Il 15 settembre la presidente del Consiglio ha pubblicato sui social un intervento intriso di falsità e luoghi comuni sulla “emergenza immigrazione”. L’obiettivo è rovesciare la realtà, cancellare i richiedenti asilo e trasformare il divieto di respingimento nell’illegale diritto di farlo. Un modello di società pericoloso
Il primo
aspetto che colpisce nel terribile discorso della presidente del Consiglio
Giorgia Meloni diffuso via social la sera di venerdì 15
settembre è la sua stessa impostazione: il video va all’ora di cena dello spettatore che vede un
salone elegante nel quale domina il giallo, il colore dell’oro. Telecamera a
inquadratura stretta e centrale, vestito bianco, sfondo sfuocato nel quale si
intravede un’antica consolle con sopra un raffinato orologio a tavolo. Il set
tipico per un messaggio alla nazione, e forse, pensa il soggetto che parla, al
mondo intero, nel quale annunciare l’avvio di una riforma che cambierà la
società.
L’alto
messaggio non viene però trasmesso, come sono, o meglio ormai erano, quelli
ufficiali, dalla televisione, né si tratta di una conferenza stampa, strumento
sempre più desueto perché c’è il rischio di ricevere fastidiose domande. Il
discorso è trasmesso via social, usando quella comunicazione
informale che di informale non ha nulla essendo costruita invece fin nel minimo
dettaglio per arrivare direttamente, senza filtri e contraddittori, sui
telefoni del maggior numero possibile di cittadini.
Il contenuto
del video messaggio ha tutte le caratteristiche di un rozzo manifesto
ideologico, basato su un coacervo di falsità e luoghi comuni ben evidenziati da
un attento articolo pubblicato su Il Post.
Il primo
pilastro del manifesto è illustrato con molta precisione: “Mentre prima tutto
il dibattito in Europa si concentrava su come accogliere chi arrivava
illegalmente, e sulle regole della loro distribuzione nei 27 Paesi europei, noi
abbiamo chiesto un totale cambio di paradigma: fermare a monte i trafficanti di
esseri umani e l’immigrazione illegale di massa, concentrarsi sulla difesa dei
confini esterni e non sulla distribuzione dei migranti: questo cambio di
paradigma è oggi scritto nero su bianco nelle conclusioni del Consiglio
europeo”.
È chiaro il
riferimento alla fallimentare riforma del Regolamento Dublino III. La riforma
di quel regolamento, tuttavia, riguarda la distribuzione di richiedenti
asilo/protezione internazionale, e non certo quella di migranti “irregolari”
per i quali non è prevista, né mai è stata discussa alcuna distribuzione.
Il
rovesciamento di paradigma della Meloni consiste dunque prima di tutto nel far
sparire d’incanto, grazie a un gioco linguistico, la stessa esistenza dei
richiedenti asilo. Sparisce, in connessione, anche il divieto di non
respingimento sancito dalla Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati
del 1951, dall’articolo 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione e
dalla Carta costituzionale, sul cui rispetto la presidente del Consiglio ha
tuttavia giurato. Emerge dunque, senza più veli, la natura radicalmente
eversiva del paradigma che si vorrebbe imporre, ovvero la cancellazione del diritto
d’asilo quale diritto fondamentale dell’individuo nelle modalità con cui esso
si è affermato in Europa dalla fine della Seconda guerra mondiale fino ad oggi.
Sull’auspicata
trasformazione del divieto di respingimento in un nuovo vagheggiato diritto di respingimento
si fonda l’urlo di guerra con il quale si invoca “una missione europea, anche
navale se necessario, in accordo con le autorità del Nord Africa per fermare la
partenza dei barconi”. L’Europa, per come essa è nata e oggi esiste nel suo
assetto istituzionale, per le ragioni storico giuridiche sopra indicate, non
potrebbe mai attuare e neppure ipotizzare una tale missione, né verso la
Tunisia, né verso qualsivoglia Paese terzo.
Giorgia
Meloni contesta con veemenza il “quotidiano tentativo di alcune forze politiche
e influenti realtà di sostenere che la Tunisia sarebbe un regime oppressivo con
il quale non si possono fare accordi, di dichiarare persino che la Tunisia non
sarebbe un porto sicuro”. Si tratta di parole che seguono di pochi giorni il rifiuto
da parte del governo tunisino di impedire una missione ufficiale della
Commissione Affari esteri del Parlamento europeo, scelta attuata quale
ritorsione per le critiche del Parlamento verso lo stato di rispetto dei
diritti umani in Tunisia. Resta integro il diritto di Meloni di esprimere
qualsivoglia opinione politica ma non si vede come sia possibile, senza scadere
nel ridicolo, negare che la Tunisia sia oggi un regime autoritario nel quale il
potere è accentrato nelle mani di un solo autocrate, il potere del Parlamento è
stato drasticamente ridotto e la magistratura non è più indipendente essendo
stata posta sotto il controllo del presidente. Secondo Amnesty
International “dal febbraio 2023 le autorità hanno preso di
mira oppositori politici, voci critiche e persone percepite come nemiche del
presidente Saïed attraverso indagini fasulle e arresti”.
