lunedì 11 settembre 2023

Usando un cane da combattimento, soldatesse israeliane costringono donne palestinesi a spogliarsi - Amira Hass

 

Haaretz 

Durante un raid a Hebron, cinque donne della famiglia sono state costrette a spogliarsi sotto la minaccia di un cane dell’unità cinofila e dei fucili dei soldati.

Due soldatesse israeliane mascherate, armate di fucile e di un cane da combattimento, hanno costretto cinque donne di una famiglia palestinese a spogliarsi, ciascuna separatamente, nella città cisgiordana di Hebron, a luglio. Secondo la famiglia, le soldatesse hanno minacciato di liberare il cane se le donne non avessero obbedito.

Durante l’irruzione nella casa della famiglia, soldati maschi hanno perquisito i membri maschi della famiglia, ma non hanno chiesto loro di spogliarsi.

L’esercito aveva informazioni sulla presenza di armi nell’abitazione e l’Unità Portavoce delle Forze di Difesa Israeliane ha dichiarato ad Haaretz che è stato trovato un fucile M16 con munizioni, il che ha reso necessaria la perquisizione degli altri residenti della casa.

Un totale di 26 persone, tra cui 15 minori di età compresa tra i 4 mesi e i 17 anni, vivono in tre appartamenti adiacenti, nella casa della famiglia Ajluni, nel sud di Hebron. La famiglia racconta che il 10 luglio, alle 1:30 del mattino, circa 50 soldati si sono piazzati intorno alla casa accompagnati da almeno due cani.

Secondo la famiglia, circa 25 o 30 soldati hanno preso posizione all’interno degli appartamenti, dove sono passati da una stanza all’altra dopo aver svegliato gli occupanti con torce elettriche, forti colpi alle porte e minacce di sfondare le porte.

La maggior parte dei soldati era mascherata, con solo gli occhi visibili. Uno, che sembrava essere l’ufficiale comandante e non era mascherato, indossava pantaloni militari ma una normale camicia a maniche corte. Le donne non sapevano chi fosse.

Alle 5.30 del mattino, i soldati hanno lasciato la casa, portando con sé il figlio maggiore della famiglia, Harbi, che hanno arrestato. La famiglia ha subito scoperto che i gioielli d’oro che il fratello minore, Mohammed, aveva comprato in vista del suo matrimonio erano scomparsi. Il valore era di 40.000 shekel (10.500 dollari). Gli uomini si sono precipitati alla stazione di polizia israeliana nel vicino insediamento di Kiryat Arba per sporgere denuncia.

La polizia ha detto che non era stato rubato nulla, ma il giorno seguente un ufficiale ha telefonato a Mohammed dicendogli di venire a ritirare l’oro. I soldati avevano pensato che si trattasse di proiettili, gli è stato detto. L’Unità Portavoce dell’IDF afferma che i gioielli erano in una borsa nera avvolta da nastro adesivo che è stata aperta più tardi in una stanza di investigazione della polizia.

La moglie di Harbi, Diala, ha scoperto che mancavano anche 2.000 shekel che erano in un cassetto, ma il denaro non è stato restituito. I portavoce dell’esercito affermano di non essere a conoscenza di questa accusa.

Costrette a spogliarsi davanti ai figli

Le donne costrette a spogliarsi erano Ifaf, 53 anni, sua figlia Zeinab, 17 anni, e le tre nuore di Ifaf: Amal, Diala e Rawan, che hanno 20 anni. Una dopo l’altra sono state portate nella cameretta rosa e viola dei figli di Amal, dove un orsacchiotto rosa fa la guardia.

La prima a essere chiamata nella stanza è stata Amal, 25 anni, che è stata costretta a spogliarsi in presenza di tre dei suoi quattro figli, che si erano appena svegliati. Piangendo e urlando, terrorizzati dal cane e dai fucili, hanno visto le soldatesse mascherate che, con gesti delle mani e in un arabo stentato, hanno intimato ad Amal di togliersi l’abito da preghiera.

Lei se l’è tolto. Poi le hanno chiesto di togliersi il resto dei vestiti. Lei ha protestato, facendo notare che non poteva nascondere nulla nei pantaloncini e nella canottiera. Dice che allora hanno liberato l’enorme cane, che le si è avvicinato ma non l’ha toccata.

