Con la prosopopea che gli è tipica,
Alessandro Sallusti, direttore del Giornale, ha bollato come «razza
di ignoranti» coloro che hanno osato criticare le parole di Attilio Fontana,
politico della Lega, per il quale la razza bianca è a rischio a causa dei
troppi migranti. Ciò che colpisce è il tono perentorio e ducesco con cui il
giornalista afferma «Tutte le razze, quindi, pari sono anche per la legge, e
questo è pacifico, ma esistono». Forse lo ha fatto per celebrare l’ottantesimo
anniversario della stesura del Manifesto della razza, il cui punto 1 affermava
proprio: “Le razze esistono”.
I genetisti hanno dimostrato che non
è possibile classificare gli umani in razze. Ma la scienza, come diceva
Einstein, può spezzare l’atomo, non scalfire un pregiudizio. Si attacca,
Sallusti, alla evidente diversità umana. E come smentirlo! Il problema è che
quella diversità non divide i “bianchi” dai “neri”, ma anche i biondi dai
castani, quelli alti da quelli bassi, che però sono tutti bianchi. Come la
mettiamo allora? La distinzione funziona solo quando ci fa comodo, per
guadagnare qualche voto in più? La razza è una pessima idea
che nel secolo scorso ha causato milioni di morti.
Sallusti si rifà alla lingua
italiana che prevede la parola razza e cita il Devoto-Oli: «Razza: gruppo di
individui di una specie contraddistinti da comuni caratteri esteriori ed
ereditari». Leggiamola bene questa definizione, seppure contestabile. Parla di
esseri umani? Parla di individui della stessa specie, e nessuno nega che in
molte specie animali esistano individui di razze differenti, per selezione
naturale o artificiale (vedi cani e gatti). Quanto ai caratteri ereditari,
sarebbe bene sapere che ciascuno di noi è erede di centinaia di migliaia di
anni scambi genetici e quindi meticciato (per non dire imbastardito) quanto
basta.
Rileggiamo il bellissimo dialogo di
due personaggi di Gabriel Garcia Márquez in Dell’amore e di altri
démoni: «Alla mia età, e con tanto di quel sangue mescolato, non so più con
sicurezza di dove sono» disse Delaura, «Né chi sono». «Nessuno lo sa in questi
regni» disse Abrenuncio, «E credo che ci vorranno secoli per saperlo».
P.S. La
lingua italiana prevede anche le parole: unicorno, befana, elfo e anfisbena, ma
non per questo esistono.
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