martedì 11 febbraio 2025

Il partito del cemento e delle mani libere all’assalto delle soprintendenze e di Milano - Tomaso Montanari


«La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della nazione». Il secondo comma dell’articolo 9 della Costituzione ha schierato la Repubblica dalla parte (sempre minoritaria) di coloro che, lungo tutta la storia del nostro Paese, hanno lottato perché la forma dell’Italia, cioè il suo «ambiente passato attraverso l’uomo» (Cesare Brandi), fosse considerata un bene pubblico sovraordinato agli interessi privati, e alla stessa proprietà privata: opponendo all’idea di possesso quella di custodia, in nome di tutta l’umanità presente e futura. Come dimostrò il dibattito nella stessa Costituente, non era un esito per nulla scontato: perché anche lì era evidente il conflitto tra i fautori del possesso e quelli della custodia. Questa polarizzazione è capace di raccontare anche tutta la storia della Repubblica, tessuta di continui tradimenti di quel comma, e di una eroica resistenza da parte di una minoranza attiva e soprattutto delle soprintendenze, questa sorta di povera e sempre vilipesa “magistratura del paesaggio e del patrimonio”.

Nel novembre del 2016, nello studio dell’eterno accolito del potere di turno Bruno Vespa, Matteo Salvini diceva in chiaro che le soprintendenze andavano abolite, ottenendo un consenso in linea di principio dalla sua interlocutrice televisiva, Maria Elena Boschi. Non si era mai arrivati a tanto, nemmeno nei sogni più proibiti dei palazzinari, ma il potere di tutela aveva, e avrebbe, visto una progressiva erosione: andava in questa direzione lo “Sblocca Italia” di Matteo Renzi, così come prima la Legge Obiettivo di Berlusconi, poi la “riforma Franceschini” e oggi il cosiddetto “Salva Milano” voluto fortemente da Beppe Sala, votato in prima lettura da tutta la Destra e anche dal Pd e oggi in attesa di essere discusso dal Senato.

Nel frattempo, il deputato leghista Gianangelo Bof ha presentato un emendamento al disegno di legge Cultura che cambierebbe ben sette procedure previste dal Codice dei Beni culturali derubricando il parere obbligatorio e vincolante delle Soprintendenze a solo obbligatorio. Non la soppressione voluta da Salvini, ma un passo decisivo in quel senso. Ove fosse approvato, la tutela imposta dalla Costituzione verrebbe meno negli interventi da eseguirsi nell’ambito dei beni paesaggistici (articolo 143, comma 3) e nell’autorizzazione paesaggistica (articolo 146, comma 5); nel prescrivere distanze, misure e varianti per aperture di strade e cave, posa di condotte per impianti industriali e civili e palificazioni visibili da o vicine a cose immobili che hanno cospicui caratteri di bellezza naturale, singolarità geologica o memoria storica, ivi compresi gli alberi monumentali; le ville, i giardini e i parchi, non tutelati dalle disposizioni della Parte seconda del presente codice, che si distinguono per la loro non comune bellezza; posa in opera di cartelli pubblicitari in prossimità di immobili e aree di valore paesaggistico e aree tutelate come coste, laghi, fiumi, torrenti, parchi e riserve nazionali e regionali, foreste e boschi, zone umide e vulcani, zone di interesse archeologico (articolo 153, comma 1); tinteggiatura di fabbricati in aree tutelate o interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, di consolidamento statico e di restauro conservativo che non alterino lo stato dei luoghi e l’aspetto esteriore degli edifici in centri storici, bellezze panoramiche e zone archeologiche (articolo 154, comma 1); ordine di ripristino o sanzione nell’ambito della verifica della compatibilità paesaggistica (articolo 167, comma 5); autorizzazione paesaggistica per interventi senza o in difformità dall’autorizzazione paesaggistica senza aumento di superfici e volumi e interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria (articolo 181, comma 1-quater). Non è ancora la soppressione delle soprintendenze, ma quasi.

