martedì 19 settembre 2023

BASTA GUERRA

 


articoli e video di Francesco Gesualdi, Michele Santoro, Raniero La Valle, Elena Basile, Antonio Mazzeo, Jesús López Almejo, Ariel Umpièrrez, Irina Scherbakova, Alessandro Marescotti, Alessandro Orsini, Clara Statello, Jens Stoltenberg, Ennio Cabiddu


BASTA GUERRA – Francesco Gesualdi

Ci hanno presentato la guerra in Ucraina come una favola: di là l’orco cattivo, di qua i buoni che vogliono punirlo.  La verità è che ci troviamo di fronte  all’esito di un braccio di ferro fra due fronti contrapposti (Russia e Nato), ambedue animati da spirito di dominio, che stanno usando l’Ucraina come vittima sacrificale. Per cui non esiste di là il cattivo, di qua i buoni, bensì due cattivi, ambedue capaci di aggressione quando serve ai propri scopi. Lo dimostra la storia.

La guerra in Ucraina va fermata perché massacra un popolo, perché ci espone a rischio di catastrofe nucleare, perché aggrava all’inverosimile la questione climatica e ambientale, perché getta nella disperazione milioni di famiglie, in tutta Europa, per la crisi energetica che ha provocato e che le leggi di mercato, tutte a favore delle multinazionali finanziarie e petrolifere, stanno trasformando in catastrofe sociale.

L’unico modo per fermarla è dire no alla guerra e allo spirito di dominio che  anima ambedue gli schieramenti. Una strada che si attua attraverso tre iniziative: 1) stop all’invio di armi che serve solo a prolungare la guerra ingrassando i produttori di armi; 2) avvio  di dialogo fra Russia ed Unione Europea per garantire pace al continente; 3) riduzione delle spese militari e della produzione di armi.

Se condividi questa prospettiva,  invia questo messaggio ai tuoi amici. E’ arrivato il tempo di fare sentire un’altra voce nel paese. La voce di chi non vuole la guerra perché giova solo ai potenti.

 

 

