La smisurata ipocrisia degli oppositori democratici di
Netanyahu e Gvir, che convivono benissimo con l’apartheid contro i
palestinesi “Haaretz”
Riprendiamo dal sito di Assopace Palestina questo
efficace, graffiante ritratto (comparso su Haaretz) degli oppositori democratici
dell’ultra-sionista Ben Gvir e del suo capo di governo Netanyahu, accusati a
buon diritto di difendere integralmente quel regime [militarista, razzista,
coloniale] di apartheid, di “supremazia ebraica” sui palestinesi, di cui i due
suddetti sanguinari personaggi sono soltanto l’estremizzazione.
Chi segue questo blog che interviene sistematicamente
sulla “questione palestinese”, conosce la nostra risposta alla
constatazione-domanda finale posta da Hagai El-Ad: “Il fatto è che, anche dopo
100 anni di sionismo, metà delle persone tra il fiume Giordano e il Mar
Mediterraneo sono palestinesi. Se siamo veramente intenzionati a vivere,
dobbiamo trovare una risposta alla domanda logica: che tipo di vita
costruiremo qui tutti insieme?“ (Red.).
* * * *
La grande maggioranza di coloro che sono così
sprezzanti nei confronti di Ben-Gvir convive benissimo con l’apartheid
israeliano, solo che non lo grida dai tetti.
Nei mesi trascorsi da quando il deputato Itamar
Ben-Gvir (Otzma Yehudit/Sionismo Religioso) è stato nominato ministro
della sicurezza nazionale israeliana, non c’è stata quasi settimana in cui un
maggiore generale dell’esercito o della polizia in pensione non abbia espresso
il proprio disprezzo nei confronti del “ministro della distruzione”, di una
nullità che non capisce nulla e ha ancora meno esperienza, della “persona di rilievo”
dello Shin Bet che è diventata il “ministro delle piadine” [si allude al
divieto imposto ai prigionieri palestinesi di cuocersi le piadine, NdT] e così
via.
La rabbia è così pervasiva che viene da soffermarsi un
momento e chiedersi: cosa sta cercando di coprire tutto questo?
Perché, dopo tutto, è appropriato, e persino logico,
disprezzare Ben-Gvir per le politiche violente, cariche di odio e razzismo che promuove. Ma qual è il significato di questo profondo disprezzo?
Anni fa (ai bei tempi, quando era solo una “persona di rilievo”), il servizio
di sicurezza Shin Bet lo valutava come una “persona acuta, brillante e astuta”.
Verso la fine del 2022, dopo le elezioni per l’attuale 25esima Knesset,
Ben-Gvir è riuscito a far leva sulla forza politica della sua piccola fazione
alla Knesset (i sei parlamentari di Otzma Yehudit) e ha ottenuto il
portafoglio ministeriale che chiedeva.
Da allora il ministro delle piadine ha rimpastato il commissariato di polizia e i suoi vertici come se
fossero palline di pasta a temperatura ambiente.
Per non parlare della traiettoria che questa nullità
ha seguito, da persona con cui il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha
rifiutato di farsi fotografare, a persona che non molto tempo fa è stata
complice delle manovre di Netanyahu per annullare lo standard di ragionevolezza
dell’Alta Corte. Tutto ciò sembrerebbe indicare l’esistenza di una certa misura
di saggezza pratica e di acume politico. Forse è il caso di non essere così
istintivamente sprezzanti nei confronti di qualcuno che ha ottenuto tutto
questo?
Invece di occuparsi seriamente di questa figura
politica e dell’agenda che persegue, molti preferiscono storcere la bocca e
compiacersi del fatto che il gabinetto di sicurezza non venga convocato (per il
timore che Ben-Gvir ne faccia trapelare le informazioni) e che le decisioni
importanti vengano prese sopra la sua testa (perché è una superflua nullità).
Una nullità talmente superflua che sta guidando un movimento profondamente
radicato per dare forma a un discorso pubblico che normalizza la supremazia ebraica e la grida dai tetti – e sono proprio quei tetti l’essenza della
questione.
Infatti, la grande maggioranza di coloro che sono così
sprezzanti nei confronti di Ben-Gvir convive benissimo con un Israele di
supremazia ebraica – solo che non lo gridano dai tetti, Dio ce ne scampi.
