Nell’ultima puntata dell’interessante fiction della Rai La lunga notte. La caduta del duce c’è un dialogo significativo tra il gerarca Dino Grandi, autore della mozione che al Gran consiglio del fascismo del luglio 1943 portò alla sfiducia e caduta di Mussolini e al suo arresto, e il responsabile dell’Ovra, acronimo di Opera vigilanza repressione antifascismo, cioè la polizia politica fascista. Se il fascista Grandi si rende conto dell’imminente crollo del regime il responsabile dell’Ovra ribatte: «L’aria non cambierà mai. Noi siamo lo Stato e lo saremo sempre. Anche senza Mussolini».
In questo
passaggio c’è ben poca fiction e molta realtà. In effetti il capo
dell’Ovra Guido Leto, che diresse la feroce polizia politica durante la
dittatura fascista, è uno degli infiniti esempi della mancata epurazione della
presenza fascista nelle istituzioni perché, dopo un breve periodo di
detenzione, fu incaricato da Umberto Federico D’Amato di riorganizzare le
strutture dei Servizi segreti. Anche il curriculum di Umberto Federico d’Amato,
che da dirigente dell’Ufficio politico della Questura di Roma divenne poi
responsabile dell’Ufficio Affari Riservati, nido nero negli anni della
strategia della tensione, è un’altra cartina tornasole del fallimento del
mancato rinnovamento democratico delle forze di polizia: nell’anno 2000 la
Procura Generale di Bologna lo ha indicato tra i mandanti, insieme a Licio
Gelli il capo della Loggia Massonica eversiva P2, della strage della Stazione
di Bologna del 2 agosto 1980. Con l’errore dell’amnistia di Togliatti del 22
giugno 1946, atto con cui si rinunciò a perseguire e punire i crimini fascisti,
al punto che anche un violento squadrista come Piero Brandimarte, responsabile
della strage del 18-20 dicembre 1922 a Torino in cui 11 esponenti della
sinistra furono assassinati e molti altri massacrati di botte, venne incredibilmente
assolto (https://volerelaluna.it/allarmi-son-fascisti/2022/12/16/torino-1922-una-strage-fascista-e-la-regola-dellimpunita/) … anche perché la maggioranza
dei giudici, in particolare quelli della Corte di Cassazione, era rimasta
legata a doppio filo nero con l’ideologia fascista e il “pugno di ferro” lo
utilizzò nei confronti delle azioni dei partigiani. Con questo passato prossimo
della dittatura fascista non abbiamo mai fatto fino in fondo i conti, e questa
storica mancanza ha generato la nebbia che ha sempre facilitato e
coperto le trame nere che, in tempi più recenti, ha spesso messo in pericolo la
democrazia nel nostro Paese, a iniziare dai tentativi di colpo di Stato,
tra cui il più grave quello del dicembre 1970 guidato da Junio Valerio
Borghese, e dalle numerose stragi fasciste che hanno sempre visto la
partecipazione dei Servizi segreti, di volta in volta “assolti” con la formula
“trattasi di una minoranza di servizi deviati”. Certamente i servizi
segreti deviati esistono, ma costituiscono solo la minoranza fedele alla
Costituzione.
Da questo
preambolo, storicamente documentato, consegue che l’organizzazione
delle forze di polizia è ancora lontana da una visione pienamente democratica,
perché le leve di comando, con rare eccezioni, sono rimaste avvolte dal filo
nero di responsabili già compromessi con il fascismo e non epurati, i quali a
loro volta hanno selezionato i propri eredi per garantire la continuità della
visione conservatrice e reazionaria. Non si può diversamente spiegare il
radicamento all’interno delle forze di polizia e dell’esercito della P2 o
dell’organizzazione paramilitare Gladio. L’impunità sempre garantita dai
vertici degli apparati, anche in occasione della “macelleria messicana” del G8
a Genova nel 2001, la rinuncia a introdurre elementi di chiarezza e controllo
sui comportamenti, anche individuali, dei poliziotti con il numero di codice da
apporre sul casco, sono altri elementi che non aiutano ad avere fiducia in una
Polizia, più impegnata a reprimere le contestazioni sociali che non la
criminalità, e la cui “fotografia” nell’immaginario collettivo è sempre più
quella del manganello che colpisce la testa dei manifestanti.