INVECE DELLA RAGIONE – Raniero La Valle

Cari amici,
è sempre più difficile dire come potremo uscire dalla tragedia universale che stiamo vivendo, perché siamo vittime non solo della protervia dei potenti che si sono arrogati il diritto di decidere della nostra sorte e della stessa vita del mondo, ma della loro condotta del tutto irrazionale, e per conseguenza incoerente e ingannevole. Nel nostro orgoglio di occidentali nipotini di Kant, credevamo che la ragione ci avrebbe salvato, e invece è proprio l’eclissi della ragione che ci sta perdendo.
Il primo esempio di questo agire senza ragione sta nell’origine stessa della guerra d’Ucraina;  ora sappiamo perché essa è scoppiata, e come sarebbe stato facile, e addirittura ovvio, evitarla. Ci ha spiegato perché non l’hanno fatto il segretario generale della NATO, Stoltenberg, parlando in una sede istituzionale e ufficiale come la Commissione Affari Esteri del Parlamento europeo. È forse per la sua genialità che egli è stato confermato per un altro anno alla testa della Forza Armata dell’Occidente.
“Nell’autunno del 2021 – ha rivelato –  il presidente russo Vladimir Putin ci inviò una bozza di trattato: voleva che la NATO firmasse l’impegno a non allargarsi più”.  Bisogna notare che a quella data la NATO aveva già inglobato, dopo il fatidico ’89,  la Polonia, la Repubblica Ceca, l’Ungheria, la Bulgaria, l’Estonia, la Lettonia, la Lituania, la Romania, la Slovacchia, la Slovenia, l’Albania, la Croazia, il Montenegro, la Macedonia del Nord, Paesi  non tanto lontani dai confini della Russia, su cui pertanto la NATO poteva già abbaiare a suo piacere. “Inoltre – ha aggiunto Stoltenberg – voleva che rimuovessimo le infrastrutture militari  in tutti i Paesi  entrati dal 1997, il che voleva dire che avremmo dovuto rimuovere la NATO dall’Europa centrale e Orientale, introducendo una membership di seconda classe. Ovviamente non abbiamo firmato, e lui è andato alla guerra per evitare di avere confini più vicini alla NATO,  ottenendo l’esatto contrario».
Commentando queste dichiarazioni su “Il Fatto Quotidiano”, Salvatore Cannavò fornisce altri particolari su quel tentativo di accordo fallito: Il documento con le “proposte concrete” di Putin, presentato il 15 dicembre 2021 “fu accolto in Occidente come un diktat, anche se gli uomini di Putin lo consideravano comunque una bozza su cui avviare la trattativa. I nove articoli muovevano da un preambolo che citava vari trattati, da quello di Helsinki del 1975 sino alla Carta per la sicurezza europea del 1999 per poi sostenere l’impegno delle parti a “non partecipare o sostenere attività che incidano sulla sicurezza dell’altra parte “, a “non usare il territorio di altri Stati per preparare o effettuare un attacco armato” o ad azioni che ledano “la sicurezza essenziale” reciproca facendo in modo che le alleanze militari o le coalizioni di cui fanno parte rispettino “i principi contenuti nella Carta delle Nazioni Unite”. Propositi a nostro parere sacrosanti.
L’articolo 4 era quello tendente a escludere l’ulteriore espansione della NATO ad Est, e l’ammissione ad essa degli Stati che facevano parte dell’Unione Sovietica; gli Stati Uniti non avrebbero dovuto installare basi militari sul territorio degli Stati già membri dell’URSS né avrebbero dovuto stabilire con loro una cooperazione militare bilaterale. Tale  proposta non metteva in discussione tutto l’Est europeo ma i soli Paesi baltici, Estonia Lettonia e Lituania entrati nell’alleanza nel 2004. La Russia chiedeva poi di non schierare missili terrestri a raggio corto e intermedio se questi minacciassero l’altra parte e di “evitare il dispiegamento di armi nucleari”. C’era poi l’impegno che le parti non avrebbero dovuto creare “condizioni o situazioni che costituiscano o possano essere percepite come una minaccia alla sicurezza nazionale di altre parti”, con una certa “moderazione” nell’organizzazione delle esercitazioni. Per la risoluzione delle controversie si rimandava ai rapporti bilaterali e al consiglio Nato-Russia, con la richiesta di creare hotline di emergenza. Per quanto in particolare riguardava l’Ucraina la richiesta era che tutti gli Stati membri della NATO si astenessero dal suo ulteriore allargamento compresa l’adesione dell’Ucraina e di altri Stati, e non conducessero alcuna attività militare sul territorio dell’Ucraina e di altri Stati dell’Europa orientale,  del Caucaso meridionale e dell’Asia centrale”. Il rifiuto di queste proposte arrivò subito, già il giorno dopo, il 16 dicembre, in una conferenza stampa  di Stoltenberg con il presidente ucraino Zelenski. La posizione degli Stati Uniti, di Biden, di Stoltenberg, ribadita in più sedi, era che “è la NATO che decide chi aderisce all’Alleanza e non la Russia”, e l’Europa tacque del tutto.
Un altro esempio di un comportamento “alienum a ratione”, per dirla con papa Giovanni XXIII, ossia “fuori della ragione” se non di follia, sta nella posizione assunta dall’Ucraina come l’ha enunciata il portavoce ufficiale di Zelenski, Mikhailo Podolyak. Egli prima ha liquidato papa Francesco, dicendo: “Non ha senso parlare di un mediatore chiamato papa, se questi assume una posizione filorussa… Se una persona promuove chiaramente il diritto della Russia di uccidere i cittadini di un altro Paese…sta promuovendo la guerra… Il Vaticano non può avere alcuna funzione di mediazione: ingannerebbe l’Ucraina o la giustizia”. Marco Politi ha definito  queste dichiarazioni “uno schiaffo pesante” al papa,  paragonandolo  allo “schiaffo di Anagni”. Poi Podolyak ha descritto il mondo come l’Ucraina di Zelensky se lo immagina oggi e dopo la vittoria sulla Russia: “Smettetela di assecondare i mostri” (rivolto a Lula che aveva detto che non avrebbe fatto arrestare Putin se andrà al prossimo G20 del 2024 a Rio de Janeiro), “Smettetela di flirtare con i maniaci ignorando le loro vere intenzioni. Smettetela di pensare che sia possibile negoziare con la Russia e che sia importante. La decisione sulla Russia deve ancora essere presa: isolamento geopolitico, status di terrorista, sospensione dall’appartenenza a istituzioni globali, mandati di arresto individuali per alti funzionari. E soprattutto la sconfitta nella guerra seguita dalla trasformazione interna” (dal Corriere della Sera dell’11 settembre). Povera Ucraina e poveri noi in un mondo così.
La terza performance insensata è quella di Biden che è andato in Vietnam, teatro di quella guerra che gli Stati Uniti non hanno accettato di concludere con un negoziato cercando invece la vittoria, e ne sono usciti sconfitti fuggendo da Saigon, per proporre una qualche partnership nell’Indopacifico, ignorando forse che il Vietnam, dopo la dura esperienza da cui è uscito, è ora il Paese “dei quattro NO”: no alle alleanze militari, no a schierarsi con un Paese contro un altro, no alle basi militari straniere, no all’uso della forza nei rapporti internazionali. Fossimo anche noi come il Vietnam! E a Pechino Biden ha detto: “Non voglio il contenimento della Cina. Voglio solo assicurare che ci sia una relazione onesta e chiara”. Peccato che nella “Strategia della sicurezza nazionale americana”, da lui firmata nell’ottobre scorso, c’è scritto che il maggiore “competitore strategico” degli Stati Uniti è la Cina, che rappresenta la “sfida culminante” (pacing challenge) nel prossimo decennio e nei decenni successivi, a causa della sua intenzione e capacità di “rimodellare l’ordine internazionale a favore di un ordine che inclini il campo di gioco globale a suo vantaggio, e sempre più spesso ha il potere economico, diplomatico, militare e tecnologico per perseguire tale obiettivo”.
Sulla scia di questa “damnatio” pronunciata da Biden il documento operativo sulla “Strategia della Difesa Nazionale degli Stati Uniti” pubblicato dal Segretario alla Difesa Lloyd Austin, specificava che “la Repubblica Popolare Cinese ha ampliato e modernizzato quasi ogni aspetto dell’Esercito Popolare di Liberazione, concentrandosi sullo sforzo di riequilibrare le superiorità militari statunitensi. La Cina è quindi la sfida suprema per  il Dipartimento della Difesa”. Lloyd Austin illustrava  poi come l’immenso potenziale americano sarebbe stato predisposto a sostenere con la  deterrenza questa sfida con la Repubblica Popolare Cinese e a “scoraggiare l’aggressione”; egli sosteneva bensì che il conflitto con la Cina non è “né inevitabile né auspicabile” ma anche che gli Stati Uniti sono pronti, se la deterrenza fallisce,  “a prevalere nel conflitto”. Nonostante tutti i processi alle intenzioni, decisive motivazioni sul perché si debba fare della Cina l’ultimo Nemico in una guerra finale con lei, non erano date. Sono queste alcune delle ragioni che stanno alla base dell’Appello “Terra, Pace Dignità”, rivolto anche ai destinatari di questa newsletter, appello che pubblichiamo nel sito e di cui si potranno poi seguire gli sviluppi. Si tratta di dare una rappresentanza politica a tre soggetti ideali, tre ordinamenti,  che non l’hanno o l’hanno perduta: la Terra, la Pace e la Dignità di tutte le creature; è la via, che non elude la dura prova della politica, per giungere infine, ripudiata sul piano mondiale la guerra,  a quel costituzionalismo mondiale che è il nostro obiettivo e la ragione del nostro impegno.

