A distanza di oltre un anno dalla nota pronuncia della
Grande Camera della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sul caso Khlaifia,
l’Italia non ha ancora adottato, contrariamente a quanto richiesto, una
normativa per regolare la permanenza dei migranti nei
cosiddetti hotspot.
La sentenza Khlaifia avrebbe
dovuto rappresentare un punto di svolta nella tutela dei diritti dei migranti
in queste sedi, perché l’illegittimità dei loro
trattenimenti veniva accertata, per la prima volta, da un
organismo giurisdizionale, per di più a carattere internazionale e con
competenza specifica a valutare le violazioni dei diritti umani.
E invece il Comitato dei Ministri
del Consiglio d’Europa – organo preposto al controllo
dell’esecuzione delle sentenze emesse dalla CEDU – richiama l’Italia, chiedendo
di fornire informazioni dettagliate, entro la fine di giugno, sul quadro
normativo disciplinante l’attività degli hotspot, la durata
media del soggiorno delle persone che vi sono collocate prima e dopo la loro
identificazione, nonché la prassi relativa alla libertà di movimento dei
migranti identificati.
Nella decisione adottata
il 15 marzo scorso, proprio in relazione allo stato di esecuzione della
sentenza Khlaifia, il Comitato dei Ministri evidenzia, in
particolare, la necessità di conoscere le misure adottate o previste
dall’Italia per legittimare eventuali limitazioni della libertà personale dei
migranti situati negli hotspot.
In assenza di una chiara base giuridica, il loro trattenimento rischia di
sfociare in una detenzione illecita che viola il diritto alla
libertà personale sancito dall’art. 13 della nostra Costituzione oltre che
dall’art. 5 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. L’attuale
normativa italiana, infatti, permette la detenzione amministrativa dei migranti
solo all’interno dei CPR (Centri di permanenza per il rimpatrio).
La richiesta di chiarimenti da parte del Comitato dei
Ministri non sorprende affatto. Il vuoto giuridico che
caratterizza gli hotspot italiani è, ormai da
tempo, denunciato tanto dalle istituzioni quanto
dalle Associazionia
tutela dei diritti umani.
Mauro Palma, Garante delle persone private della libertà, ha più
volte ribadito che gli hotspot sono un
“limbo giuridico perché in una situazione di privazione della
libertà ci deve essere sempre un’autorità giudiziaria che confermi o meno
quella privazione“.
In effetti, “ci troviamo di fronte a delle
violazioni dei diritti umani che non si riscontrano in altri contesti” in
quanto “i migranti, almeno a Lampedusa, sono reclusi
all’interno della struttura senza poter incontrare un avvocato o un giudice che
convalidi il loro trattenimento”, ha affermato l’avvocato Gennaro Santoro (CILD) durante la conferenza stampa del
10 aprile, tenutasi alla Camera dei Deputati per presentare il Dossier di CILD,
IndieWatch e ASGI sull’hotspot di Lampedusa.
L’intervento del legislatore è quindi indispensabile.
La libertà dei migranti non può essere determinata dalle scelte arbitrarie
delle autorità di polizia senza il vaglio del giudice e la possibilità di
presentare un ricorso in tribunale. È opinione condivisa che serva una
normativa per disciplinare l’organizzazione e il funzionamento di queste
strutture.
C’è da dire che solo nel centro di Lampedusa i
migranti sono totalmente “reclusi”, mentre negli altri 4 hotspot (Trapani, Pozzallo, Messina e Taranto),
dopo l’identificazione, sono almeno liberi di entrare e uscire pur con qualche
limitazione.
I trattenimenti forzati, inoltre, generano una sorta di
effetto domino che porta a violazioni di altri diritti
umani e a situazioni lesive della
dignità umana. Gli hotspot, introdotti
su indirizzo della Commissione
Europea nel 2015 senza alcuna base giuridica, sono
infatti del tutto inadeguati ad “ospitare” persone per periodi prolungati.
Non bisogna dimenticare che si tratta di strutture
concepite come luogo di mero transito dove
svolgere, entro 48 ore, le operazioni di identificazione e
trasferimento verso altre tipologie di centri a seconda che il
migrante abbia fatto richiesta di asilo o sia in via di espulsione.
Le condizioni di vita al loro interno “sono a malapena tollerabili per un paio di giorni e diventano
insopportabili se la permanenza prosegue oltre le 48 ore” afferma
Mauro Palma, tuttavia “in molti casi sono stati trovati soggetti
migranti, già identificati, la cui permanenza si prolungava da oltre due
settimane”.
>Il racconto che viene fuori dal Dossier di
CILD, IndieWatch e ASGI, sull’hotspot di
Lampedusa è agghiacciante, tanto che l’avvocato Laura
Crescina (ASGI) parla di
“trattamenti disumani e degradanti“.
Non esiste una mensa e il cibo, che gli ospiti devono
consumare in stanza o all’aperto, è di scarsissima qualità; i water alla turca
e le docce sono senza porte e i materassi sporchi e malmessi; i cameroni con i
letti uno affianco all’altro possono ospitare fino a 36 persone senza nessuna
separazione tra donne, uomini e bambini.
E ancora:
Non ci sono lenzuola (…). L’acqua calda è assicurata
solo per 1 ora al giorno, l’acqua corrente è interrotta dalle 21 alle 7 (…).
Nel centro non vi è una lavanderia, un cortile o un luogo per pregare.
Viene fornita una sola bottiglia d’acqua per tuttala giornata. (…). Le
condizioni di sicurezza sono praticamente inesistenti, determinando una
situazione lesiva dei diritti e della dignità di tutte le persone accolte ma in
particolare di quelle più vulnerabili.
Come se tutto ciò non bastasse, i migranti, in
particolare quelli di nazionalità tunisina, spesso si trovano
nell’impossibilità di formalizzare la proprio domanda di asilo. Questo
significa, come spiega Laura Crescina, che “anche ai richiedenti asilo non
viene concesso un permesso di soggiorno. Senza permesso di soggiorno queste
persone non posso lasciare né l’hotspot né l’isola di Lampedusa”.
Il Viminale, il 13
marzo scorso, ha annunciato la chiusura temporanea dell’hotspot di Lampedusa per “lavori di ristrutturazione”, dopo l’incendio appiccato
per protesta dai migranti l’8 marzo. Tuttavia il centro potrebbe essere ancora
funzionante. “Anche se sembra assurdo date le condizioni in cui già versava
l’hotspot”, dice Gennaro Santoro, “pare che dopo il trasferimento
di tutti gli occupanti, siano stati accolti nel centro nuovi migranti a seguito
di due sbarchi sull’isola”.
Ottenere informazioni precise per documentare ciò che
davvero accade all’interno degli hotspot non è
così facile. Nonostante l’abrogazione della Circolare del
ministero dell’Interno che vietava l’ingresso degli organi di stampa e delle
Associazioni all’interno di queste strutture, grazie soprattutto all’impegno della Campagna LasceteCIEntrare,
le richieste di accesso spesso continuano a essere respinte.
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