Il Pd si è opposto frontalmente all’emendamento, trovando questa volta le parole giuste: «Le Soprintendenze sono un presidio fondamentale per garantire la tutela e uno sviluppo rispettoso della storia e dell’identità dei territori». D’altra parte, il ministro Alessandro Giuli ha dato parere negativo (eterogenesi dei fini: la legge Bottai del 1939, cardine della tutela, è comunque un vanto della destra postfascista…), e l’emendamento è stato ritirato: ma la Lega ha annunciato la presentazione di un disegno di legge interamente dedicato alla distruzione della tutela.

Non è ozioso chiedersi: quale sorte avrebbe un simile provvedimento eversivo? La prova generale sarà la discussione al Senato del “Salva Milano”. Quattro urbanisti del Politecnico di Milano (Elena Granata, Arturo Lanzani, Antonio Longo e Alessandro Coppola) hanno spiegato con esemplare chiarezza quale sia l’origine di questa norma: «A Milano, da dieci anni era divenuta prassi che si realizzassero importanti trasformazioni di isolati e parti di città con la stessa procedura di certificazione con effetto immediato (SCIA) – sebbene nella forma rafforzata “alternativa al permesso di costruire” – con cui si autorizza normalmente una modifica interna di un appartamento o un inizio o conclusione di attività produttive. Questi interventi, il più delle volte di demolizione di un edificio preesistente e di ricostruzione di un nuovo e diverso edificio, erano considerati ristrutturazioni edilizie, con il vantaggio di ottenere una riduzione fino al 60% degli oneri di urbanizzazione altrimenti dovuti, e una sostanziale riduzione dei tempi delle procedure. […] Milano ha visto spuntare grattacieli all’interno degli isolati, a ridosso di edifici e giardini esistenti, al posto di piccoli capannoni industriali». Una manna per la speculazione edilizia, e un formidabile volano per uno sviluppo selvaggio della città: una prassi in cui la collettività perde, in un colpo solo, la possibilità di governare la crescita urbana secondo criteri di equità e sostenibilità, e gli introiti che permettano di compiere quelle opere di urbanizzazione (per esempio, il verde pubblico) che trasformano una somma di architetture private in una città. Di fronte alle inchieste della Procura, la reazione è stata improntata al paradigma berlusconiano: cambiamo la legge, e facciamo lecito l’illecito.

La convergenza su questa prospettiva sconcertante è bipartisan. Da una parte, la Destra ha fiutato immediatamente l’affinità culturale della proposta: «Serve una risposta urgente, al di là di ogni colore politico, per sbloccare questa paralisi. Come Noi Moderati -Centro Popolare – ha detto Mariastella Gelmini –, non abbiamo dubbi sul fatto che si debba fare presto. Noi ci siamo». Dall’altra, il presidente dell’Anci e sindaco di Napoli Gaetano Manfredi, Pd, ha proposto un “Salva Milano transitorio”, e subito dopo l’approvazione di una legge quadro di riforma dell’intero comparto dell’urbanistica. Ma quanto sarebbero convergenti questa legge quadro prospettata da un pezzo del Pd e il disegno di legge annunciato dalla Lega? La risposta sta nell’eterna trasversalità del partito delle mani libere e del cemento: un partito che può interamente contare su Lega, Forza Italia e Italia viva, ma anche su una parte consistente di Pd e di Fratelli d’Italia, e perfino su alcuni ammiccamenti passati (vedi Stadio della Roma) del Movimento 5 Stelle, la forza politica comunque più oppositiva rispetto a una prospettiva del genere.

In un intervento al comitato centrale del Partito Comunista, il 4 giugno 1974, il segretario Enrico Berlinguer sottolineava la necessità di mettere fine «al sistematico sacrificio degli interessi pubblici più sacrosanti (la salute, la difesa del paesaggio e del patrimonio artistico, l’ordinato sviluppo urbanistico, l’onesto rispetto della legge e dell’equità) agli interessi privati, di parte, di corrente, di gruppi e uomini nella lotta per il potere». Una necessità che si rinnova di generazione in generazione: mentre la voce dell’articolo 9 appare sempre più flebile, e il potere degli interessi privati sempre più incontenibile.

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