domenica 9 febbraio 2025

Contro il militarismo e per la pace

Resoconto dell'assemblea online di coordinamento della campagna

Contro l'invio di armi in Ucraina

Il Parlamento ha approvato l'invio di armi in Ucraina ma la campagna prosegue e rilancia il tema della lotta all'aumento delle spese militari. La campagna è una denuncia politica contro la partecipazione italiana alla guerra. E vuole dare voce alla maggioranza dei cittadini italiani.

 

Coordinamento della campagna contro l'invio di armi in Ucraina

L'assemblea online di coordinamento della campagna contro l'invio di armi in Ucraina si è svolta con la partecipazione di numerosi rappresentanti di associazioni e movimenti pacifisti. Durante l'incontro sono stati affrontati diversi punti cruciali per la prosecuzione della campagna, considerando la recente conversione in legge, da parte del Senato e della Camera, del decreto governativo per l'invio di armi in Ucraina.

Prosecuzione della campagna. Si è discusso su come mantenere attiva ed efficace la campagna nonostante l'approvazione del decreto. 

In alcuni territori, come a Bari, si sta continuando con i banchetti di raccolta di firme e di disponibilità di chi aderisce ad essere ricontattato per contribuire alla campagna contro l’invio di armi, contro la cobelligeranza italiana, non più come PETIZIONE RIVOLTA AI PARLAMENTARI perché non convertano in legge il decreto 200/2024 (il 28 gennaio la Camera ha approvato a larga maggioranza con l’opposizione dei deputati M5S e AVS) ma come APPELLO, rivolto, all’opinione pubblica, ai media, al parlamento, alle forze politiche e sindacali, alle associazioni – contro l’invio di armi. Il testo-documento della petizione, sulla cui base si è costituito questo coordinamento nazionale, rimane invariato, con le sole modifiche all’inizio e alla fine, che lo trasformano in appello (cfr. documento allegato).

È emersa la necessità di rilanciare l'opposizione non solo all'invio di armi, ma anche ai nuovi programmi di riarmo e all'aumento della spesa militare. La crescente pressione mediatica dei vertici NATO e di figure politiche internazionali, come Donald Trump, rende necessario un rafforzamento della protesta popolare, rendendola più visibile e incisiva.

Aggiornamento del materiale informativo. È stata proposta la realizzazione di un nuovo volantino nazionale per aggiornare la campagna, con l'obiettivo di informare e sensibilizzare l'opinione pubblica. La bozza del volantino verrà condivisa con i partecipanti per eventuali modifiche prima della sua approvazione definitiva.

Azioni politiche e istituzionali. Si è ribadita l'importanza di una nuova petizione che porti alla richiesta di audizioni parlamentari. In queste sedi, i portatori di interesse rappresentanti delle associazioni e dei movimenti pacifisti potranno esprimere le proprie posizioni in merito ai programmi che verranno discussi nelle commissioni difesa. Diversi interventi hanno sottolineato l'importanza dell'autonomia del movimento dai partiti, pur nella necessità del confronto.

Strategie comunicative e media. Un tema centrale dell'assemblea è stato quello della censura mediatica nei confronti delle iniziative pacifiste. È stato osservato come vi sia un forte sbarramento informativo che rende difficoltoso far emergere il dissenso contro la politica di riarmo. Per contrastare questa situazione, si è deciso di migliorare le competenze comunicative dei gruppi locali. PeaceLink si è resa disponibile a fornire supporto per la realizzazione di comunicati stampa e per la diffusione delle informazioni pacifiste nei circuiti delle agenzie stampa. Multipopolare e Ottolina TV sono disponibili a fare da cassa di risonanza delle iniziative in programma.

Coinvolgimento del mondo culturale e artistico. Si è proposto un maggiore coinvolgimento di intellettuali, artisti e figure del mondo dello spettacolo sensibili alle ragioni della pace. La loro partecipazione potrebbe contribuire a dare maggiore risonanza al messaggio pacifista, raggiungendo pubblici più ampi.

Creazione di gruppi locali. È stata sottolineata l'importanza di attivare fin da subito gruppi locali impegnati nelle attività sopra descritte. L'organizzazione territoriale può facilitare la diffusione delle iniziative e rafforzare la partecipazione della cittadinanza. E' stato chiesto che venga realizzato un elenco delle associazioni che aderiscono e animano questo movimento di promozione della campagna no armi Ucraina aggiornata verso nuovi obiettivi di contestazione del riarmo. È fondamentale dotarsi di una struttura di referenti a livello territoriale (regione, provincia, città).