I bambini urlavano di paura per tutto il tempo. Amal ha detto alle soldatesse di ritirare il cane perché i bambini ne avevano paura; poi si è tolta il resto dei vestiti. I bambini hanno dovuto assistere all’ordine dato alla madre di girarsi nuda dall’altra parte, mentre lei singhiozzava per l’umiliazione. Circa 10 minuti dopo lei e i bambini sono stati portati fuori dalla stanza, pallidi e tremanti.

La seconda donna chiamata nella stanza è stata Ifaf, la matriarca della famiglia. Non ha voluto parlare molto del suo calvario, anche se ha raccontato che le soldatesse le hanno fatto cenno o le hanno ordinato, in arabo stentato, di togliersi i vestiti. Va bene, gìrati, vèstiti.

Mentre succedeva questo, gli altri membri della famiglia erano tenuti in altre due stanze dello stesso appartamento. Le donne e i bambini erano in una stanza e gli uomini nell’altra. Due o tre soldati armati erano appostati alla porta di ogni stanza e ordinavano agli Ajluni di non parlare.

Di tanto in tanto compariva un altro soldato che riferiva qualcosa ai suoi colleghi. Mentre i membri della famiglia erano tenuti prigionieri nelle stanze, hanno sentito Amal e i suoi figli urlare, seguiti dalle altre donne che facevano lo stesso.

Hanno anche sentito i soldati rovistare negli appartamenti adiacenti. Hanno sentito sbattere, aprire cassetti e farli cadere sul pavimento. Hanno anche sentito i soldati ridere.

Il silenzio sul trauma

Non ci sono molti resoconti di donne palestinesi costrette a denudarsi durante un’incursione dell’esercito nella loro casa. Nei suoi 15 anni di ricerca sul campo a Hebron per il gruppo israeliano per i diritti B’Tselem, Manal al-Ja’bari ha registrato circa 20 casi del genere. Ma ritiene che negli ultimi mesi questi fenomeni siano aumentati. La maggior parte delle donne rifiuta di essere intervistata dai giornalisti in merito al trauma subito, dice Ja’bari.

Ma le donne della famiglia Ajluni hanno accettato di essere identificate per nome a patto che non venissero scattate foto. Dopo l’uccisione di una donna nel vicino insediamento di Beit Hagai il 21 agosto, alla stessa Ja’bari è stato detto di togliersi tutti i vestiti durante una massiccia perquisizione notturna delle case di Hebron. Ja’bari ha notato una telecamera sulla fronte di una soldatessa e si è rifiutata di spogliarsi.

“La soldatessa ha rimosso la telecamera dopo le mie insistenze. Tuttavia, ho rifiutato di spogliarmi. Forse perché sono di B’Tselem, hanno ceduto”, ha detto. Ma i soldati hanno messo a soqquadro la sua casa, hanno rotto diversi oggetti e hanno lasciato un tale disordine che Ja’bari non sapeva da dove cominciare a pulire. È quello che fanno spesso i soldati, ed è quello che hanno fatto anche a casa degli Ajluni.

Parlando con Haaretz il 27 agosto, le donne della famiglia Ajluni hanno ascoltato Ja’bari, anch’essa presente, raccontare il proprio calvario. Poi hanno ricordato che anche loro avevano visto qualcosa sulla fronte delle soldatesse, ma non sapevano cosa fosse. Ora, oltre al trauma della perquisizione, erano tormentate dalla domanda se i soldati le avessero filmate nude.

Nella sua dichiarazione, l’esercito ha affermato che i soldati non indossavano telecamere, mentre il cane sì, ma era spenta.

All’inizio le donne hanno detto di non essere sicure che i soldati mascherati fossero donne, ma poi hanno concluso che dovevano esserlo. “Quando ognuna di noi è entrata nella stanza, le soldatesse hanno spostato un po’ il cappello… così abbiamo potuto vedere che avevano i capelli lunghi, il che significa che erano donne”, hanno ricordato Diala e Zeinab, una completando il racconto dell’altra.

