Con il pretesto della lotta
all’antisemitismo, Trump vuole reprimere il movimento pro-Palestina e l’intera
sinistra statunitense.
L’attacco ai movimenti pro-Palestina
Il 29 gennaio del 2025 Donald Trump ha firmato un ordine esecutivo che, dietro il
pretesto della lotta all’antisemitismo, punta a espellere gli studenti
universitari stranieri che hanno partecipato a manifestazioni pro-Palestina o
semplicemente espresso posizioni filopalestinesi.
Nel comunicato di accompagnamento si legge che il
Dipartimento di giustizia impiegherà ogni risorsa per contrastare “l’esplosione
di antisemitismo nei nostri campus universitari e nelle strade” innescata
dall’attacco di Hamas e altri gruppi palestinesi del 7 ottobre 2023.
In più, saranno intraprese “azioni immediate” per “reprimere il vandalismo
e le intimidazioni filo-Hamas” e per “indagare e punire il razzismo anti-ebraico
della sinistra”.
L’ordine invita anche l’attorney general, ossia il procuratore
generale degli Stati Uniti, a utilizzare il reato di “cospirazione contro i diritti” per “combattere l’antisemitismo”.
La norma in questione era stata originariamente approvata dopo la Guerra
Civile per contrastare la violenza del Ku Klux Klan nei confronti degli
afroamericani emancipati del Sud, e da allora è stata impiegata per sanzionare
le violazioni al diritto di voto.
Paradossalmente, Trump è stato accusato di aver commesso
proprio quel reato in relazione ai suoi tentativi di rovesciare i risultati delle
elezioni del 2020 – poi culminati nell’assedio al Congresso del 6 gennaio 2021.
Dal canto suo, il 47esimo presidente ha mandato un preciso avvertimento a
“tutti gli stranieri che hanno preso parte alle manifestazioni filo-jihadiste:
vi troveremo e vi espelleremo”.
Ha poi aggiunto che “revocheremo anche i visti di tutti i simpatizzanti di
Hamas che si annidano nelle università, che sono ormai infestate dal
radicalismo di sinistra”.
L’ordine esecutivo ne riprende uno analogo firmato da Trump
nel 2019, che aggiungeva le persone di religione ebraica all’elenco delle
minoranze protette ai sensi del Titolo VI del Civil Rights Act del
1964.
Nel testo si adottava la definizione di antisemitismo elaborata
dall’Alleanza internazionale per la memoria dell’Olocausto (IHRA), che tuttavia
è estremamente controversa perché
ricomprende anche posizioni antisioniste o di critica nei confronti dello stato
di Israele.
Come ha fatto notare la testata
ebraico-americana Forward, l’ordine esecutivo del 2019 non è mai
stato veramente implementato né dalla prima amministrazione Trump, né da quella
Biden. Per anni è dunque rimasta sulla carta.
Ma ora il contesto politico è profondamente mutato, sia a livello
internazionale che – soprattutto – interno.
La misura in questione arriva dopo mesi di minacce da parte dei
repubblicani di tagliare i finanziamenti alle università che hanno ospitato
proteste pro-Palestina.
Durante la campagna elettorale lo stesso presidente aveva promesso di “espellere i
radicali pro-Hamas”, sebbene la stragrande maggioranza dei manifestanti sia
statunitense.
Il “Progetto Ester”
L’aspetto più inquietante è un altro.
L’ordine esecutivo segue alla lettera un piano del think tank ultraconservatore
Heritage Foundation, lo stesso che ha contribuito a stilare il famigerato “Progetto 2025” – ossia il manuale
per imprimere una svolta autoritaria agli Stati Uniti.
Il cosiddetto “Progetto Ester” è stato pubblicato
lo scorso 7 ottobre 2024 con l’ambizione di elaborare “una strategia nazionale
per combattere l’antisemitismo”. Il nome deriva dal racconto biblico di Ester, la donna che salvò il popolo ebraico
dallo sterminio ordito dal re persiano Aman.
In questo caso, però, la volontà non è di proteggere qualcuno: è di rendere
impossibile il sostegno alla causa palestinese con un approccio fortemente
complottista.
Gli autori sostengono infatti che il movimento statunitense pro-Palestina
fa parte di un’immaginaria “Rete di supporto ad Hamas” (Hamas Support
Network), ed è dunque interamente manovrato dall’organizzazione
palestinese.
Tale “Rete” sarebbe composta da organizzazioni filopalestinesi come Students for Justice in Palestine o American
Muslims for Palestine, nonché da associazioni ebraiche
antisioniste come Jewish Voice for Peace.
Avrebbe poi una potente sponda a Washington D. C., composta da una “cricca
di parlamentari antiebraici, anti-israeliani e antiamericani” – tra cui le
deputate democratiche Rashida Tlaib, Ilhan Omar e Alexandria Ocasio-Cortez, da
anni al centro di campagne denigratorie, islamofobe e razziste.
Chiaramente, tutte le attività di questa “Rete” sono da considerarsi
“antisemite, antisraeliane e anti-americane” e vanno colpite senza pietà.
Nel “Progetto Ester” si parla apertamente di sfruttare a tal fine le leggi
contro i discorsi d’odio, il terrorismo, l’immigrazione irregolare e
addirittura contro la criminalità organizzata (il RICO, Racketeer Influenced
and Corrupt Organizations Act).