In questo
quadro si inserisce la classe politica, a trazione neofascista, di
questo Governo autoritario
indirettamente aiutato nella “presa del potere” da chi, in questa fase
storica che richiede la massima unità anche sul terreno elettorale, continua a
scegliere l’astensionismo. E il Governo Meloni, con
il decreto sicurezza, sta percorrendo, a grandi passi, la strada
dell’involuzione antidemocratica con l’inasprimento delle pene
(dai sei mesi ai due anni) per chi manifesta con blocchi stradali o ferroviari,
forme di lotta che rientrano nella legittima tradizione delle lotte operaie e
sociali, che vengono quindi punite come illecito penale e non più
amministrativo (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2024/10/03/sorvegliare-e-punire-i-poveri-e-i-ribelli/). Inoltre, con la proposta
di una sorta di scudo penale, rafforza l’autoritarismo e le garanzie di
impunità alle forze dell’ordine, a cui viene delegato il contenimento e la
repressione del dissenso, sempre più criminalizzato anche dai media
filogovernativi, che invece è il sale della dialettica democratica quando il
Potere si rifiuta di ascoltare o accettare o mediare rispetto alle ragioni
dell’opposizione sociale. Ancor più grave, in un Paese in cui i Servizi segreti
sono sempre stati coinvolti nelle trame nere e nelle stragi neofasciste,
l’intento di potenziarne le attività sotto copertura, consentendo agli
agenti non solo di partecipare alle organizzazioni terroristiche-eversive ma
anche di dirigerle e guidarle, arruolando nuovi membri (https://volerelaluna.it/politica/2025/01/27/cancellate-larticolo-31-del-disegno-di-legge-sicurezza/), e obbligando le Università a
collaborare con i Servizi in deroga alle norme sulla riservatezza, il che
porterebbe a un controllo sulla libera espressione garantita dalla Costituzione (https://volerelaluna.it/in-primo-piano/2025/01/14/luniversita-il-governo-e-il-grande-fratello/).
Quanto
alle forze dell’opposizione, per lo più silenziose e timorose anche
sull’incredibile episodio del corteo di poliziotti carabinieri e
finanzieri che il 24 novembre 2024 hanno manifestato a Torino di fronte al
Comune contro ogni forma di dissenso sociale e chiedendo la chiusura del centro
sociale Askatasuna (https://volerelaluna.it/commenti/2024/03/13/il-colore-dei-manganelli/), risultano sensibilmente
slegate dalla realtà del Paese, e nei momenti di tensione cercano sempre di
cavarsela in calcio d’angolo con la formula “esprimiamo la nostra solidarietà
alle forze dell’ordine”. Frase di rito retorica e utilizzata a prescindere,
senza nemmeno approfondire o conoscere i motivi delle proteste per pigrizia o
mancanza di coraggio intellettuale e con molta cecità politica, perché questa
linea allontana i cittadini che rivendicano la piena e attiva partecipazione
sociale, mentre le forze dell’ordine storicamente sono e restano, se non si
introducono elementi di controllo rispetto all’uso della forza quando questa è
illegittima o sfocia nella violenza, un granitico bacino elettorale del
centrodestra.
Illuminante
su questi continui “calci d’angolo”, fini a se stessi e alla propria pallida
visibilità, è la dichiarazione riportata sul Corriere della Sera di
due senatrici renziane di Italia Viva, partito che tra governo e opposizione
sta un po’ di qua e un po’ di là ma mai dalla parte dei
lavoratori o dei cittadini, in occasione del recente e violento intervento per
l’esproprio del terreno di proprietà di valsusini No Tav alle porte
di Susa (un esproprio compiuto manu militari senza
aspettare quello amministrativo, e quindi senza rispettare le regole, talmente
urgente che oggi il terreno è solo una discarica di jersey di cemento, griglie
e filo spinato utilizzati per blindare lo sgombero). «Basta violenze in
val di Susa — hanno commentato le senatrici di Italia Viva Silvia
Fregolent e Raffaella Paita –. I lavori dell’Alta velocità
Torino-Lione devono andare avanti, la battaglia di gruppuscoli no Tav e centri
sociali è inutile e anacronistica. Le infrastrutture sono fondamentali per lo
sviluppo del paese e dell’Europa, e servono anche a tutelare quell’ambiente a
cui i no tav tutti dicono di tenere. Solidarietà alle forze dell’ordine,
costrette ad avere a che fare con questi facinorosi». Evidentemente,
come la maggioranza dei deputati che siedono in Parlamento, non sanno nemmeno
che la Francia ha rinviato a dopo il 2040 ogni decisione se costruire o meno
una linea ad alta velocità per collegare Torino a Lyon e che quindi il tunnel
sotto il Moncenisio è fine a se stesso, e servirà solo per una risibile e
demenziale linea ad alta velocità tra Susa e Saint Jean de Maurienne.
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