 

 

 

Un’iniziativa politica

TERRA PACE E DIGNITÀ

L’appello di Michele Santoro e Raniero La Valle per dare una rappresentanza al Popolo della Pace. Tre soggetti, tre ordinamenti da costruire: la Pace, la Terra e la Dignità di tutte le creature

Pubblichiamo l’appello, aperto alle firme, per un’assemblea da tenersi a Roma il 30 settembre per dare la parola alla Pace da istituire, alla Terra da salvare, alla Dignità da ristabilire.

Noi sottoscritti, amanti della pace e più ancora della vita, sgomenti per gli sviluppi incontrollati della guerra d’Ucraina e per l’istigazione da parte dei governi a perpetuarla ed estenderla, sentiamo l’urgenza di un impegno personale e intendiamo riunirci in una pubblica Assemblea il 30 Settembre prossimo a Roma per promuovere  un’azione responsabile volta ad invertire  il corso delle cose presenti, istituire la pace e ristabilire le  condizioni di un sereno futuro.

Rivolgiamo perciò un appello:

 Ai pacifici, alle donne e agli uomini di buona volontà, ai resistenti perché nessun volto sia oltraggiato e la dignità sia riconosciuta a tutti gli esseri viventi, agli eredi di milioni di uomini e donne che hanno lottato per il lavoro, per l’emancipazione e per la libertà dal dominio pubblico e privato, a quanti si ribellano al sacrificio degli uni per il tornaconto degli altri, ai giovani che abbiamo perduto, a cui non abbiamo saputo garantire il futuro.

