(da Il Fatto Quotidiano)
La vecchiaia
e la morte sono un po’ un ritorno alle origini, ed è questo che sta avvenendo
negli Stati Uniti con Trump, presidente della fase terminale dell’impero
americano. Con Trump, l’America torna alle sue radici profonde. Che non sono
imperiali nel senso di una pretesa di governo del pianeta, ma coloniali. La
differenza tra imperialismo e colonialismo non è di poco conto. L’imperialismo
è universale. Il colonialismo è nazionale.
Con tutta
questa storia di annettersi Canada, Panama e Groenlandia – e di dare magari un
colpetto al Venezuela che “siede su una montagna di petrolio che noi dobbiamo
pagare” – Trump non sta facendo altro che richiamare in vita l’istinto di
predazione del loro continente che ha mosso i suoi primi predecessori.
L’impero
americano non è nato come tale, ma da un progetto di sopraffazione concepito da
un gruppo di colonie d’insediamento nate in un’età di poteri coloniali e parte
di un impero coloniale, che vedevano se stesse come una replica delle nazioni
da cui provenivano. Il ceto di settlers che le guidava si era affermato tramite
lo sterminio delle popolazioni indigene e l’importazione di schiavi
dall’Africa. L’America delle origini era proiettata verso l’accaparramento dei
territori contigui alle 13 colonie iniziali, ed era refrattaria all’idea di un
impero universale.
Attenzione
all’imbroglio sulla nascita degli Stati Uniti. La Rivoluzione americana non fu
una anticipazione di quella francese, ma un evento radicalmente reazionario. Fu
una rivolta di proprietari di schiavi ribellatisi a una madrepatria che
diventava anti-schiavista allo scopo di proteggere la propria miserabile
ricchezza.
La
Costituzione americana delle origini tutela, è vero, la ricerca della felicità,
ma è la felicità dei Padri fondatori di una repubblica fondata sulla schiavitù,
che è codificata in alcuni dei suoi articoli più importanti, modificati solo
dopo la guerra civile del 1865, ma rimasti per un altro secolo nella testa dei
suoi governanti.
I primi
presidenti americani non fecero altro che scimmiottare i sovrani europei,
massacrando i nativi, invadendo e annettendo territori altrui come nel caso del
Texas, del New Mexico, della California e delle Hawaii, comprando interi Stati
dalle potenze europee, come nel caso della Louisiana, della Florida,
dell’Oregon e dell’Alaska, o stabilendo con la forza proprie colonie e
avamposti nel canale di Panama, nelle Filippine e a Cuba. Solo per poco non
riuscirono ad annettersi anche il Canada.
La forza
motrice del colonialismo degli Stati Uniti era il capitalismo di rapina
impersonato oggi da Donald Trump. Trump non è un’anomalia. È l’erede di tutti i
presidenti USA dalla fondazione della Repubblica fino ai primi del Novecento. È
la fotocopia di due presidenti sbruffoni, populisti, razzisti e
ultra-colonialisti come Andrew Jackson e Theodore Roosevelt. Stesso costume di
appello diretto al popolo scavalcando le istituzioni, stessa enfasi sull’uomo
comune bistrattato dalle élite, stessa aggressione degli avversari politici
mascherata da vittimismo.
Un bilancio
poco elegante ma veritiero del tenore dei rapporti tra il governo americano e i
“baroni ladri” dell’epoca coloniale rediviva con Trump, ci è stato fornito nel
1935 da un celebre “pentito” come il generale Smedley Butler, il marine più
decorato della sua generazione: “Sono stato di aiuto nel fare di Haiti e Cuba un
posto decente per i profitti ammassati dai boys della National City Bank. Sono
stato di aiuto nello stupro di una mezza dozzina di repubbliche
centro-americane per conto di Wall Street. Sono stato di aiuto tra il 1909 e il
1912 nel purificare il Nicaragua per conto della banca internazionale dei Brown
Brothers. Nel 1916 ho “illuminato” la Repubblica Dominicana per conto degli
interessi del cartello americano dello zucchero. Nel 1903 ho aiutato l’Honduras
a diventare “praticabile” per le compagnie americane della frutta… Guardando
indietro a tutto ciò, sarei stato in grado di dare qualche dritta ad Al Capone.
Ma il massimo che lui avrebbe potuto fare sarebbe stato quello di gestire i
suoi racket in tre distretti cittadini. Noi Marines operiamo in tre continenti
.
L’impero
americano è stato prefigurato negli anni 10 del Novecento dal presidente Wilson
– un convinto segregazionista diventato internazionalista – e poi incarnato per
la prima volta negli anni 40 da Franklin Delano Roosevelt, autore di un progetto
compiuto di governo mondiale da far gestire alle Nazioni Unite e degradato nel
dopoguerra a un impero ristretto al cosiddetto “mondo libero” degli USA e dei
loro satelliti.
Il
capitalismo liberale che ha animato il predominio americano è stato osannato come
il punto di arrivo, la “fine della storia”, ma la festa, nonostante i tempi
supplementari della Belle Epoque di Clinton, è finita nel 1989. E Biden è stato
l’ultimo presidente imperialista, illuso di governare il mondo come
dispensatore del bene supremo della sicurezza e non come titolare di un racket
di protezione mafiosa.
Perché
mafiosa? Perché la differenza tra la mafia e la polizia è che la polizia non
produce le minacce dalle quali ci protegge.
Come finirà?
Sarà la solita ripetizione farsesca della storia? Credo di sì. Quelli di Trump
sono vaneggiamenti sulla tomba di un potere imperiale ormai svanito, e che
accelereranno invece di rallentare la corsa verso la fine. Perfino i servitori
più fedeli dello zio Sam come gli europei e i giapponesi saranno costretti a
dissociarsi da questi deliri e a guardarsi intorno.
Ma i
vaneggiamenti di un bullo nazionalista, protezionista e ben armato non sono
comparabili a quelli di un nullatenente. Penso che Trump finirà col danneggiare
l’America e renderla ancora più piccola di quanto sia già diventata. Ma non
credo che l’alt gli arriverà dalla sezione liberal-internazionalista
dell’establishment a stelle e strisce. Dopo i primi segnali di reale
pericolosità che potrebbero arrivare con i 100 decreti esecutivi dei primi 100
giorni, sarà lo stato profondo, per conto dell’uno per cento che comanda
l’America, che deciderà se sbarazzarsi di lui o se imporgli una retromarcia.
Questa analisi non è wishful thinking. È un distillato della storia degli Stati Uniti.
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