Piattaforma di coordinamento e informazione. PeaceLink continuerà a svolgere un ruolo di piattaforma di coordinamento e informazione, anche mediante il settimanale Albert. Il calendario online delle iniziative di pace e il database dei contatti dei firmatari rappresentano strumenti fondamentali per l'organizzazione delle attività. I firmatari potranno essere avvisati, provincia per provincia, delle iniziative in programma, facilitando così la mobilitazione e la partecipazione alle azioni promosse.

L'assemblea si è conclusa con l'impegno a proseguire con determinazione la campagna no armi in Ucraina aggiornandola alla nuova situazione e rafforzando le strategie di comunicazione, intensificando la pressione politica e promuovendo un'ampia mobilitazione popolare contro l'invio di armi e i piani di riarmo.

Il prossimo incontro è previsto per mercoledì 19 febbraio.

da qui


Manifesto per la diserzione civile

La diserzione civile comincia con l’impegno a smentire la propaganda e a far circolare informazione veritiera. Contrastare i piani di riarmo vuol dire pretendere il finanziamento della spesa sociale per la sanità, la scuola, l’ambiente sottraendo fondi alla militarizzazione.

 

(Fonte: Disertiamo https://www.facebook.com/groups/726688158530288)

 

I governi Draghi e Meloni hanno coinvolto l’Italia in una guerra che la stragrande maggioranza degli italiani non vuole. Seguendo le direttive degli Stati Uniti e della Commissione europea, siamo diventati parte attiva nel conflitto USA-NATO che si combatte in Ucraina e che rischia di infiammare l’Europa nei prossimi anni. Il nostro Paese invia armi, il nostro esercito addestra soldati ucraini, il nostro ministero della Difesa allestisce esercitazioni militari che danneggiano il nostro ambiente, dalla base militare di Sigonella partono velivoli NATO di ricognizione diretti in Ucraina. 

Il governo e i vertici militari vogliono potenziare l’industria bellica e aumentare di almeno 10.000 unità gli effettivi delle forze armate aumentando le spese per la guerra a detrimento della spesa sociale e dei bisogni fondamentali dei cittadini.

Perché siamo in guerra

La riorganizzazione degli apparati militari e l’aumento degli organici vengono giustificati con la necessità di rafforzare il sistema di deterrenza contro potenziali minacce ai confini nazionali o ai “valori occidentali” di libertà di impresa, proprietà privata, primato dell’individuo e democrazia formale sui quali si fondano le nostre istituzioni e il modello di sviluppo illimitato che governa la nostra economia e le nostre relazioni politico-economiche con altri Paesi. Un sistema di deterrenza che dovrebbe garantire la sicurezza delle popolazioni occidentali da eventuali attacchi militari provenienti da Paesi non “democratici”, quali Russia e Cina, intenzionati ad espandere il loro modello politico al di fuori dei loro confini sovvertendo gli equilibri internazionali tra gli Stati. 

Questi equilibri sono frutto di guerre di conquista combattute da Stati e potenze nei secoli passati e di conflitti armati condotti principalmente dalle potenze occidentali dopo la Seconda Guerra Mondiale per l’appropriazione delle risorse naturali e il controllo degli approvvigionamenti energetici e della loro circolazione. Le guerre condotte dalla NATO dagli anni ’90 in Iraq, Jugoslavia, Afghanistan e Libia lo testimoniano.

La crisi della “globalizzazione”, cioè del tentativo di imposizione planetaria dell’egemonia del sistema economico-politico statunitense condivisa dal quello che è considerato il “mondo occidentale”, ha permesso l’emergere di istanze di crescita indipendente e l’affermarsi di nuove potenze d’area e globali sul teatro della competizione internazionale decise a realizzare un proprio spazio di influenza economica. 

La scelta conseguente della super-potenza americana è, in questa fase, quella di promuovere la divisione in blocchi contrapposti di “alleanze” in conflitto tra loro prefigurando per il futuro un confronto militare globale – con l’obiettivo primario di colpire la Cina - che, nell’immediato e nel prossimo divenire, si articola nell’innescare conflitti armati che depotenzino il fronte avverso e cooptare altre nazioni dentro il proprio schieramento. La guerra in Ucraina fa parte di questa strategia, pur non essendo estranea al proposito dell’apparato di potere russo di mantenere una sua sfera di influenza sui Paesi ad esso economicamente collegati. È una guerra che ha compromesso il relativo benessere nei Paesi europei ed è destinata ad allargarsi ai Balcani e all’Europa centrale. Il pericolo non è costituito da inesistenti minacce ai confini, ma dal coinvolgimento nelle prossime avventure belliche alle quali i nostri governi non hanno intenzione di sottrarsi.

