Come
sarà l’Italia in mano a partiti razzisti? Bisogna cominciare a chiederselo.
Combattere la solidarietà verso profughi e “stranieri” non la rafforza tra i
“nativi”, ma distrugge anche quella: promuove il sospetto, l’invidia,
l’insensibilità per le sofferenze altrui, la crudeltà.
E affida “pieni poteri” a chi governa: non solo per reprimere e tener lontane
le persone sgradite, ma anche per giudicare sgradite tutte quelle che non
obbediscono. La società che respinge e perseguita gli stranieri non può che essere
autoritaria, intollerante, violenta. La storia del secolo scorso ci ha
insegnato che questo è un piano inclinato da cui è sempre più difficile
risalire.
Ma che risultati possono raggiungere i governi impegnati a
fare “piazza pulita” di profughi e migranti? Nessuno. La pressione dei profughi
sull‘Europa continuerà, perché continueranno a peggiorare le condizioni
ambientali dei paesi da cui centinaia di migliaia di esseri umani sono
costretti a fuggire a causa del saccheggio delle loro risorse e dei cambiamenti
climatici che colpiscono soprattutto i loro territori. Quel degrado ambientale
è anche la causa principale delle guerre che creano ulteriori “flussi” di
profughi: quando le risorse disponibili si riducono, la lotta per
accaparrarsele si fa più feroce.
“Aiutiamoli a casa loro” non vuol dire niente: chi mai li
dovrebbe aiutare? Le multinazionali che saccheggiano le loro risorse? I tiranni
e i governi corrotti che si appropriano di quel che resta? Le popolazioni
locali che non hanno la forza per scrollarsi di dosso quei gioghi? Nessuno di
loro, ovviamente; solo la volontà di far ritorno nel proprio paese può rendere
coloro che ne sono dovuti fuggire i “catalizzatori” di una rigenerazione
sociale e ambientale delle terre dove sono rimaste le loro comunità di origine.
A condizione che profughi e migranti siano accolti bene; messi in condizione di
collegarsi tra loro, di organizzarsi, di consolidare dei legami con cittadini e
cittadine europee, di mettere a punto e far valere insieme a loro programmi di
pacificazione dei rispettivi paesi e di contenimento e di inversione del loro
degrado.
Niente di tutto ciò è prospettato o perseguito da chi ha
ripetuto fino alla nausea “aiutiamoli a casa loro”; e meno che mai verrà fatto
da chi ha fatto campagna elettorale promettendo di cacciare i “clandestini”
dall’Italia. Quella politica, che abbiamo già vista all’opera con il ministro
Minniti, non ha fermato gli sbarchi né li fermerà. Perché, anche se tutte le
navi delle Ong solidali e delle marine europee venissero messe
nell’impossibilità di operare, l’obbligo di salvare chi è in pericolo in mare
resterà in capo ai mercantili in transito, come accadeva prima del programma Mare
Nostrum; e il porto di sbarco non potrà che essere in Italia. In compenso ci
sono stati e ci saranno sempre più morti, sia in mare che nel deserto; morti
che resteranno per sempre sulla coscienza di chi non fa niente per cercare di
garantire ai vivi una via di transito sicura verso l’Europa. Ma soprattutto ci
saranno sempre più violenze, torture, ricatti, estorsioni, schiavismo, sia in
Libia che in tutti i paesi in cui si sta cercando o si cercherà di bloccare il
transito dei profughi. Respingere i profughi significa renderli schiavi e
schiave di bande locali o spingerli a farsi reclutare nelle loro armate; il che
moltiplicherà i conflitti e renderà tutti i territori dell’Africa e del Medio
Oriente infrequentabili per gli europei, sia turisti che tecnici o uomini
d’affari. Il modo più sicuro per strangolare sia l’economia europea che le
loro.
Ma che sarà, poi, di coloro che sono già in Italia, o in
Europa, come “clandestini”? Espellerli tutti è impossibile: costerebbe troppo e
chi continua a prometterlo lo sa benissimo. D’altronde, nessun governo dei
paesi di provenienza è disposto ad accoglierli e anche quelli che firmano
accordi in tal senso (in cambio di molto denaro) non li rispetteranno: quei
rimpatriati a forza creerebbero solo problemi. Quei respingimenti li si può
fare, o far fare, solo verso la Libia o verso paesi ridotti nello stesso stato:
campi di prigionia e tortura a disposizione di un’Europa trasformata in
fortezza.
Per questo i migranti “irregolari” resteranno qui, condannati
a una clandestinità permanente, che significa costringere centinaia di migliaia
di uomini e donne a delinquere, prostituirsi, farsi reclutare dalla criminalità
organizzata di casa in molti ambienti politici (soprattutto quelli che più
strillano contro il loro arrivo) e anche tra non pochi addetti all’ordine
pubblico. È questo, e non l’arrivo di nuovi profughi, a creare quello stato di
insicurezza che i nemici dell’accoglienza e della solidarietà dicono di
combattere. Essere sempre più feroci con i profughi non fa che peggiorare la
situazione; il che fa molto comodo a quei governi europei che già contano di
usare l’Italia come discarica dei migranti che non vogliono accogliere, come
noi stiamo usando la Libia.
Ma in Europa ci sono già decine di milioni di immigrati,
recenti e no, molti anche già “naturalizzati”, cioè cittadini e cittadine
europee, che da ogni nuova manifestazione di razzismo, o anche di semplice
“rifiuto” dello straniero, sono indotti a viversi sempre più come un “corpo
estraneo” nella società; e a covare quello spirito di rivalsa che porta alcuni
a voler vendicare in qualsiasi modo le sofferenze inflitte ai loro connazionali
o correligionari. Non è un caso che foreign fighters e terroristi vengano quasi
tutti da comunità già insediate da tempo in Europa. Per fermarli non basta la
polizia; non si possono controllare tutti. Bisogna prevenire; e lo si può fare
solo con più rispetto sia per loro che per i loro connazionali in cerca di una
vita nuova in Europa.
I partiti che hanno governato e quelli che governeranno nei
prossimi anni sono chiusi a questo ascolto. Né bastano i sermoni per
aprirgliele. È dalla pratica attiva della solidarietà che nasce un nuovo modo
di vivere: più sereno, più ricco di esperienze e di relazioni, più capace di
affrontare i rischi a cui va incontro ciascuno di noi, insieme a tutto il
pianeta. Ed è da una rete di tutti coloro che si impegnano in questo campo che
può nascere un’alternativa reale – sociale, politica e culturale al disastro in
cui ci ha trascinato la politica attuale.
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