Ai credenti e ai non credenti, agli organizzati e ai disorganizzati, ai militanti di tutti i partiti, agli elettori di tutte le liste, agli assenti dalle urne e a quelli di deluse speranze, a quanti godono di buona fama e a chi soffre di una cattiva reputazione, agli inclusi e agli scartati.

Noi ci rivolgiamo a voi non perché siamo più importanti, ma perché siamo voi.

 

E vogliamo dare una rappresentanza a tre soggetti ideali che ancora non l’hanno o l’hanno perduta, a tre beni comuni: la PACE, la TERRA e la DIGNITÀ.

 

LA TERRA:  è in pericolo, essa non è un patrimonio da sfruttare, un ecosistema da aggredire, ma la casa comune da custodire, da tornare a rendere abitabile per tutte le creature, da arricchire con i frutti del nostro lavoro e le opere del nostro ingegno.

 

LA DIGNITÀ : è la condizione umana da riconoscere, restaurare e difendere. La dignità della libertà e della ragione, del lavoro e del tenore di vita, del migrante per diritto d’asilo e del profugo per ragioni economiche, del cittadino e dello straniero, dell’imputato e del carcerato, dell’affamato e del povero, del malato e del morente, della donna, dell’uomo e di ogni altra creatura.

 

LA PACE:  tutti dicono di volere la pace nel mondo, ma questa non si può nemmeno pensare se prima non finisce questa guerra in Europa, dunque è una seconda pace, ed è una bugia quella di chi dice di volere la seconda pace se non vuole e impedisce la prima. Noi sappiamo invece che la pace del mondo è politica, imperfetta e sempre a rischio. È assenza di violenza delle armi e di pratiche di guerra, vuol dire non rapporti antagonistici né sfide militari o sanzioni genocide tra gli Stati, implica prossimità e soccorso nelle situazioni di massimo rischio a tutti i popoli.

 

Il sistema di guerra è diventato il vero sovrano e comanda ogni cosa, pervade l’economia e domina la politica anche quando la guerra non c’è o non è dichiarata. È questa la ragione per cui la stessa guerra d’Ucraina non riesce a finire, benché in essa entrambi i nemici già ne siano allo stesso tempo vincitori e sconfitti e non finisce perché, così ben piantata nel cuore dell’Europa per rialzare la vecchia cortina sul falso confine tra Occidente e Oriente, la guerra d’Ucraina è funzionale o addirittura necessaria a quel sistema, e perciò gli stessi negoziati sono stati proibiti.

È esplosa con la funesta  offensiva di Putin  ma ha subito suscitato una reazione straordinaria avente lo scopo di dividere l’Europa su una frontiera di odio e di sangue tra Ucraina e Russia, così  da lasciare agli Stati Uniti una potenza ineguagliabile, e la Cina come vero e ultimo nemico.

 

LA TERRA stessa è in pericolo, le politiche ecologiche sono sospese e rovesciate, il clima si arroventa e le acque si rompono. Già ora i Grandi col nucleare sfregiano la Terra (in Ucraina con le bombe ricche di uranio impoverito). Per i potenti della Terra si direbbe che non esiste il futuro.

 

LA DIGNITÀ delle persone e di tutte le creature viene negata e umiliata, a cominciare dalla dignità dei migranti che sono abbandonati al mare o vengono scambiati per denaro perché siano trattenuti nei lager libici o nei deserti tunisini.

 

A tutto questo noi diciamo NO. Siamo sicuri che se si potesse fare un referendum mondiale, la grande maggioranza dei popoli e dei cittadini della Terra direbbe NO alla guerra come salute dei popoli, NO all’entusiasmo per il massacro, NO alla competizione strategica per il dominio del mondo, NO alla sfida culminante dell’area euro-Atlantica con la Russia e  con la Cina.

 

Noi non neghiamo rispetto e stima ai partiti e alle loro personalità più eminenti, e non condividiamo la ripulsa e il discredito di cui oggi sono fatti oggetto. Il nostro è piuttosto un Partito Preso per la Pace, per la Terra e per la Dignità delle creature, senza riserve ed eccezione alcuna.

 

La prima occasione in cui tutto ciò sarà messo alla prova saranno le elezioni europee. Risuona per l’Europa la domanda gridata da papa Francesco: “Dove vai Europa?”. Dove stai navigando, senza la bussola della pace?

