È molto difficile comprendere come funzioni l’empatia negli esseri umani. Le teorie psicoanalitiche spiegano che gran parte delle nostre posizioni, apparentemente razionali, trovano la loro radice nell’opaca profondità del nostro inconscio. Banalizzando eccessivamente, si potrebbe affermare che la destra, col suo bisogno di autorità, ordine gerarchico e repressione dei colpevoli, è come espressione del bisogno di reprimere da parte di un padre frustrato; mentre la sinistra, che “vorrebbe supportare” (virgolette necessarie) a priori i deboli nella società, attribuendo al sistema responsabilità forse sproporzionate, sarebbe come una manifestazione del senso di colpa maturato nei confronti della madre. Generalizzazioni che servono a poco. Eppure, non tanto la posizione della destra, tradizionalmente a favore del militarismo patriottico, ma quella dell’elettorato del PD sorprende e inquieta non poco sulla guerra in Ucraina. Le esternazioni di Elly Schlein, che difende ancora l’invio di armi in Ucraina per la pace giusta e afferma di non poter essere mai d’accordo col Presidente Trump, sono di un semplicismo aprioristico stupefacente. Se Trump si dichiara per la pace in Ucraina, bisogna boicottarlo a prescindere perché è Trump. Se Putin afferma che l’Unione Sovietica ha perso 26 milioni di cittadini russi per liberare l’Europa dal nazismo bisogna cancellare una verità storica perché difesa da Putin. Il ragionamento della leader del PD (e purtroppo di gran parte dell’elettorato piegato dalla propaganda ininterrotta di Mentana) è di una violenza estremista evidente, e dimostra come si sentano di appartenere al mondo del bene come i crociati, e come in nome del bene possano seminare distruzione e abbeverarsi del sangue degli Ucraini.
Contro posizioni del genere a
che valgono gli argomenti ragionati e documentati? Vediamone alcuni. Sono anni
che i cosiddetti ‘filoputiniani’ cercano di spiegare come questa guerra sia
stata decisa dai neoconservatori americani negli anni Novanta, risponda a una
strategia illustrata da Brzezinski nel 1997 nel libro La grande scacchiera, ripresa da uno studio
della Rand Corporation, Istituto di ricerca del Pentagono, nel 1919, e persegua
obiettivi esistenti ai tempi del Primo Ministro britannico Lord Palmerston e
della prima guerra di Crimea (1853/56). Questi obiettivi sono riassumibili
nell’assedio alla Russia per evitare lo sbocco al mare e la proiezione nel
Mediterraneo, che è stata provocata dalla NATO e in parte giustificata dalle
ragionevoli preoccupazioni di sicurezza russe: gli anglo-americani hanno
violato il principio di ingerenza negli affari interni di un altro Stato
realizzando il colpo di Stato di piazza Maidan, sostenendo contro il principio
europeo relativo alla protezione delle minoranze linguistiche e regionali, le
politiche neonaziste di repressione contro le popolazioni russofone. Questo
fatto, a Cuba, a parti inverse, si è tenuto nel 1963 in una crisi
internazionale nel corso della quale la postura di Kennedy, basata sulla
sicurezza territoriale e sul rifiuto dell’installazione dei missili sovietici a
Cuba, è molto simile a quella di Mosca contraria alle basi NATO in Ucraina.
La conquista dei territori
ucraini e di quelli dei Paesi NATO è poi smentita da fattori oggettivi (PIL
russo, materie prime, superficie, tasso demografico decrescente, esiguità delle
truppe impiegate all’inizio dell’operazione speciale, mediazione possibile nel
marzo del 2022 quando la Russia non aveva ancora conseguito le sue annessioni).
E infine la posizione
occidentale sul Kossovo smentisce la critica alla difesa russa
dell’indipendenza delle regioni russofone.
Si tratta di infiniti argomenti
documentati a cui Elly e il suo elettorato rispondono battendo il piedino per
terra come i bimbi che fanno i capricci: “mai con Putin l’aggressore, mai con
Trump, il rozzo e spregiudicato Presidente”. Questa sarebbe l’illuminata
politica estera dei progressisti europei.
Ancora più sbalorditiva è
l’empatia che l’intero establishment nutre per Zelensky. Non conoscono invece i
volti del milione di vittime ucraine, tra morti, feriti e mutilati di guerra,
dei ragazzi che non possono pagarsi l’esonero militare, presi con la forza
dalla strada, dalle università, dalle palestre e inviati al fronte in una
guerra suicida, carne da macello per gli interessi del nazionalismo delle
regioni dell’Ovest ucraino, ma soprattutto per assecondare gli scopi strategici
del blob neoconservatore di
Washington. Come si fa a provare solidarietà per un politico che ha coperto la
corruzione e che dopo questa guerra avrà un esilio dorato, e non sentire pietà
per questi ragazzini che cercano di fuggire e vengono riacciuffati, picchiati e
rinviati al fronte? L’animo umano è in fondo non troppo complicato. Basta
trasformare la complessità di una guerra, il suo dolore, i suoi lutti e
disperazione in una partita di calcio in cui si parteggia fanaticamente per un
fronte o per l’altro. E allora rimane solo il burattino ucraino contro il
nemico, Putin.