Tra le cinque donne spogliate, solo Amal non era in casa quando le altre hanno parlato con Haaretz. Era andata a comprare materiale per il matrimonio del fratello Mohammed. La vita stava riprendendo, l’anno scolastico era iniziato e gradualmente i volti delle donne e dei loro figli erano tornati a sorridere.

Ja’bari, la ricercatrice sul campo di B’Tselem, aveva registrato i racconti delle donne un giorno dopo il raid, descrivendo il terrore e lo shock che le Ajluni avrebbero provato ancora settimane dopo. Per circa quattro settimane, i bambini si svegliavano nel cuore della notte per la paura e bagnavano il letto. Le donne avevano spesso la sensazione che i soldati fossero ancora in casa e saltavano ogni volta che sentivano un rumore all’esterno.

Soldati intorno alla casa

La notte dell’incursione, Diala, 24 anni, si è svegliata sentendo il marito, Harbi, che discuteva con qualcuno e chiedeva di non entrare in camera da letto perché c’era sua moglie. “Ho capito che erano soldati e mi sono subito alzata per coprirmi e mi sono vestita velocemente, con un abito da preghiera”, ha raccontato.

In quel momento, i soldati e due grossi cani con la museruola hanno fatto irruzione nella stanza. Le tre ragazze che dormivano nella stanza dei genitori si sono svegliate alla vista dei fucili, dei cani e degli occhi che scrutavano da sotto le maschere.

“Mio marito ha urlato ai soldati – in ebraico e in arabo – di allontanarsi e di allontanare i cani. Le mie figlie urlavano, piangevano e tremavano di paura. Lujin, che ha 4 anni, se l’è fatta addosso. I soldati hanno ordinato a mio marito di non parlarmi, gli hanno puntato i fucili alla testa e lo hanno trascinato in cucina”, ha raccontato Diala.

Lo avrebbe rivisto solo alcuni giorni dopo, presso il tribunale militare di Ofer, dove la sua detenzione è stata prolungata più volte. È sospettato di possedere un’arma, ha detto Diala.

La notte del raid, lei e le sue figlie sono state lasciate in camera da letto per 10 o 15 minuti; poi i soldati le hanno ordinato di attraversare il cortile per raggiungere il luogo in cui era stato ordinato di radunare l’intera famiglia. Si trattava dell’appartamento del cognato Abdullah e di sua moglie Amal. Diala ha chiesto di poter prendere i soldi dal cassetto, ma l’ufficiale in maniche corte non glielo ha permesso, ha raccontato.

Il cortile è solo parzialmente pavimentato ed è pieno di sassi, spine e pezzi di vetro. L’ufficiale non le ha permesso di mettere le scarpe alle figlie “e mi ha fatto segno di portarle in braccio”, ha detto Diala. Ma lei ha portato solo Ayla, di 17 mesi. Lujin e Lida, di 5 anni, le sono rimaste vicine e sono uscite.

“Stavo morendo di paura quando sono passata accanto al cane”, ha detto. Le sue figlie le trotterellavano accanto, a piedi nudi e piangendo. Ha pensato che ci fossero anche altri cani nel cortile.

A quel punto, Abdullah ha chiesto il permesso di andare nell’appartamento in cui suo fratello Mohammed si sarebbe trasferito dopo il matrimonio. Abdullah voleva prendere i gioielli d’oro, ma i soldati si sono rifiutati. Lui ha protestato, e allora lo hanno ammanettato da dietro, bendato e portato nella cucina di Diala e Harbi.

Lo stesso hanno fatto con suo cugino Yamen, di 17 anni. Le donne li avrebbero trovati in cucina dopo che i soldati se ne erano andati con Harbi. Hanno tagliato le manette di plastica con un coltello.

Dopo che i soldati avevano spogliato Ifaf, è stato il turno di Diala. Un soldato è entrato nel soggiorno e le ha detto di andare con lui. “Sono entrata in una stanza e, poiché avevo molta paura del cane enorme, sono rimasta vicino alla porta e ho cercato di uscire”, ha raccontato. “Le soldatesse mi hanno urlato contro e mi hanno ordinato di rimanere nella stanza”.

