“Se non state attenti i media vi faranno
odiare le persone oppresse e amare i loro oppressori.” Lo diceva Malcolm X e non
era poesia ma estrema sintesi di ciò che può il potere mediatico. Lo
verifichiamo continuamente anche ora che l’avvento dei social e della stampa on
line riesce a ridimensionare il potere di creare e sopprimere verità da parte
dei media main stream. Solo a ridimensionare però! Ultimo caso esemplare è
quanto successo tre giorni fa in Medio Oriente, esattamente nella Striscia di
Gaza.
Un passo indietro è d’obbligo ed è la
dichiarazione di Israele che minacciava di fare strage di palestinesi nel caso
in cui la manifestazione del 30 marzo, benché pacifica, avesse sfiorato il
confine dell’assedio. Non si è levata neanche una parola dalle Istituzioni
internazionali per condannare una simile dichiarazione dando così a Israele il
consenso tacito a rendere operativa l’azione criminale minacciata, lasciando
sul campo 17 cadaveri e oltre 1500 feriti in un’operazione durata solo poche
ore.
I pochissimi internazionali presenti nei
vari punti di concentramento della “grande marcia del ritorno”, questo il nome
dato dagli organizzatori alla manifestazione indetta per rivendicare il
rispetto delle Risoluzioni Onu da parte di Israele, hanno visto e testimoniato,
anche con documentazioni video e fotografiche, l’andamento della grande
manifestazione e gli omicidi immotivati commessi dai 100 tiratori scelti
posizionati da Israele lungo il border.
La “grande marcia” partiva per essere
una sorta di festa popolare con bambini al seguito e partecipazione gioiosa,
come mostrano le numerose foto, ma Israele, colpevole di aver posto l’assedio a
Gaza ormai da 11 anni, ha deciso di sparare lo stesso, e non solo contro i
pochissimi che rivendicavano il diritto di superare la cosiddetta zona
cuscinetto imposta con la violenza delle armi dall’assediante, ma ha sparato
sulla folla, uccidendo e ferendo anche dei ragazzini. E’ stato a questo punto
che alcuni dimostranti hanno dato fuoco a vecchi pneumatici per disorientare
col fumo i loro potenziali killer, ma le foto con i pneumatici in fiamme
evidentemente attraggono l’attenzione più di una famiglia che sembra stia
facendo una scampagnata. Dunque queste foto, insieme alle dichiarazioni
israeliane, hanno avuto la capacità di offuscare la verità al punto che i
nostri media, senza pudore, hanno potuto mescolare menzogne vere e proprie con
alcuni spicchi di verità in una miscellanea che ha soltanto un nome:
manipolazione mediatica della verità.
Che Israele, intenzionato da sempre ad
annettersi illegalmente l’intera Palestina storica, usi la violenza e al
contempo pianga protezione ha una sua logica indiscutibile, ma che i media
italiani, e non solo, si prestino in maggioranza ad assecondarlo senza alcun
pudore né etica professionale, è cosa che lascia quanto meno perplessi per la
sua gravità, non tanto rispetto al popolo palestinese, quanto a quello
italiano, al quale pian piano si sta lasciando affievolire il concetto di
democrazia sostanziale grazie al chiamare democratiche le azioni di uno Stato,
Israele, assolutamente fuori legge.
Israele infatti, detto pure Stato
ebraico definendolo in tal modo etnico-confessionale e perciò stesso al di
fuori di quell’eguaglianza laica che rappresenta uno dei pilastri della moderna
democrazia, è al di fuori delle leggi internazionali dal momento stesso della
sua nascita. Lo è non per opinione dei suoi detrattori, ma per sua stessa
ripetuta e fiera ammissione. Ma questo non è sufficiente a fornire ai nostri
media quell’obiettività necessaria per una lettura corretta del suo agire ma
anzi, al contrario, sembra la sorgente invisibile di una censura che pian piano
si è trasformata in autocensura fornendo giustificazione ad azioni che secondo
la legalità internazionale sono definibili quali violazioni del Diritto
internazionale fino a configurare, in alcuni casi, l’ipotesi di crimini di
guerra e di crimini contro l’umanità.
Non si tratta di opinioni ma di lettura
obiettiva della realtà, un’obiettività che viene però ostacolata da una sorta
di velo posto da Israele e dai suoi sostenitori al di sopra di ogni giudizio
oggettivo, un velo cui è stato attribuito con un unico termine,
“antisemitismo”, il potere magico di bloccare ogni critica alle azioni
criminali che Israele pratica a partire dalla sua nascita e che i suoi
fondatori praticavano prima ancora della sua fondazione.