Molti analisti che si
considerano freddi e lucidi come pesci lessi ritengono ciarpame
sentimentalistico quelle che a me sembrano imprescindibili considerazioni
etiche. Facciamoli contenti allora e arriviamo al ragionamento di politica
internazionale.
Una classe dirigente
all’altezza dei suoi incarichi e devota agli interessi dei popoli europei
dovrebbe oggi riconoscere il fallimento delle politiche di entrambe le
amministrazioni democratica e repubblicana statunitensi mirate a indebolire la
Russia attraverso il buco nero dell’Ucraina. La mediazione con Mosca potrebbe
allora essere considerata una priorità. Invece di elemosinare un posto al
tavolo con Trump, gli europei potrebbero farsi carico di negoziare la
cessazione delle ostilità, la fine dell’invio di armi da parte di
Bruxelles, la rinuncia russa ai territori a Ovest del Dnepr, la neutralità
di Kiev nell’ambito di una architettura di sicurezza OSCE, nella quale vi siano
garanzie all’inviolabiltà delle frontiere, l’applicazione degli accordi di
Minsk, la graduale cancellazione delle sanzioni accompagnata dai referendum nel
Donbas e negli altri territori a Est del Dnepr.
Sarebbe indispensabile prendere
lo spunto dalle minacce da parte di Washington di imporre tariffe illegali e un
aumento straordinario delle spese per la difesa in ambito NATO, per sostenere
una difesa europea fuori dell’alleanza atlantica, in grado di difendere e
perseguire interessi europei nel rispetto del multilateralismo e della legalità
internazionale.
L’avvicinamento ai BRICS e la
ricerca di una mediazione con il Sud del globo al fine di riformare il FMI, la
BCE e l’ONU dovrebbe essere l’obiettivo naturale dell’Europa, che è
innanzitutto una potenza civile e culturale, e ripudia la guerra come mezzo di
risoluzione delle controversie internazionali.
La cooperazione economica con
la Cina ha vantaggi innegabili. Con i Brics l’Europa dovrebbe poter evitare di
essere vittima degli abusi unilaterali degli Stati Uniti.
Nel Mediterraneo l’Europa non
può che sostenere, contro Israele e gli Stati Uniti, la legalità internazionale
difesa dalla maggioranza dei paesi membri dell’ONU. Una politica mediterranea e
mediorientale indipendente dagli Stati Uniti, oltre a essere consona ai
principi umanistici e alla difesa dei diritti umani, sarebbe foriera di ritorni
geopolitici notevoli. Essa avrebbe come obiettivo la stabilità della mediazione
tra sunniti e sciiti, del ritorno della diplomazia internazionale in relazione
al conflitto israelo-palestinese e della fine dell’illegalità nella quale
sguazza il governo terrorista israeliano, di gran lunga più responsabile delle
organizzazioni di liberazione della Palestina occupata, che adottano metodi
terroristi.
L’Europa in grado di costruire
una politica estera indipendente che includa anche la transizione ecologica e
la cooperazione allo sviluppo sostenibile non è ancora visibile all’orizzonte.
Essa dovrebbe essere costituita da un movimento popolare transnazionale che
difenda l’interesse del 99% del ceto medio impoverito, delle classi
lavoratrici, della piccola impresa, degli agricoltori, dell’artigianato, del
precariato, dei migranti e degli emarginati. I mai tramontati ideali di libertà
e giustizia sociale, e il DNA della nostra modernità potrebbe animare un
dibattito aperto che porti alla cancellazione dei trattati di Maastricht e alla
rifondazione della costruzione europea. Si dovrebbe partire dalla
politica e non dall’economia. L’Unione politica e federale con politica economica
di bilancio e fiscale comune, munita di un meccanismo di redistribuzione della
ricchezza nell’ambito del compromesso al massimo comun denominatore tra
creditori e debitori, modulato sul funzionamento equilibrato dei parametri di
responsabilità e solidarietà, sarebbe nell’interesse sostanziale europeo.
Bisognerebbe inoltre abolire il deficit democratico e riformare le istituzioni
secondo il principio della separazione dei poteri. Per questa Europa e il suo
statuto costituzionale i popoli voterebbero a favore. Il debito comune
permetterebbe investimenti nello Stato sociale, in sanità, istruzione, ricerca,
innovazione, trasporti e infrastrutture. Le cooperazioni rafforzate del nucleo
duro, paesi fondatori e mediterranei, potrebbero portare a compimento le politiche
comuni dell’immigrazione, industriale, spaziale, energetica.
Se realizzassimo questa Europa,
non ci sarebbe bisogno del liberalismo autoritario, di censura, della narrativa
unica, dei cordoni sanitari contro le destre radicali. La propaganda
neofascista non attecchirebbe. La gente voterebbe per un progetto illuminato al
servizio dei popoli.
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