Quando si è rifiutata di togliersi i vestiti sotto l’abito da preghiera, la soldatessa con il cane ha minacciato di liberare l’animale. Anche a Diala è stato chiesto di girarsi nuda in presenza delle soldatesse e anche lei ha pianto.

La diciassettenne Zeinab si è ribellata. Quando i soldati hanno chiesto a tutti di consegnare i telefoni, lei è riuscita a nascondere il suo sotto un cuscino. Ha raccontato che, mentre i membri della famiglia erano ancora seduti in salotto con i bambini, “un soldato mi ha indicato e ha detto [in arabo] ‘Tu, vieni’ e mi ha condotto nella stanza dei bambini”.

“Le soldatesse mi hanno mostrato i capelli per farmi capire che erano donne e mi hanno ordinato di mettermi in un angolo della stanza. Poi il soldato maschio ha aperto con rabbia la porta, ha sbirciato all’interno, ha sventolato il mio telefono, ha alzato il fucile e lo ha puntato contro di me. Era arrabbiato perché non l’avevo consegnato quando mi aveva detto di farlo. Ho urlato. È stato un bene che non mi fossi ancora tolta l’hijab”.

(A questo punto Diala interviene dicendo che le altre donne l’hanno sentita urlare, non sapevano cosa stesse succedendo ed erano molto preoccupate).

“Pensavo che ci avrebbero esaminato con un’apparecchiatura elettromagnetica”, ha detto Zeinab. “Sono rimasta sorpresa quando la soldatessa mi ha detto in arabo stentato di spogliarmi. Ho chiesto: ‘Cosa? Mi ha risposto: ‘I vestiti’. Ho detto: ‘Non voglio’. Mi ha detto: ‘Togliti tutto’.

“Ho deciso di urlare e di mostrare che non avevo oggetti addosso, ma lei ha insistito perché mi togliessi tutto. Quando mi sono opposta, si sono avvicinate a me con il cane in modo minaccioso. Ho sentito Diala urlarmi da fuori la stanza che dovevo fare quello che mi dicevano.

“Allora mi sono spogliata. La soldatessa mi ha detto di girarmi. Mi sono girata solo a metà e allora lei mi ha avvicinato di nuovo il cane. Tremavo e piangevo”.

A un certo punto, i bambini sono stati lasciati soli nel soggiorno senza le loro madri e in presenza dei soldati armati. Dopo essere state perquisite, le madri sono state messe in un corridoio adiacente. I bambini erano spaventati e piangevano.

I soldati hanno parzialmente accolto le richieste delle madri e hanno permesso loro di prendere i due più piccoli. Ifaf e uno dei suoi nipoti raccontano che i soldati hanno cercato di calmare i bambini che erano rimasti da soli nel soggiorno. Hanno battuto i loro pugni con i piccoli pugni di alcuni bambini.

L’unità portavoce dell’IDF ha dichiarato che: “Sulla base dell’intelligence, è stato trovato un M16 lungo, così come munizioni e un caricatore. Dopo aver trovato l’arma, è stato necessario controllare le altre persone presenti nella casa per eliminare la possibilità che ci fossero altre armi. Seguendo le istruzioni degli investigatori della polizia di Hebron, le soldatesse [dell’unità cinofila] hanno perquisito le donne della casa in una stanza chiusa, ognuna individualmente. Le soldatesse non indossavano telecamere.

“Il cane, che non era presente nella stanza durante l’ispezione, aveva una telecamera montata sulla schiena per scopi operativi, ma non era accesa in quel momento. Durante le perquisizioni è stata trovata e portata via, insieme all’arma rinvenuta, una borsa nera nascosta e avvolta da nastro adesivo. La borsa è stata aperta nella stanza delle indagini e si è capito che si trattava di gioielli.

“Il giorno successivo alla perquisizione, il fratello dell’arrestato è venuto, ha firmato che si trattava di gioielli di famiglia e li ha ripresi. Non siamo a conoscenza della richiesta di 2.000 shekel. Non siamo a conoscenza di reclami riguardanti il caso. Se dovessero pervenire, saranno presi in considerazione, come di consueto”.

 

Traduzione a cura di AssoPacePalestina

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