(da Mondoweiss)
L’evacuazione forzosa di oltre 40.000
persone nella Cisgiordania settentrionale sta riproponendo scene viste a Gaza e
alimenta il timore di una pulizia etnica. “La cosa più importante è restare a
casa nostra”, dice a Mondoweiss una residente del campo profughi di
al-Far’a
Israele ha esteso la sua offensiva nella
Cisgiordania settentrionale dal campo profughi di Jenin ai campi profughi di
Nur Shams a Tulkarem e di al-Far’a a Tubas. Denominato “Operazione Muro di
Ferro”, secondo una dichiarazione dell’UNRWA di lunedì, l’attacco
israeliano è in corso da tre settimane, ha ucciso almeno 25 palestinesi
ferendone oltre 100 e costringendo 40.000 persone a lasciare le loro case. “Lo
sfollamento forzato delle comunità palestinesi nella Cisgiordania
settentrionale sta aumentando a un ritmo allarmante”, ha affermato l’UNRWA.
“L’uso di attacchi aerei, bulldozer blindati, esplosioni controllate e armi
avanzate da parte delle forze israeliane è diventato una cosa normale, una
ricaduta della guerra a Gaza”.
La settimana scorsa le forze israeliane
hanno fatto esplodere 20 edifici residenziali nel campo profughi di Jenin, una
delle più grandi demolizioni in Cisgiordania degli ultimi anni. I residenti
locali e le fonti dei media hanno paragonato l’effetto della distruzione alla
strategia della “cintura di fuoco” impiegata a Gaza da Israele,
che prevede il bombardamento concentrato e ripetuto di piccole aree che
distrugge interi isolati residenziali. L’offensiva di Israele in Cisgiordania
è in corso da metà gennaio, di fatto l’invasione militare più lunga e di più
ampia portata dalla Seconda Intifada. Il ministro della Difesa
israeliano, Israel Katz, ha affermato che l’offensiva si estenderà al
resto della Cisgiordania con le invocazioni dei politici israeliani
di estrema destra di trasferire la guerra da Gaza alla Cisgiordania prima di
annetterla ufficialmente. Si prevede che il presidente degli Stati Uniti Donald
Trump farà presto un annuncio sulla possibilità che gli Stati Uniti sostengano
una simile mossa.
“È stato umiliante e doloroso”
Come conseguenza i palestinesi della
Cisgiordania hanno visto le loro vite paralizzate e sconvolte dalla repressione
israeliana. Le chiusure e i blocchi stradali israeliani sono diventati una
pratica quotidiana, rendendo gli spostamenti tra città e paesi carichi di
incertezze per centinaia di migliaia di palestinesi. Questi fatti hanno
trasformato la Cisgiordania in una zona di guerra, soprattutto nei campi
profughi. “Prima di essere costretti a lasciare la nostra casa con mio marito e
i miei figli abbiamo trascorso due giorni senza acqua, poiché le forze di
occupazione hanno tagliato l’acqua all’intero campo”, ha detto a Mondoweiss Nehaya
al-Jundi, residente del campo profughi di Nur Shams e direttrice del locale
Centro di Riabilitazione per Disabili.
“I soldati dell’occupazione andavano di
casa in casa e costringevano la gente ad andarsene, mentre io e la mia famiglia
abbiamo aspettato due giorni che arrivasse il nostro turno”, ha continuato
al-Jundi. “La mia vicina, Sundos Shalabi, incinta all’ottavo mese, ha deciso
con suo marito di andarsene domenica per paura di dover partorire durante
l’assedio del campo”. La straziante tragedia di Sundos Shalabi ha fatto notizia
all’inizio di questa settimana. “Suo marito stava guidando sulla strada verso
la città di Bal’a, appena fuori dal campo profughi, quando i soldati
dell’occupazione hanno aperto il fuoco contro l’auto”, ha raccontato al-Jundi.
“Lui è stato ferito e ha perso il controllo, quindi l’auto si è ribaltata e
Sundos e il suo bambino non ancora nato sono rimasti entrambi uccisi. Suo
marito è ancora in terapia intensiva nell’ospedale di Tulkarem”.
“Lunedì i soldati hanno demolito il muro
esterno della mia casa, poi con gli altoparlanti hanno invitato tutti i
residenti del quartiere ad andarsene”, ha continuato al-Jundi. “Ho preso un po’
di cose necessarie e qualche cambio di vestiti, poi abbiamo chiuso a chiave le
porte di casa e ci siamo uniti agli altri residenti in strada, mentre i soldati
dell’occupazione separavano gli uomini dalle donne”. “Ci hanno perquisito e
interrogato, e ci hanno fatto andare dieci alla volta in una certa direzione”,
ha ricordato. “Camminavamo per le strade piene di buche e distrutte in mezzo a
pozze di acqua piovana. Alcuni inciampavano e cadevano, uomini e donne, bambini
e anziani. Alcuni piangevano. È stato molto umiliante e doloroso”.
“La cosa più importante è
restare nella nostra casa”
Dopo aver bloccato per dieci giorni gli
ingressi del campo profughi ad al-Far’a a Tubas l’esercito israeliano
ha intensificato le sue operazioni. Martedì i residenti hanno riferito che le
forze israeliane stavano iniziando a demolire negozi e case all’interno del
campo.
“Avevamo sperato che oggi
l’occupazione si sarebbe ritirata dal campo, ma siamo rimasti senza parole nel
vederli demolire e in alcuni casi far esplodere i negozi nelle strade interne,
senza sosta dalla mattina”, ha detto martedì a Mondoweiss Lara
Suboh, una residente di al-Far’a di circa venti anni.
“Per dieci giorni non abbiamo
avuto acqua, perché la prima cosa che hanno fatto le forze di occupazione è
stata di far saltare le tubature dell’acqua e noi dipendiamo dalle cisterne di
riserva idrica sui nostri tetti”, ha spiegato. “Alcune persone se ne sono
andate subito perché hanno familiari malati o disabili, ma altre persone sono
state costrette ad andarsene ieri. I soldati dell’occupazione hanno intimato
loro di andarsene entro dieci minuti”.
“Nella nostra strada non l’hanno ancora
fatto”, ha aggiunto. “Siamo in cinque in casa, con i miei due fratelli e
entrambi i miei genitori. Stiamo sopravvivendo con il cibo che avevamo comprato
prima che iniziasse l’assedio, sperando che l’offensiva finisse prima del
nostro cibo e della nostra acqua. La cosa più importante per me è che restiamo
nella nostra casa, anche se la distruggono e distruggono tutto il resto,
possiamo ricostruirla più tardi. Ma non voglio che la mia famiglia e io veniamo
sfollati”. In una dichiarazione di martedì il Comitato di Emergenza del campo
profughi di al-Far’a ha detto che le forze israeliane hanno già sfollato 3.000
persone su una popolazione del campo di 9.000. A Tulkarem il Comitato di
Emergenza del campo profughi di Nur Shams ha affermato che metà della
popolazione del campo è stata sfollata e che le forze israeliane hanno distrutto
completamente 200 case e “parzialmente” altre 120.
(traduzione dall’inglese di Luciana
Galliano)
Nessun commento:
Posta un commento