Il  primo punto di un  programma elettorale  è per noi il rifiuto senza se e senza ma della creazione di un  esercito europeo,   erroneamente considerata, nell’attuale deriva politica, il naturale coronamento dell’unità europea. È invece il residuo di una cultura arcaica che ritiene essenziale per la sovranità  il potere di guerra e il disporre di un’armata. Un esercito europeo sarebbe integrato nella Nato con gli Stati Uniti al comando, renderebbe permanente la guerra civile europea innescata dal conflitto in Ucraina e il pericolo di una deflagrazione finale in una guerra mondiale già di fatto iniziata.

 

E’ invece l’Europa che dovrebbe promuovere la riforma dell’Onu e una politica attiva per il disarmo, con l’inclusione  del Brasile, dell’India e del Sudafrica, le nazioni che formano i BRICS, nel novero dei Cinque Membri Permanenti del Consiglio di sicurezza. In tal modo la leadership mondiale sarebbe direttamente rappresentativa del 47 per cento (quasi la metà) della popolazione mondiale.

L’ Europa ha interesse a sostenere l’opposizione del presidente brasiliano Lula e dei BRICS  alla supremazia mondiale del dollaro e ha interesse  a sottrarre la moneta e il debito  al dominio delle banche private  e del mercato di carta per recuperare la sovranità perduta e  riconsegnare i beni comuni ai cittadini.

Anche la democrazia è incompatibile col sistema di guerra e si indeboliscono le difese contro il fascismo  vecchio e nuovo.

 

Non ci affascinano i Palazzi ma i Parlamenti. Vorremmo una scuola che non trasformi i ragazzi in capitale umano, in merce nel mercato del lavoro, in pezzi di ricambio per il mondo così com’è, ma in padroni della parola, coscienti e cittadini. Si decida di rendere vero anche nei fatti che la guerra è ripudiata, che la rivoluzione femminile deve essere proseguita e adempiuta, che si salvino per primi “gli ultimi”, perché solo in questo modo si salvano anche i primi.

Amiamo i valori dell’Europa e dell’Occidente ma non pretendiamo un mondo a nostra misura, tanto meno uniformato al modello di “democrazia, libertà e libera impresa”, che si è voluto esportare con le guerre umanitarie e per procura, consacrando così l’economia che uccide.

Per promuovere un costituzionalismo mondiale e preparare un altro avvenire per l’Italia e per  l’Europa chiediamo a tutti di firmare questo appello inviando una mail a associazione.serviziopubblico@gmail.com  indicando il proprio nome e cognome e di farlo circolare per poi unirci in Assemblea il 30 settembre a Roma  nelle modalità che in seguito Servizio Pubblico comunicherà.

Continuiamo a camminare insieme.

Raniero La Valle

Michele Santoro

 

Se l’Europa vuol esistere abbandoni l’atlantismo – Elena Basile

Negli anni 90 ne ho trascorsi quattro anni e mezzo in Nord America. Ho avuto la possibilità di viaggiare a lungo e ovunque negli Stati Uniti. Ho amato molti aspetti di una società che all’epoca sembrava lanciata verso un successo indefinito. Le avanguardie artistiche e culturali, le università, lo spirito civico e di appartenenza a una grande comunità, l’individualismo e l’assunzione di responsabilità, la libertà inscritta nei geni. Ho amato e amo questi aspetti della società americana. Eppure oggi sono una feroce critica dell’imperialismo Usa, delle strategie coerenti e demenziali con cui ben sette amministrazioni, da Reagan in poi, hanno cercato di dominare il mondo con le armi e con la finzione “liberale” di una democrazia esportabile ovunque.

liberal sono ormai una razza in estinzione, come la sinistra in Europa. Rimane il triste spettacolo di un’oligarchia rappresentata da una classe politica che non brilla per saggezza ed etica e si contrasta a colpi di inchieste giudiziarie. L’asservimento dei giudici all’esecutivo è insito nel sistema e degenera in una sottomissione alle mafie politiche come narra il grande cinema americano. I due sfidanti alle prossime elezioni si promettono incriminazioni reciproche. Lo speaker repubblicano McCarthy lancia un’indagine per l’impeachment di Biden. I Repubblicani accusano il presidente e il figlio Hunter di aver ricevuto 5 milioni di dollari ciascuno per gli affari della società ucraina Burisma nel cui cda siede Biden jr.. Hunter è del resto indagato per evasione fiscale e possesso illegale d’arma da fuoco. Su Trump inutile soffermarsi. L’America è bella, la sua politica no. Persino la fiction House of cards racconta la commistione tra crimini e partitocrazia. Si è quindi antiamericani se si denunciano i crimini del progetto neoconservatore che dalla periferia (Afghanistan, Iraq, Libia) s’è spostato al centro contro l’anello debole delle “potenze del surplus”, la Russia?