L’Italia, aderente alla NATO, è immediatamente coinvolta in una guerra che non riguarda né la sua “sicurezza” e integrità come nazione né, tantomeno, il benessere dei suoi cittadini. Sicurezza è reddito, casa, salute, istruzione, tutela dell’ambiente, non la salvaguardia di un regime guerrafondaio. Sicurezza è la pace. 

Quanto costa la guerra?

Ogni italiano ha speso ingenti somme per finanziare la macchina bellica. 

Secondo il Documento Programmatico Pluriennale della Difesa per il 2023-2025, i fondi destinati alla Difesa per il 2023 ammontano a circa 27,75 miliardi di euro l’anno, vale a dire circa 482 euro pro capite.

Fonti NATO informano che ciascun italiano, nel 2022, ha speso 498 dollari di contribuzione al bilancio dell’Alleanza Atlantica. 

L’Italia è impegnata in più di 40 missioni nel 2024, è il primo contributore per le operazioni dell’Ue, il secondo contributore della Nato dopo gli Usa – quindi primo tra gli europei – e primo tra i contributori occidentali alle missioni delle Nazioni Unite.

L’aumento delle spese militari comporta considerevoli tagli ai servizi essenziali per i cittadini come sanità, istruzione, tutela dell’ambiente, assistenza sociale. Gli investimenti statali vengono, infatti, dirottati verso le grandi imprese del comparto militare-industriale e dei settori a tecnologia avanzata, trasferendo ricchezza pubblica ai privati.

Con l’economia di guerra, la prosperità e la pace sono un sogno che non possiamo permetterci.

Riprendiamoci la Pace

La diserzione civile non è solo un'idea, ma una pratica attiva. 

La diserzione civile comincia con l’impegno a smentire la propaganda e a far circolare informazione veritiera, ma deve articolarsi in una serie di azioni coordinate che possano far emergere, nel tempo, una partecipazione di massa.

Non delegare l’espressione del dissenso e la pratica della resistenza impone di sostenere, con tutti i mezzi, tutte quelle frazioni sociali che difendono il territorio dall’espansione delle basi militari, che ostacolano la movimentazione delle armi via nave e ferrovia, che difendono il suolo e l’ambiente dalla contaminazione, che non si subordinano alle politiche securitarie ma praticano il diritto alla libera mobilità e occupazione del suolo pubblico, che lottano contro le restrizioni salariali e i tagli alla spesa sanitaria, che si organizzano per impedire la chiusura delle frontiere ai migranti. Ricordando che la battaglia per i diritti sociali e contro la guerra sono interconnesse.

Non sottostare all’imposizione del silenzio significa prendersi la responsabilità anche individuale di manifestare il proprio pensiero pubblicamente senza lo schermo dei social e disattendendo le politiche securitarie che vogliono ingabbiare in spazi protetti poliziescamente ogni espressione di dissenso.

Produrre una cultura della pace vuol dire intercettare e bloccare la penetrazione della propaganda militarista e la presenza dell’esercito nelle scuole, screditare e contrastare la scuola-caserma che promuove la partecipazione dei giovani a esperienze militari quali la mini naja e l’alternanza scuola lavoro falsamente “professionalizzante” presso istituti militari e aziende del comparto militare-industriale. Vuol dire pretendere il finanziamento pubblico della ricerca di base nelle università in opposizione agli accordi accademia-industria della guerra.

Contrastare i piani di riarmo vuol dire pretendere il finanziamento della spesa sociale per la sanità, la scuola, l’ambiente sottraendo fondi alla militarizzazione. Vuol dire riprendere le battaglie collettive per la difesa del reddito e la diminuzione dell’orario lavorativo.

Opporsi alla guerra vuol dire aprire una vertenza diretta con lo Stato per imporre la de-secretazione dei trattati militari e per porre vincoli legislativi che impediscano l’insediamento di nuove basi militari USA e NATO e l’ampliamento di quelli esistenti. Vuol dire avviare una campagna per l’obiezione di coscienza preventiva come patto collettivo.

Il governo che prepara la guerra non è un interlocutore, è la nostra controparte.

Negare la delega allo Stato rifiutando la subordinazione all’economia di guerra e alle politiche belliciste è esercitare un diritto. E la diserzione civile è una forma di autotutela collettiva.

Note: Logo e testo a cura di Valeria Poletti (valeria.poletti014@gmail.com)

Allegati

·         Guida operativa alla diserzione civile

Valeria Poletti
Fonte: Redazione PeaceLink

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Obiettivi: rendere visibile la dimensione della contrarietà popolare alle politiche belliciste; rendere di senso comune l’aspirazione della base sociale alla pace e la legittimità dell’opposizione alla guerra.

da qui



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