Questo è il metodo che sta alla base del regime israeliano: garantire
“l’assoluta uguaglianza dei diritti”, come da Dichiarazione d’Indipendenza (per
poi imporre un regime militare ai cittadini palestinesi e saccheggiare le loro
terre); consentire ai sudditi palestinesi nei Territori di presentare una
petizione all’Alta Corte di Giustizia (che a sua volta convalida la tortura, la
demolizione di case, l’incarcerazione senza processo e il furto di terre);
avviare un’indagine quando i soldati uccidono i palestinesi (e poi chiudere il
caso senza incriminazioni); essere una “nazione startup” (e utilizzare la
tecnologia avanzata sviluppata nel paese per potenziare il dominio sui palestinesi); parlare quando necessario del “processo di pace” (e continuare a
costruire insediamenti).
In breve: la supremazia ebraica? Una benedizione.
Ma Otzma Yehudit (Potere Ebraico) nel governo? Un orrore.
Tutto bene – uccidere, espropriare, opprimere – ma non gridarlo dai tetti, in
modo da mantenere la legittimità internazionale, per non diventare come il
Sudafrica durante il regime di apartheid – ma continuare una giudiziosa
attuazione dell’apartheid. Sebbene questa tecnica richieda più tempo, pazienza
e una certa abilità, se si guarda al bilancio di 100 anni di sionismo, è
impossibile contestare il fatto che, almeno finora, ha avuto successo. Il
trucco è: praticare l’apartheid ed essere considerati, agli occhi del mondo – e
anche ai nostri stessi occhi – una democrazia.
Affinché l’impresa funzioni, ogni istituzione statale
deve svolgere il proprio compito: Knesset ed esercito, ministeri e tribunali.
Questi ultimi – i tribunali, che sono stati al centro del discorso pubblico
degli ultimi mesi, attaccati da destra e difesi da sinistra – hanno in realtà
svolto un ruolo centrale nella convalida del regime di supremazia ebraica.
E non solo per quanto riguarda la situazione nei Territori Occupati, ma per l’intero territorio che Israele governa: basti ricordare la Legge sui Comitati di Ammissione, che consente alle comunità costruite sul suolo pubblico di rifiutare le
richieste di residenza da parte di candidati “non idonei” (leggi “arabi”). (Nel
2014, l’Alta Corte si è rifiutata di intervenire sulla questione e proprio di
recente la Knesset ha esteso l’applicazione della legge, con il sostegno dei
membri dell’opposizione). Oppure ricordare la Legge Fondamentale su Israele
come Stato-Nazione del Popolo Ebraico (nel 2021, l’Alta Corte ha respinto le
petizioni contro la legge: 10 giudici ebrei contro l’unico dissenso del giudice
arabo, George Karra). Chi non fosse ancora convinto, dovrebbe ascoltare quanto
dichiarato pochi mesi fa dalla ex presidente della Corte Suprema, Dorit
Beinisch, in merito al ruolo della Corte: “La Corte Suprema non ha mai deciso
che gli insediamenti non sono legali, cosa che è fondamentale nel diritto
internazionale. No, noi facciamo parte dell’establishment. Quando Israele
combatte nell’arena internazionale, noi non causiamo danni, al contrario:
passiamo alla difesa”.
La Corte Suprema è lontana dal ministro delle piadine
quanto l’est dall’ovest. Questo è ovvio. Ma chi dei due ha contribuito
maggiormente all’avanzamento del progetto di insediamento e al suo successo?
Dal punto di vista dei fatti, la risposta a questa domanda è banale: è la Corte
Suprema, fin troppo facile. Ma dal punto di vista emotivo, questa risposta è
insopportabile per la maggior parte dei sostenitori della “democrazia”.
È lo stesso quando si tratta di un elemento critico
nella capacità di Israele di governare i palestinesi: la necessità di sbiancare
tante uccisioni di palestinesi, ma al tempo stesso di preservare una facciata
di legittimità per le violenze di Stato. Israele ci riesce da anni con grande
abilità. Dopo le ultime elezioni, Ben-Gvir ha cercato di promuovere una “legge
sull’immunità” per il personale delle forze di sicurezza, ma alla fine è stato
convinto (per il momento) ad abbandonare l’idea. Presumibilmente perché ha
capito che, in pratica, l’immunità che Israele concede ai membri delle sue
forze di sicurezza è quasi assoluta e che è preferibile continuare ad arrivare
fino a un certo punto, anche se questo a volte comporta lo svolgimento di
quelle che a prima vista sembrano “indagini”.