E non solo: si caldeggia un massiccio impiego della
sorveglianza digitale, della delazione, dell’infiltrazione all’interno dei vari
gruppi e nei casi più estremi della “rimozione” dei “nodi cruciali” della
“Rete” – termini volutamente vaghi che sembrano suggerire l’arresto arbitrario
(o peggio) delle personalità più in vista.
Il piano contempla anche la messa al bando graduale delle manifestazioni e
delle proteste nelle università, fino alla compressione totale del diritto di
parola e riunione giustificata da esigenze di “ordine pubblico”.
Se dovesse essere implementato integralmente, il “Progetto Ester”
inaugurerebbe una nuova forma di maccartismo in cui basterebbe il minimo
sospetto di adesione alla causa palestinese per trasformare una persona in una
minaccia per la “sicurezza nazionale”.
Il legame con l’ondata di paranoia degli anni Cinquanta è davvero
esplicito, al punto tale che nel testo si dice che le associazioni
filopalestinesi traggono le loro idee storiche e politiche dal Manifesto del
Partito Comunista di Karl Marx e Friedrich Engels.
Inoltre, come succedeva all’apice della caccia alle streghe anticomunista,
l’ampiezza della “Rete” è potenzialmente infinita: può rientrarci qualsiasi
individuo o gruppo che “mina le fondamenta della società americana”,
individuate nel capitalismo e nella democrazia.
Trump non è credibile sull’antisemitismo
La vena neomaccartista emerge anche da un dettaglio sconcertante: nel piano
non compare la minima menzione all’antisemitismo di destra, cioè la forma
storicamente più diffusa e rilevante.
Secondo la testata Jewish Insider,
è proprio questa clamorosa assenza ad aver alienato il supporto al piano di
buona parte della comunità ebraica statunitense. Non a caso, diverse
organizzazioni ebraiche citate nel testo finale hanno preso le distanze.
In generale, soltanto il 22 per cento degli
ebrei-americani si fida di Trump nella lotta antisemitismo. Durante il primo
mandato, quasi il 60 per cento riteneva che il
presidente avesse avuto delle responsabilità nelle stragi alle sinagoghe di
Pittsburgh e Poway del 2018 e 2019.
Entrambi gli attentatori credevano alla teoria del complotto razzista e
antisemita della “grande sostituzione”, che Trump ha rilanciato più volte insieme a
diversi membri della sua amministrazione e del Partito Repubblicano.
Come ha poi rimarcato Jacopo Di Miceli su Facta, il presidente
“sembra circondarsi di un po’ troppe persone con precedenti inciampi
antisemiti”.
Elon Musk, ad esempio, ha ripristinato su X centinaia
di account di neonazisti, ha attaccato George Soros
ricorrendo a tropi antisemiti e ha pubblicamente avallato post contro gli
ebrei. Il clima sulla sua piattaforma è ormai talmente mefitico che più di
quindici associazioni ebraiche di Stati Uniti e Canada hanno recentemente lasciato l’ex Twitter nei
giorni scorsi.
Poi c’è Robert Kennedy Jr., l’antivaccinista
nominato a segretario alla salute, che tempo fa ha ipotizzato che il Covid-19
sia stato creato in laboratorio allo scopo di non far contagiare cinesi ed
ebrei askenaziti, dando così “nuova linfa – scrive Di Miceli – alle calunnie
antisemite medievali sull’origine della peste”.
Nel novembre del 2022 Trump ha ospitato nella villa di
Mar-a-Lago il rapper Kanye West – che all’epoca andava in giro a dire che Hitler aveva fatto cose buone – e il
negazionista della Shoah Nick Fuentes, salvo poi prenderne
frettolosamente le distanze.
Tra l’altro, lo stesso presidente ha spesso alluso al mito
antisemita della “doppia fedeltà” secondo il quale gli ebrei-americani
sarebbero fedeli a Israele e agli Stati Uniti, oltre a citare alcuni
stereotipi antiebraici per eccellenza – tipo l’abilità con il denaro e
l’influenza occulta esercitata sul sistema mediatico e politico.
Per finire, Trump non si è fatto alcun problema a graziare gli assalitori del Congresso più radicali e
impresentabili. Tra questi figura il neonazista Keith Packer, che il giorno
dell’assedio indossava una felpa antisemita con la scritta “Camp Auschwitz”
davanti e “Staff” dietro.
In altre parole: il 47esimo presidente e la sua amministrazione non hanno
la minima credibilità per intestarsi la lotta all’antisemitismo.
Ma del resto, il loro obiettivo non è quello di combattere il razzismo
antiebraico; è piuttosto quello di colpire la sinistra, gli oppositori politici e il
dissenso tout court.
Trump l’aveva annunciato, con una retorica sfacciatamente dittatoriale,
in un comizio del novembre del 2023: “Prometto che
estirperemo i comunisti, i marxisti, i fascisti e gli estremisti di sinistra
che si annidano come parassiti dentro i confini della nostra
nazione, mentendo e truccando le elezioni”.
Per ora sembra del tutto intenzionato a mantenere la parola data.
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