della noce moscata è un saggio elegante ed originale che combina al
meglio l’analisi economica, sia passata che contemporanea, a riflessioni
antropologiche complesse ed originali, permettendo al lettore di divagare e poi
tornare al tema del libro: dietro ogni ricchezza c’è una
storia da ascoltare.
...La
noce moscata è una delle spezie più note in cucina, un tempo preziosissima e
quasi introvabile se non nei semi di una pianta che cresceva solo in una
manciata di minuscole isole perse tra l’Oceano Indiano e il Pacifico. Anche la
sua è una storia di conquista e sfruttamento – dell’uomo sull’uomo e dell’uomo
sull’ambiente naturale – che nelle pagine di un grande scrittore impegnato nei
temi ambientali come Amitav Ghosh diventa metafora della potenza devastatrice
del colonialismo occidentale e delle sue irreversibili conseguenze che arrivano
fino ai giorni nostri.
Se oggi il nostro futuro come specie è in pericolo,
avverte Ghosh, le cause vanno ricercate a partire dalla scoperta del Nuovo
Mondo e dall’apertura delle rotte commerciali attraverso l’Oceano Indiano.
L’odierna crisi climatica, demografica e sociale ha origine da un ordine geopolitico
inaugurato dai colonizzatori del Primo mondo; da una visione meccanicistica e
utilitaristica delle terre di conquista in cui la natura esiste solo in quanto
risorsa da sfruttare e non come entità viva, indipendente dall’umanità e densa
di significato; dall’assoggettamento indiscriminato di «umani selvaggi» e di
«non umani» come alberi, animali, paesaggi.
Nella potente narrazione di Ghosh, i drammi del nostro
presente globalizzato – migrazioni, siccità, pandemia, guerre, emergenza
energetica – si ricongiungono a episodi soltanto temporalmente remoti, in
realtà cosí affini nella loro furia devastatrice che la maledizione della noce
moscata non è affatto lontana da noi.
Grazie al sole
Plaudo – come lettrice – a 36 pagine di Note
(suddivise per capitoli, facili alla lettura), a 32 di Bibliografia, all’Indice dei nomi,
nonché alla scelta editoriale – tutt’altro che scontata – di stampare le copie
«con il sole», come riportato nell’ultima pagina del libro (e secondo me
andrebbe all’inizio, invece). Visto l’argomento del libro è una scelta di
intelligente coerenza.
…Ghosh divide il mondo in due metà antropologicamente
opposte: quella dominante considera il mondo un insieme inanimato da sfruttare
per arricchirsi, l’altra considera ogni cosa, vulcani e fiumi, alberi e
insetti, come creature viventi. Il libro ci trascina in un lungo ragionamento
sul mondo partendo da un’isoletta vulcanica che bisogna usare tutte le lenti di
Google Earth per trovarla. Selamon è un villaggio nell’arcipelago delle Banda,
nel lontano sud-est dell’Oceano Indiano. Siamo nel 1621. Sonck è il funzionario
olandese che guida l’ennesima flotta.
Ha l’ordine di allontanare gli abitanti in qualunque modo e
di impossessarsi della preziosa pianta che soltanto lì cresce: l’albero della
noce moscata. Il mondo civilizzato adora le spezie rare, il chiodo di garofano
per esempio, che cresce guarda caso in un’isola vicina. Sono aromi da Re,
desiderati spasmodicamente da tutti. Per qualche tempo si tentano vie
diplomatiche ma una notte, dopo vari incidenti, scatta, letteralmente, una
scintilla. Cade una lampada, nella moschea dove gli ufficiali sono accampati, e
la paura che ne deriva induce tutti gli olandesi a aprire il fuoco facendo
strage di indigeni. I pochi sopravvissuti riescono però a tenere in vita
ricordi e tradizioni tribali che con la natura avevano un rapporto tutt’altro
che predatorio. I vulcani, per esempio.
“Anche al Cuanung Api, che troneggia sopra le isole Banda,
si attribuiva la capacità di emettere auspici e presagi. Per questa ragione
nelle isole si diffuse un grande timore quando il vulcano eruttò, dopo un lungo
periodo di inattività, proprio il giorno in cui la prima nave olandese giunse
nell’arcipelago, nel 1599.” Ma è straordinario come la lingua dei vulcani fosse
ascoltata in varie altre parti del mondo. “Per i molucchesi, come per molti
altri abitanti di zone sismiche, i vulcani sono sia artefici della storia che
narratori di storie.”
I gunditjmara, in Australia, conservano memoria di una
eruzione avvenuta trentamila anni fa: forse il racconto più antico giunto fino
a noi. In tutto il mondo i popoli che hanno subito il più feroce sterminio dai
nuovi dominatori (portoghesi, inglesi, olandesi, poi nordamericani ecc) si
assomigliano. La civiltà delle macchine, dell’industrializzazione, delle
trivellazioni e delle miniere, del petrolio, delle guerre di sterminio per il
tè, per i chiodi di garofano, per diffondere l’oppio, questa società che
dell’illuminismo originario conserva ben poco, si scontra con popoli legati da
secoli ai loro territori, che non sono soltanto passiva pietra o terra, ma
un’unica creatura vivente in simbiosi con noi.