Chi ha contribuito maggiormente alla creazione di
questo stato di cose, in cui il futile teatro delle indagini serve a Israele
con successo nell’arena internazionale e gli permette di continuare a uccidere
i palestinesi senza alcuna responsabilità? L’avvocato generale militare, il
procuratore generale, l’Alta Corte di Giustizia (ovvero l’élite giudiziaria) o
Ben-Gvir? Ancora una volta, la risposta è banale: l’impresa dell’immunità è il
frutto del lavoro di quegli stessi giuristi imparziali; Ben-Gvir non ne fa
parte. Si potrebbero citare molti altri esempi, non ultimo il ricco campo delle
modalità “legali” con cui la terra palestinese è stata depredata ai proprietari
originari ed è passata nelle mani dello Stato, dal 1948 a oggi. Ma ormai il
principio è chiaro.
Arriviamo così al 2023, e a ciò che si grida dai
tetti. Molti ebrei in Israele hanno deciso che non vogliono più giocare a
questo gioco, per quanto riuscito e intelligente possa essere. Vogliono di più,
e più velocemente. Possono essere inquadrati come estremisti o messianici, ma
questo non spiega nulla. Come è successo? Sul piano emotivo, è impossibile non
scorgere la necessità di colmare il divario tra l’ideologia chiara che tutti
capiscono e la sua attuazione troppo complessa. Perché se c’è la “supremazia
ebraica”, perché non il “Piano di Vittoria” (di Bezalel Smotrich), “Che le
Forze di Difesa Israeliane vincano” e tutto il resto? A livello pratico,
secondo la loro valutazione, è possibile e auspicabile far avanzare il progetto
di supremazia ebraica tra il fiume e il mare con più forza, con meno parole,
con una dose maggiore di crudezza, dominio e violenza. Sì, in modo plateale,
dai tetti.
La verità è che non c’è motivo di stupirsi se, a poco
a poco, un numero sempre maggiore di ebrei ha deciso di seguire la strada
spianata da tutte quelle persone sedicenti ragionevoli e di arrivare alle
conclusioni che ora sconvolgono le persone davvero ragionevoli.
Ecco cosa sta succedendo ora: volenti o nolenti, lo
sguardo si sposta sui tetti. Vediamo che qualcuno sta lassù e grida la
supremazia ebraica in ogni direzione. In pratica, quella figura non è Ben-Gvir.
Quella figura è il primo ministro (che ha telefonato al padre del sergente Elor
Azaria che sparò a Hebron nel 2016), la presidente della Corte Suprema (che
proclama che la Legge Fondamentale dello Stato-Nazione non viola
l’uguaglianza), il comandante dell’aeronautica (più di 500 minori palestinesi
uccisi a Gaza nell’estate del 2014) e il capo dello Shin Bet (che invoca la
“difesa della necessità” per la tortura con la quale, meraviglia delle
meraviglie, ogni palestinese finisce per confessare). Gli architetti della
supremazia ebraica e i suoi attuatori sono quelli che non solo sono d’accordo
con Ben-Gvir sul principio della supremazia ebraica, ma sono anche quelli che
ci hanno portato a questo passo e si stupiscono e si infuriano quando Ben-Gvir
e i suoi simili vogliono andare oltre.
Questi sono i fatti. Ma emotivamente sono
insopportabili. Cosa fare? Trasformare Ben-Gvir in una sorta di clown
marginale, sminuirlo per non affrontare la figura che grida dal tetto, che è la
figura di spicco. Bandire l’evidenza: Ben-Gvir è tutto ciò che non siamo. E poi
possiamo gridare “De-mo-cra-zia” fino a perdere la voce.
Ma qui la democrazia non c’è mai stata. Anche se
potessimo tornare al novembre 2022, senza Ben-Gvir e con lo standard di
ragionevolezza per la Corte Suprema, saremmo ancora uno Stato di apartheid. È
questo che si desidera ora? Le prossime elezioni forse rafforzeranno Ben-Gvir o
forse, al contrario, lo metteranno da parte, ma la strada che è stata spianata
dagli architetti della supremazia ebraica – la strada che è stata spianata dal
sionismo così come è stato attuato in pratica – rimarrà aperta. Se non
Ben-Gvir, altri la percorreranno.
E qui sta la vera difficoltà. Sebbene l’apartheid con
il rossetto burocratico come trucco sia un abile stratagemma, a un certo punto
smetterà di persuadere. Dopo tutto, c’è la realtà, ci sono i fatti, c’è la vita
stessa. Il fatto è che, anche dopo 100 anni di sionismo, metà delle persone tra
il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo sono palestinesi. Se siamo veramente
intenzionati a vivere, dobbiamo trovare una risposta alla domanda logica: che tipo
di vita costruiremo qui tutti insieme?
Haaretz, 2 settembre 2023.
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