Si è antiamericani se si è provato orrore di fronte alle guerre di esportazione della democrazia con annesse extraordinary rendition, Abu Ghraib e Guantanamo? Si è antiamericani se si considera la detenzione di Assange una violazione inaccettabile dei diritti individuali protratta negli anni in Occidente? Si è antiamericani se si denunciano le discriminazioni dei neri americani, il razzismo che alberga in molte fasce della popolazione e si esprime nei comportamenti illegali di alcuni settori della polizia? Si è antiamericani se si disprezza il materialismo e la sottocultura che l’american way of life ha incentivato? Si è antiamericani se si considerano lo Stato sociale e il sistema sanitario pubblico europeo, creato nel dopoguerra e oggi gradualmente smantellato, un riuscito tentativo di riconciliare mercato e standard minimi di giustizia sociale a cui gli americani avrebbero dovuto ispirarsi?

Vorrei chiederlo ai tanti esponenti politici del centrosinistra che sono divenuti cassa di risonanza dei Democratici americani e da anni bollano di “antiamericanismo” ogni riflessione e denuncia di pratiche illecite Usa. Mi piacerebbe credere nella buona fede di tutti. Ma questo mutamento antropologico dei “riformisti” che continuano ad avere come punto di riferimento fideistico l’Amministrazione statunitense appare come il chiaro posizionamento servile nei confronti del vincente. Sei antiamericano, sei un perdente, sei uno sfigato, come si dice in linguaggio colloquiale.

Non c’è, ci raccontano, un’alternativa. La sinistra è senza progetti. Il mantenimento del potere è possibile se ci si allinea alla volontà dei veri poteri, economici e finanziari, che dettano le regole e costruiscono il “migliore dei mondi possibili”. Questa narrativa è pericolosa per le democrazie occidentali. Non vorrei ci fossero malintesi. Russia, Cina, Turchia e, mi dispiace per i cantori della democrazia di New Delhi, anche l’India, hanno forme di governo autoritarie, non paragonabili alle nostre. Eppure il rischio di una graduale degenerazione del dibattito democratico incombe anche su di noi. Bisogna ritornare a una partecipazione politica, a un progetto di società che comprenda valori come la pace e la mediazione da opporre a nazionalismo e corsa al riarmo. Bisogna ritornare all’Europa dei Paesi fondatori, alla riforma della governance economica che continua a drenare fondi dai debitori ai creditori, alla riforma di Dublino che da anni discrimina i Paesi di primo ingresso dei migranti, alla riforma istituzionale, alla difesa e all’autonomia strategica. L’Europa deve appellarsi ai propri interessi e staccarsi dall’atlantismo muscolare che ci ha portato alla guerra in Ucraina e prepara lo scontro con la Cina. Ci può essere una dialettica nella Nato, come Ankara insegna. Gli elettori possono far sentire la loro voce alle prossime elezioni europee. Un’alternativa c’è sempre. I partiti dell’opposizione potrebbero incarnarla insieme.

da qui

 

Un aereo può  cadere – Ennio Cabiddu

Un aereo può  cadere e uccidere mentre trasporta persone e cose.
Un aereo può  cadere e uccidere mentre cerca di spegnere un incendio
Un aereo può  cadere e uccidere mentre porta un organo da trapiantare
Ma un aereo non può  cadere e uccidere perché  si sta allenando per una
costosa,inutile e esibizione per tenere alto l’orgoglio militare e il
mito del primato nazionale


È  tutta colpa degli uccelli – Ennio Cabiddu
È  tutta colpa degli uccelli
Che saranno pure molto belli
Specie dentro un carniere
Allora il cacciator offre da bere
Da loro abbiamo copiato il volare
Ma loro non si piegano al militare
Devono essere obiettori di coscienza
Devono avere nel DNA la nonviolenza
Che Vannacci li metta sull’attenti
O li escluda dagli esseri viventi


Ennesimo invio di armi italiane all’Ucraina – Antonio Mazzeo

Secondo quanto documentato dagli analisti di ItaMilradar, un velivolo cargo Boeing KC-767A (reg. MM62226) dell’Aeronautica Militare italiana è decollato alle ore 7 di mattina dallo scalo di Pratica di Mare (Roma) per raggiungere la base militare di Rzeszow, Polonia. L’aereo è poi rientrato a Pratica di Mare intorno alle ore 14.30.