La civiltà delle élite urbane contro quella del vitalismo,
una sorta di filosofia naturale sempre rinascente, secondo Ghosh, nonostante
gli stermini e le cancellazioni. Per gli Apache “il passato è incastonato nei
lineamenti della terra, in canyon e laghi, montagne e ruscelli, rocce e
praterie.” Nel paesaggio vive il passato, le anime popolano ogni cosa visibile,
e il dialogo con loro è possibile. Inutile dire chi ha vinto questa battaglia,
perché è esattamente la nostra realtà. Ghosh riconduce al presente tutti gli
infiniti rivoli delle sue parabole antropologiche. Lo fa parlando del petrolio,
del cambiamento climatico, dell’energia.
Il fatto che il petrolio debba essere trasportato per mare
crea delle strozzature commerciali che guarda caso si trovano proprio
nell’oceano indiano. Dalla stessa regione delle spezie proviene una enorme
quantità di petrolio e di gas naturale. Tra i dieci maggiori esportatori di
petrolio cinque provengono da questa parte del mondo. Le petroliere percorrono
le stesse rotte degli antichi velieri che portavano spezie. Modificare
radicalmente il modo di produrre energia senza più doverla trasportare
annullerebbe il più grande affare del mondo.
Non ci sarebbero più ricatti politici, non avrebbe più
senso lo stretto di Hormutz (40% delle esportazioni di petrolio) né quello di
Malacca, diretto all’immenso mercato orientale. Ghosh cerca di entrare nel
cuore del dibattito politico utilizzando un originale approccio
multidisciplinare. Paragona popoli non europeizzati lontani decine di migliaia
di chilometri, ma ogni volta il conto torna, trasmettendo nel lettore uno
strano sconforto, perché siamo tutti colpevoli. Anche gli scrittori, anche gli
storici, anche i poeti. Anche il buon selvaggio seguendo questo assioma non è
altro che una sorta di barboncino. Personalmente non credo in un mondo così ben
diviso in due.
Ne ho un’immagine più caleidoscopica. Estetizzare lo
sconfitto è giusto e forse inevitabile. E in fondo i vincitori hanno poco da
gioire. La storia è una sorta di gora in cui tutto finisce. Dopo lo sterminio
dei nativi e l’intensificazione della coltivazione, la noce moscata perderà
completamente il suo valore. Quelli che scendevano dai velieri, iniziando una
guerra mai interrotta, e aprivano il fuoco su pacifici e spesso accoglienti
popoli indigeni, erano dei mostri, e la loro violenza esprimeva perfettamente
lo spirito delle classi dominanti, e la loro cultura predatoria. Ma Darwin
disegnava insetti e animali, e non faceva del male a nessuno. Aveva in sé i
semi di una cultura meravigliosa, che certamente Ghosh ha esplorato molto
meglio di me.
Nelle sue infinite parabole scritte con grande efficacia,
Ghosh ci mostra civilizzatori barbari e indigeni con tradizioni e culture orali
che sprofondavano nei secoli. Animismo, dialogo con gli antenati,
identificazione tra antenati e luoghi. L’uccisione dei saggi anziani del
villaggio di Selamon è un’offesa all’umanità, e Ghosh ci trasmette la sua
giusta indignazione. Il genocidio (o in alternativa: lo schiavismo…) dei popoli
indigeni è la forma più radicale di razzismo: a loro è negata persino
l’appartenenza al genere umano.
Come ho già detto il libro non è soltanto un (notevole)
repertorio di storie e leggende, ma torna direi quasi ossessivamente sui nostri
giorni, sulle guerre e le pandemie che si inseguono in un mondo che si sta
disegnando davanti ai nostri occhi con forme inedite. Citerò una domanda
polemica che emerge dal libro, e che nel suo apparente candore si incide nella
memoria. Parlando delle fonti inquinanti che stanno devastando il pianeta pone
un problema solo apparentemente minore: quanto inquinano i mezzi militari?
Aerei, navi, sommergibili, mezzi di trasporto. Del sistema industriale abbiamo
qualche coordinata numerica, dai nostri eserciti non viene fornito alcun
numero. Se La maledizione della noce moscata dialoga
con il presente più di quanto ti aspetteresti, la scrittura che lo anima non
cede a tendenze modaiole, che ingloberò nell’espressione neo-narcisismo di
massa.
Il signor Ghosh, che scrive riempendo i lunghi tempi del
lockdown, appare nelle pagine giusto il necessario, e sempre con discrezione.
Dal punto di vista ideologico o post-ideologico non riesco a definire con
precisione la collocazione dell’autore. Appartenendo alla mia generazione ha
una vocazione radicale, ma come tanti ex rivoluzionari (e lo dico senza nessuna
ironia!) si trova ad esplorare mondi concettuali complessi alla luce di
ostinate riscritture della storia. La figura più evocata dalla mia generazione,
con voci e da strade diverse, è sicuramente quella di Papa Francesco che
appare, del tutto a proposito, anche in questo libro.
https://laletteraturaenoi.it/2023/09/27/amitav-ghosh-la-maledizione-della-noce-moscata-contributo-a-un-dibattito-sul-clima/
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