Il diritto
d’asilo è un diritto individuale da riconoscere a colui nei cui confronti
sussistono i requisiti previsti dalla normativa internazionale e interna; ciò
significa che non tutti i cittadini tunisini che arrivano in Italia ne hanno
diritto per il solo fatto di provenire dalla Tunisia, ma certamente la
situazione del rispetto dei diritti fondamentali in quel Paese appare molto
critica e in progressivo deterioramento. L’Italia e la Commissione europea, che
rimane avvolta in un imbarazzante silenzio alla notizia che a un’altra
istituzione dell’Unione venga negato l’accesso al territorio tunisino,
dovrebbero impegnarsi per favorire il ritorno dello stato di diritto in Tunisia
e non negare una realtà che non può essere negata.
Sempre
Amnesty International evidenzia inoltre che da febbraio 2023 “una serie di
dichiarazioni xenofobe e razziste del presidente Saïed hanno provocato,
nelle due settimane successive, un’ondata di violenza contro i neri, con
conseguenti aggressioni, sgomberi sommari e arresti arbitrari di persone
provenienti dall’Africa subsahariana. La polizia ha arrestato almeno 840
persone migranti, richiedenti asilo e rifugiate. Le successive operazioni di
deportazioni di massa di cittadini di Paesi terzi attuate dalla Tunisia sono
state condotte con estrema brutalità tanto che il portavoce del Segretario
generale delle nazioni Unite, Farhan Haq, il primo
agosto di quest’anno ha evidenziato come “diversi (migranti espulsi) sono morti
al confine con la Libia e, secondo quanto riferito, centinaia di persone, tra
cui donne incinte e bambini, sono rimaste bloccate in condizioni estremamente
difficili, con scarso accesso a cibo e acqua”
Nonostante
la Tunisia sia un Paese in cui arrivano molti rifugiati in cerca di protezione
il Paese non ha neppure ancora una legge sul diritto d’asilo che dia attuazione
alla Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati che pure la Tunisia ha
ratificato, senza però prevedere alcuna procedura di riconoscimento della
protezione (ancora affidata all’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i
rifugiati, Unhcr) né un sistema di accoglienza ed integrazione dei rifugiati.
La
presidente Meloni annuncia poi allo spettatore social che
ritiene necessario “verificare in Africa chi ha diritto o meno all’asilo,
accogliere in Europa solo chi ne ha effettivamente diritto secondo le
convenzioni internazionali”. Una frase suggestiva che nasconde il fatto che le
convenzioni internazionali evocate dicono l’esatto contrario: il diritto
d’asilo è innanzitutto il diritto di “cercare e di godere in altri Paesi asilo
dalle persecuzioni” (Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, articolo
14) ovvero il diritto di poter accedere al territorio di uno Stato per
chiedervi asilo, come ben comprende chiunque sia anche privo di conoscenze
giuridiche e infatti il diritto europeo in materia di accesso al diritto di
asilo trova applicazione “a tutte le domande di protezione internazionale
presentate nel territorio, compreso alla frontiera, nelle acque territoriali o
nelle zone di transito degli Stati membri” (Direttiva 2013/33/UE art. 3).
A chi scrive
è evidente l’importanza di realizzare interventi che permettano di avvicinare
la protezione alle persone che ne hanno bisogno realizzando programmi di
ingresso protetti da attuarsi direttamente in Paesi terzi, evitando ai
rifugiati infinite sofferenze e sottraendo ai trafficanti quote di merce umana.
Tali programmi, ove esistenti, non possono però mai sostituire o comprimere la
natura di fondo del diritto di asilo che rimane quello di cercare protezione.
Infine, va sottolineato come tali programmi in Italia non esistano in quanto
gli unici ingressi protetti, sotto forma di corridoi umanitari, rimangono
quelli realizzati da enti privati con propri fondi e il governo italiano, pur
così normativamente prolifico, non prevede affatto di adeguare la normativa per
rendere realmente accessibile tale forma di accesso alla protezione.