“L’esatta natura del carico a bordo dell’aereo è ignota ma è probabile che siano stati trasportati aiuti militari all’Ucraina”, scrive ItaMilRadar,. “L’Italia è da sempre un forte sostenitore dell’Ucraina nella sua odierna guerra contro la Russia, è ha già fornito miliardi di dollari in aiuti militari e umanitari. La missione del KC-767A è un’ulteriore indicazione dell’impegno dell’Italia a sostegno dell’Ucraina. L’aereo è un grande velivolo da trasporto in grado di ospitare fino a 70 tonnellate di carico”.

I Boeing KC-767A’dell’Aeronautica Militare sono anche equipaggiati con un sistema per il rifornimento in volo dei cacciabombardieri.”

Ancora una volta massima segretezza da parte del governo sui trasferimenti di sistemi di guerra alle forze armate ucraine. A differenza degli Stati Uniti d’America e di quasi tutti i paesi membri della Nato, l’Italia impone il segreto militare sulla tipologia, le quantità e il valore delle armi inviate a Kiev.

da qui

 

 

 

 

L’Ucraina è il nuovo Afghanistan: le prossime europee siano un referendum per la pace – Elena Basile

Come si sa, Antonio Gramsci in una nota dal carcere negli anni Trenta scrisse che un mondo stava morendo e che i contorni del nuovo universo non erano netti all’orizzonte. Nell’interregno tra i due diversi ordini, forze irrazionali e oscurantiste avrebbero dominato. Nell’interregno nascono i mostri. L’attualità di questa dichiarazione ci colpisce.

È davanti agli occhi di tutti, anche dei più fanatici sostenitori della riscossa dell’Occidente collettivo contro il male col quale viene identificato il resto del mondo, (Pep Borrell docet, il «giardino» europeo assediato dai barbari) che la strategia Usa e Nato manca di razionalità politica.

La politica in subordine
Con Machiavelli, nasce l’epoca moderna. Viene creata l’autonomia della politica dai dogmi religiosi ed etici. Naturalmente anche prima di Machiavelli la politica era stata pura gestione del potere ma era stata camuffata da visioni religiose e falsamente etiche. L’autore de Il Principe mette a nudo il re e riconsegna alla strategia politica le sue caratteristiche essenziali aprendo alla modernità laica le scienze politiche.

Oggi l’operazione sotto-culturale che viene portata avanti è la soggezione dell’arte del compromesso al fine di ridurre i danni e perseguire il maggior bene possibile, ai dogmi etici naturalmente funzionali a un certo tipo di potere. La sconfitta dell’Ucraina è immorale, dichiara il Brookings Institute. In questo modo il ventunesimo secolo che avrebbe dovuto portare alla fine delle ideologie vede gli interessi geo-strategici occidentali travestirsi di radicalismo etico, di ossessione normativa. In questo modo ogni opzione razionale e realistica diviene oggetto di uno stigma quasi religioso incline a trascinarci in un universo medievale oscurantista.

Meglio della sottoscritta lo spiega Salvatore Minolfi nel suo eccellente libro “Le origini della guerra russo-ucraina”, edito dall’Istituto di studi filosofici di Napoli, lontano dai grandi circuiti e dalla promozione delle case editrici importanti come avviene oggi per tante pubblicazioni originali e di valore, ghettizzate nell’ombra mentre imperversano opere scontate e banali, incomprensibilmente pompate dai media.

La nuova tappa del trentennale progetto neo-conservatore americano, ugualmente presente tra i Repubblicani e i Democratici, è la guerra in Ucraina. Si abbandona la periferia (Afghanistan, Iraq, Libia) per dirigersi contro il centro, l’anello debole delle potenze del surplus, la Russia, per poter poi attenzionare la Cina. La politica non è, in questo caso, la continuazione della guerra con altri mezzi, come affermava Carl Schmitt, ma la manifestazione del suo vuoto.

Difendere l’egemonia statunitense messa in crisi dalle potenze emergenti e da un mondo multipolare agli albori, facendo affidamento sulla sola supremazia militare, indirizzare il conflitto contro una potenza nucleare, apparirebbe a qualsiasi studente di teoria politica internazionale ai primi anni universitari una aberrazione ma non ai giornalisti, ai politologi e ai diplomatici scesi a supporto della guerra per la “libertà dell’Ucraina”.

Quale libertà potremmo chiederci? La libertà di non divenire un Paese neutrale come l’Austria e la Svizzera? La libertà di non risolvere nell’ambito di una federazione i problemi concreti esistenti dal punto di vista linguistico, culturale e politico con le minoranze russofone? Povero popolo mandato al massacro, non mi stancherò di ripeterlo!