Non sono opinioni ma fatti storici,
basti citare atti di terrorismo quali il sanguinoso attentato all’hotel King
David del 1946 o all’hotel Semiramis nel gennaio del “48 o le stragi di interi
villaggi quali Deir Yassin o Lydda tra il “47 e il “48, tanto per fare solo
alcuni esempi. Alcuni dei mandanti ed esecutori di quelle ed altre stragi
diventarono poi statisti importanti, o addirittura Nobel per la pace, ma questo
appartiene alla storia di tante nazioni e non solo di Israele. Tuttavia è bene
ricordarlo, serve a capire.
Tornando alla manipolazione mediatica e
in particolare all’ultimo caso che vogliamo prendere in considerazione, basta
mettere a confronto i fatti con le parole usate per interpretarli da alcuni dei
media più significativi per rendersi conto di quanto impegno venga dedicato a
modificare la realtà e soprattutto la sua percezione, nonostante i fatti siano
incontrovertibili. Magistrale è “La Stampa” la quale, ignorando che l’organizzazione
della marcia che si concluderà il 15 maggio non appartiene ad Hamas,
attribuisce allo stesso Hamas – trasformato ormai da movimento politico a
termine evocativo di terrorismo islamico, benché sia il vero baluardo
palestinese contro l’Isis – la colpa di aver costretto Israele a macchiarsi di
sangue. Come? rivendicando il rispetto alla Risoluzione Onu che Israele
calpesta.
E con quale strategia? quella della
manifestazione pacifica armata di “donne, bambini, ragazzi, per sfondare il
confine e riappropriarsi dei territori perduti, fossero pure pochi metri
quadrati e per pochi minuti….(che) ha messo in difficoltà Israele e costretto i
suoi militari…. a sparare sui civili.”
L’argomentare della Stampa sembrerebbe
una pièce da teatro dell’assurdo, senza poi considerare che i cecchini hanno
sparato a uomini donne e bambini che quei 2metri quadrati, per pochi minuti”
non li hanno neanche toccati.
Non meno assurda è l’affermazione
dell’Huffingtonpost che apre il suo articolo definendo Israele come il paese
destinato “a fare i conti con il terrorismo fin dalla sua nascita”, scavalcando
a piè pari il fatto che Israele nasce proprio praticando il terrorismo e non
sulla Risoluzione 181 che non rispetterà mai. Seguendo lo stile del politically
correct l’Huffingtonpost dà poi la parola all’analista militare israeliano Amos
Harel e al giornalista Gideon Levy i quali affermano entrambi che la scelta
non-violenta di Hamas, la sua “metamorfosi” come la definiscono, rappresenta il
vero incubo di Israele.
In qualche modo il vero problema e cioè
la natura fuori legge e le azioni criminali di questo Stato finiscono sempre
per confondersi in una nebbia assolutoria, anche se non è questa l’intenzione
di chi, come Gideon Levy, rappresenta la voce critica del suo Paese.
Passiamo a dare un’occhiata alla
cosiddetta analisi apparsa sull’Internazionale, il cui autore, il francese
Guetta, afferma che se Israele si fosse limitato all’uso di lacrimogeni e
proiettili rivestiti di gomma, avrebbe consentito al (diabolico) Hamas di
avvicinarsi e magari oltrepassare la frontiera (ovvero la linea dell’assedio)
peggiorando l’entità della strage e mettendo “Israele in una situazione più
difficile”. L’analista, o cosiddetto tale, prosegue poi affermando che Israele,
“mostrando tutta la sua determinazione… ha cercato di stroncare sul nascere un
movimento di ribellione di massa palestinese”. Una lettura del genere, peraltro
su una rivista considerata attenta e benevola verso la questione palestinese,
mentre assolve Israele per il suo ultimo crimine, fa supporre illegittima la
ribellione all’assedio e all’occupazione invertendo totalmente la realtà
storica e attuale. Qui le parole di Malcom X sembrano un’indicazione
terapeutica per evitare di ammalarsi di incapacità di giudizio.
Tv e quotidiani hanno fatto a gara in
questi giorni a mostrare le proprie abilità manipolatorie e i media conosciuti
come democratici hanno brillato nel gioco del colpo doppio, uno al cerchio e
uno alla botte, confondendo la realtà anche con definizioni apparentemente
corrette quale, ad esempio, quella maggiormente quotata che risponde a “Israele
ha avuto una reazione sproporzionata”.
Chiamiamo ancora a sostegno Malcom X per
evitare di cadere nella trappola che forse non è neanche voluta da molti dei
giornalisti vittime della coazione a ripetere, ma che trappola è comunque.
Esaminiamo il sostantivo “reazione” e l’aggettivo “sproporzionata.”
Reazione a cosa? a una manifestazione
pacifica interna a un territorio cinto d’assedio? Se la reazione risponde a
un’azione, l’azione è l’assedio e il non rispetto delle Risoluzioni Onu, mentre
la reazione è la manifestazione per interrompere le violazioni israeliane. Ma
se il termine viene considerato a catena, allora ecco che può definirsi
“reazione” anche la risposta a qualunque “reazione”.