La
presidente del Consiglio ha annunciato che nel Cdm del 18 settembre verranno
attuate con decreto legge (il terzo in sei mesi) “misure straordinarie per far
fronte agli sbarchi”. Chiunque pensa subito a come potenziare realmente il
sistema di accoglienza, come attuare una adeguata ridistribuzione sul
territorio nazionale, come potenziare le commissioni territoriali per
accelerare l’esame delle domande e ridurre i tempi di attesa, come altresì
potenziare gli uffici delle questure per evitare che le pur semplici procedure
di verbalizzazione delle domande e ogni altro atto connesso impieghi, come
avviene oggi, necessitino di molti mesi per
essere attuate.
Nulla di
tutto ciò. L’annuncio riguarda “la modifica del termine di trattenimento nei
centri per i rimpatri di chi entra illegalmente in Italia, limite che verrà
alzato al massimo consentito dalle attuali norme europee, ovvero 18 mesi”. La
visione di fondo che sottostà a tale modifica è sempre la stessa: il
disinteresse per la gestione dell’accoglienza rimane totale; essa può
tranquillamente naufragare in un caos utile ad alimentare la macchina della
paura. Quanto al potenziamento dei programmi di inclusione sociale non ci si
pensa nemmeno. All’opposto la legge 50/23 ha appena stralciato dai centri di
accoglienza la presenza di servizi quali l’assistenza psicologica,
l’orientamento legale e sono cassati persino i corsi di italiano (perché mai i
migranti dovrebbero impararlo?).
L’unica ossessione
rimangono i rimpatri, o forse neanche questi, bensì la limitazione della
libertà personale che va estesa al massimo livello possibile (peccato, sembra
dire la Meloni, che esista il limite dei 18 mesi). La logica della feroce
riforma è di nuovo resa esplicita nelle parole della presidente del Consiglio
laddove afferma che il messaggio che intende dare agli stranieri è: “Se entrate
illegalmente in Italia sarete trattenuti e rimpatriati”. La prospettiva di una
lunga detenzione dovrebbe dunque, in tale ottica, avere un effetto di per sé
dissuasivo.
Tanta
ferocia non ha però come contropartita neppure l’efficacia in quanto
l’innalzamento dei limiti massimi di trattenimento, da sei a 18 mesi era già
stato adottato nel 2011 ma era stato abbandonato nel 2014 in ragione del
catastrofico fallimento di quella riforma che aveva prodotto il paradossale
risultato di diminuire il numero dei rimpatri effettivamente realizzati.
Trattenere la persona da espellere per lunghi periodi è del tutto irragionevole
e controproducente in quanto gli ostacoli che impediscono l’esecuzione
dell’allontanamento, in primis la mancata identificazione, non vengono superati
da un allungamento enorme dei tempi di trattenimento come ha già ben
evidenziato il Rapporto del
2014 della Commissione straordinaria istituita dal Senato della Repubblica.
Trattenere
senza una ragionevole prospettiva di attuare la misura dell’allontanamento non
è solo irrazionale e fonte di sperpero di denaro pubblico, bensì è prima di
tutto illegittimo in quanto stravolge totalmente in profondità la stessa natura
giuridica della detenzione amministrativa (già in se assai problematica in
quanto forma di un diritto
speciale) che deve essere esclusivamente quella di attuare
l’allontanamento dello straniero il prima possibile e non di comminare, in modo
mascherato, una sanzione penale.
La vecchia
Direttiva 2008/115/CE che tuttora regola la materia prevede che “il
trattenimento ha durata quanto più breve possibile ed è mantenuto solo per il
tempo necessario all’espletamento diligente delle modalità di rimpatrio” (art.
15, par.1) e che il trattenimento non deve durare di norma più di sei mesi. La
possibilità di estendere la misura di ulteriori dodici mesi può avvenire solo
nei “casi in cui, nonostante sia stato compiuto ogni ragionevole sforzo,
l’operazione di allontanamento rischia di durare più a lungo a causa: a) della
mancata cooperazione da parte del cittadino di un Paese terzo interessato, o b)
dei ritardi nell’ottenimento della necessaria documentazione dai Paesi terzi”
(articolo 15 par.6). L’applicazione pratica della norma deve essere
rigorosa trattandosi di limitazione della libertà personale e “quando risulta
che non esiste più alcuna prospettiva ragionevole di allontanamento per motivi
di ordine giuridico o per altri motivi […] il trattenimento non è più
giustificato e la persona interessata è immediatamente rilasciata”.
Il cupo
manifesto ideologico di Giorgia Meloni insegue un modello pericoloso di società
chiusa che è la negazione di un’Europa che possa diventare “modello di
democrazia, libertà e prosperità che si diffonde, che attrae, che fa sognare e
non solo i nostri stessi concittadini europei, ma anche al di là delle nostre
frontiere” evocata da David Sassoli nel dicembre 2021, poco prima della sua
prematura scomparsa.
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