Una speranza vana
Avevo sperato nelle preoccupazioni elettorali di Biden. La cosiddetta “war fatigue” sottolineavano tanti analisti con un cinismo impressionante, avrebbe potuto minare il successo della campagna presidenziale. Vi sarebbe stato un interesse alla mediazione, almeno a un armistizio coreano dato anche l’orrore delle perdite subite durante la debole controffensiva di Kiev.

Gli Usa hanno raggiunto gran parte dei loro obiettivi geostrategici che almeno sette amministrazioni Usa da Ronald Reagan in poi hanno perseguito. Gli interessi energetici, innanzitutto. Il gas Usa a prezzi proibitivi per l’Europa rimpiazza in gran parte quello russo. Il complesso industriale della difesa ha ricevuto gli incentivi necessari a far marciare l’economia statunitense. La separazione della Russia dall’Europa e la fine della relazione speciale russo-tedesca sono state infine ottenute.

Il riequilibrio dei poteri tra vecchia e nuova Europa con una preminenza della seconda sulla prima è evidente anche ai ciechi. Ormai guardiamo impotenti alla fine delle ambizioni di difesa europea e autonomia strategica dell’Ue. In conclusione si tratta di un bel bottino che poteva suggerire una tregua.

Eppure l’investimento di 101 miliardi, l’ultimo promesso dal segretario di Stato Usa, Tony Blinken, nel suo recente incontro con il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Kiev insieme alle bombe a grappolo e agli F16, purtroppo ci induce a pensare che l’Ucraina resterà l’Afghanistan di Europa, con un conflitto endemico capace forse di erodere alla lunga il potere economico e politico di Mosca ma anche la sovranità dell’Europa ormai in ginocchio, un “protettorato Usa” come Brzezinski con la sua solita lucidità la aveva già descritta.

L’unica soluzione
Come uscirne allora? Come immaginare Sisifo felice e tentare di trascinare la pietra fino in cima alla montagna anche se sappiamo che ricadrà a valle? Bisogna sperare nel bene e nella ragione anche quando essa appare lontana. La vecchia Europa, i popoli di Germania, Francia, Italia, dovrebbero far sentire la propria voce alle prossime elezioni europee premiando chi è contro la guerra, premiando chi non vuole tradire gli interessi nazionali e favorire la crisi economica-energetica che si ripercuoterà su imprese e famiglie.

Se il cuore dell’Europa prenderà le distanze dalla strategia Usa in ambito Nato qualcosa può ancora cambiare. Belgio, Lussemburgo, Spagna, Portogallo, Grecia, Malta, Cipro, Slovenia, Bulgaria, Ungheria seguiranno. Una dialettica potrà aprirsi in seno alla Nato e all’Ue.

La Russia potrà essere indotta a più miti consigli se come indica la saggezza cinese si esce dall’ottica della guerra fredda e si ritorna ai principi dell’ Onu e dell’ Osce: rispetto della sovranità territoriale e integrità delle frontiere ma anche non interferenza negli affari interni di un Paese, indivisibilità della sicurezza e quindi non espansione di un’alleanza militare a spese della sicurezza di un altro Stato.

Il ritiro delle truppe russe potrebbe essere negoziato negli anni insieme alla graduale abolizione delle sanzioni. L’Ucraina federale e neutrale, con autonomia linguistica e regionale, libera di commerciare con l’Europa come con la Russia sarebbe l’auspicabile futuro. Questa l’unica possibile soluzione, questo il bene comune del popolo ucraino, dell’Europa e della Russia.

Un’utopia? Sì probabilmente come la democrazia lo è, oggi impoverita e sotto attacco, e in grado di trasformarsi ovunque in una oligarchia, nel potere delle multinazionali finanziarie e delle marionette politiche. Spetta alle forze dell’opposizione perseguire unite un’alternativa alla divisione dell’Europa e alla sua perenne instabilità. Spetta ai cittadini rifiutare la crisi economica e l’impoverimento.

Spetta a noi tutti allontanare il rischio di un conflitto nucleare e la divisione del mondo in blocchi militari l’un contro l’altro armati. L’unico fucile contro la guerra sono le nostre idee, la ragione. Come qualcuno, tradito dai suoi epigoni, affermava “spes contra spem”, ripetendo il motto che fu di Giorgio la Pira, mutuato da Paolo di Tarso nella lettera ai romani. Bisogna avere speranza anche quando le circostanze reali la scoraggiano. Appelliamoci all’ottimismo della volontà.

da qui


continua qui

Nessun commento:

Posta un commento