Prendiamo però l’aggettivo che definisce
e al tempo stesso giustifica la “reazione” israeliana. Viene detta
sproporzionata e in tal modo viene conclamato che una reazione alla
manifestazione che rivendica diritti violati è cosa giusta. Purché resti entro
date proporzioni.
E’ chiaro il gioco, se si fa un’analisi
del contenuto, direbbe Malcom X, non a caso ucciso perché molto scomodo!
E ora vediamo quali sarebbero i
parametri in grado di stabilire la proporzione. Un morto invece che 17? 100
feriti invece che 1500 o più? Non ce lo dicono i nostri media, loro si limitano
a ripetere formule che alla fine sembrano diventare assiomi.
Lo spazio di un articolo di giornale non
ci permette di dilungarci troppo nelle analisi e quindi cercheremo di limitarci
per non annoiare il lettore. Aggiungiamo soltanto che considerare come
provocazione l’incendio di alcuni pneumatici usando il fumo per difendersi
dagli spari dei cecchini non è manipolazione dell’informazione, no, è vera e
propria menzogna a sostegno di chi ha ordinato ai propri soldati di macchiarsi
di omicidi plurimi e si è poi congratulato pubblicamente con gli stessi per
aver svolto il loro ottimo lavoro.
Vale a dire che i media che hanno
supportato Israele possono a pieno titolo essere considerati complici per
concorso morale con i mandanti degli assassini, ovvero con Netanyahu e
Lieberman i quali, non sazi di quanto avvenuto all’apertura della “grande
marcia” comunicano che faranno altrettanto e di più il prossimo venerdì. La
comunicazione è pubblica ma su di loro non cade alcuna sanzione affinché
vengano fermati. Dove sono le Istituzioni internazionali?
Ma torniamo velocemente sul gioco
mediatico e vediamo come gli organizzatori della marcia sono stati scalzati dai
media per far spazio ad Hamas, considerato come vero organizzatore. Poi vediamo
che le accuse ad Hamas in quanto sostenitore della resistenza armata (e qui
sorvoliamo sulle Convenzioni di Ginevra che gli darebbero ragione per non
sembrare benevolenti verso questo movimento, visto che non lo siamo) si
trasformano in accuse ad Hamas per aver cambiato strategia ed aver scelto la
resistenza non violenta, che sarebbe il nuovo incubo di Israele.
Ma Hamas, e non solo lui, ha commesso un
nuovo errore, quello di aver stampato i manifesti funebri di alcune vittime
secondo la retorica della resistenza armata contro l’occupante. Questo ha dato
nuovo ossigeno a favore di Israele e a danno della comprensione obiettiva della
situazione.
Leggerezza? malafede? servilismo? non
abbiamo titolo ad arrogarci il diritto di esprimere il nostro giudizio sulle
motivazioni che hanno spinto alcuni colleghi a utilizzare questi manifesti di
pessima grafica retorico-epica, ma abbiamo il diritto di esprimerci sul fatto:
si tratta di strumentalizzazione di basso livello che mira a mettere sullo
stesso piano la vittima con l’assassino se non addirittura peggio cioè, secondo
l’avvertimento di Malcolm X, a farci odiare la vittima e offrire amore e
comprensione al suo assassino.
In conclusione ci chiediamo il perché di
tutto questo. Perché a Israele è consentito di distruggere i pilastri della
democrazia e di esportare questa tecnica distruttiva anche nel nostro paese?
Perché Israele può permettersi di rispondere al Segretario generale delle
Nazioni Unite che non vuole nessuna inchiesta sui suoi crimini e le Nazioni
Unite abbassano la testa? Cosa c’è dietro tutta questa complicità con un Paese
che è il paradigma dell’illegalità legalizzata? Sappiamo che il solo porci
questa domanda può consentire, grazie all’ottimo lavoro della propaganda
israeliana, di essere tacciati di antisemitismo e questo è un ricatto e un éscamotage
di bassissimo livello che respingiamo a priori.
Chi scrive ha per caso qualche anello di
ebraismo nel suo DNA ma non è questo a farci respingere l’accusa. Noi, come
organo d’informazione condanniamo la manipolazione mediatica e, come sinceri
democratici convinti che solo il rispetto del Diritto universale può
interrompere la mattanza in atto da oltre 70 anni in quell’area geografica,
usiamo la nostra voce e le nostre testimonianze dirette e documentate per
raccontare la verità.
La verità condanna Israele e rinchiude
in una cornice eticamente penosa i media che per sostenerlo hanno sacrificato
professionalità e onestà morale. E questo lo ripetiamo con convinzione
supportata dall’analisi della realtà.
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