In questo momento, ora locale 2 del pomeriggio, si stanno
svolgendo i funerali dell’ultima mattanza israeliana, regolarmente e
impunemente annunciata, in risposta alla marcia pacifica del popolo di Gaza che
chiede il rispetto delle Risoluzioni Onu. Ma l’Onu, al di là della ridondanza
del nome e dei palazzi che occupa, è un’organizzazione timida, e di fronte a
Israele si limita, quando lo fa, ad esprimere qualche rimprovero, e
generalmente a posteriori!
Chiunque conosca anche soltanto l’alfabeto del
Diritto, sa che senza sanzioni non c’è efficacia della norma. Anche all’Onu lo
sanno bene e infatti in molti casi le sanzioni scattano anche per una sola
Risoluzione violata. Ma Israele no, Israele ne ha violate molte decine,
praticamente tutte quelle che lo riguardano e questa continua violazione senza
sanzioni è in parte la causa del discredito ormai evidente che ha reso
l’Organizzazione delle Nazioni Unite simile a un orso addestrato, capace di
mostrare la sua imponente figura, ma muovendo i passi decisi dal suo
addestratore.
Questo è il regalo che Israele ha fatto al
mondo, mentre sua intenzione era soltanto quella di liberarsi dei palestinesi
scomodi.
Ieri, secondo venerdì della “grande marcia del
ritorno” l’esercito israeliano ha ferito ancora un migliaio di manifestanti
pacifici e ne ha uccisi almeno sette. Il numero potrebbe crescere anche mentre
noi scriviamo, perché pare che alcuni dei proiettili usati siano del tipo
butterfly, vietati. Ma questo non è un problema per chi ha usato il fosforo
bianco per bruciare vivi un bel numero di bambini nell’ultima aggressione
militare. Pare che anche Yaser Muntaja, il giovane giornalista palestinese
ucciso ieri mentre filmava la marcia a Khuza’a, nei pressi di Khan Younis, sia
stato colpito all’addome da un proiettile butterfly. Così ci dicono
dall’European Gaza Hospital in cui hanno provato a salvarlo, ma senza successo.
Yaser portava il giubbetto con la scritta
PRESS e quindi era ben riconoscibile. Qui a Gaza molti avanzano l’ipotesi che
proprio quella scritta l’abbia reso target per i cecchini. Non sappiamo se ciò
sia vero, ma sappiamo quanto Israele tema il resoconto reale dei fatti, capace
di interrompere la vulgata offerta dagli opinion makers internazionali tra cui,
triste a dirsi, quelli italiani brillano.
L’Italia delle testate mediatiche importanti
non ha nessun inviato nella Striscia di Gaza per cui le notizie fornite non
sono testimonianze ma solo opinioni, opinioni acquisite sotto dettatura e
contrastanti con quella realtà che Yaser Muntaja spandeva per il mondo
attraverso i social. Con lui sono stati feriti altri giornalisti palestinesi
col giubbetto ben in vista e questo rinforza l’ipotesi che quella scritta sia
stata un target piuttosto che una protezione, visibile nonostante il fumo nero
di migliaia di pneumatici bruciati come tattica difensiva dai manifestanti.
Proprio due giorni fa testimoniavamo la determinazione a resistere verificata
di persona a Khuza’a e osservata durante una delle normali serate del “popolo
degli accampamenti” che partecipa alla grande marcia. E proprio a Khuza’a,
cittadina massacrata oltre ogni dire durante l’aggressione del 2014, è stata
spenta la voce di un testimone mediatico tanto bravo quanto scomodo.
Questo venerdì la nostra testimonianza
riguarda il concentramento di Al Breji, Nusseirat, nella zona centrale della
Striscia, dove l’esercito occupante ha fatto 5 martiri la scorsa settimana e 2
ieri oltre a 118 feriti. Quel che abbiamo potuto osservare, e che è
testimoniato da migliaia di foto che girano nei social oltre alle nostre, è
stata la tattica difensiva usata dai gazawi per limitare gli effetti
micidiali dei tiratori scelti: un nutrito gruppo di giovani uomini e donne,
facendosi scudo col fumo dei copertoni, si è avvicinato il più possibile al
border, restando più o meno a cento metri, sempre all’interno della linea
d’assedio, e lì ha dato fuoco a centinaia di pneumatici.. Dietro di loro e per
una distanza di diverse centinaia di metri, si svolgeva il pacifico e quasi festaiolo
concentramento di qualche migliaio di manifestanti. I lacrimogeni superavano
comunque la cortina di fumo e arrivavano all’interno della pacifica
manifestazione colpendo anche chi stava semplicemente osservando. I nuovi
gas usati da Israele sono micidiali e se inalati senza protezione provocano
delle strane convulsioni che i medici dello Shifa Hospital stanno cercando di
curare. Le maschere artigianali fatte indossare ai bambini hanno una loro
efficacia ma solo se l’uso dei gas non è massiccio.
Tra fumo nero dei copertoni, fumo bianco dei
lacrimogeni, diversi colpi di fucile sparati dai cecchini, sirene delle
ambulanze che raccoglievano i feriti, tende con i nomi dei villaggi
distrutti e solenne e commossa commemorazione dei 5 martiri dello scorso
venerdì, la manifestazione ha seguitato a svolgersi incredibilmente come una
grande festa. Bancarelle con i falafel, i lupini e le nocciole, bancarelle e
carretti con frutta fresca, musica, caffè e perfino un clown che mostrava ai
bambini come indossare la maschera quasi-anti-gas e, infine, una cosa che forse
in occidente sembrerà incredibile: il barbiere mobile. Sì, alla grande marcia
per il diritto al ritorno ci si può anche sedere e far tagliare i capelli.
Dietro la sedia, il cartello col prezzo e il nome del barbiere. Questa scena ci
ha regalato un sorriso, anche se poco prima un candelotto israeliano ci aveva
spaccato il parabrezza nonostante fossimo a notevole distanza dalla linea di
fuoco. Mi sono chiesta come ci si possa illudere di sconfiggere un popolo
così! Passi per le bancarelle, l’offerta del caffè e pure il clown, ma il
barbiere da manifestazione è il massimo. O li ammazzano tutti o non ce la
potranno mai fare!
Dopo il tramonto, quando ormai si spera che
l’esercito si ritiri, si va all’ospedale Al Aqsa, dove le ambulanze della
zona centrale portano i feriti. Da un’ambulanza è caduta una scarpa. E’
insanguinata. Quando si muore il piede si rattrappisce e si perdono le
scarpe. E’ la scarpa di uno dei due martiri che non ce l’hanno fatta.
Vengono portati via correndo su una barella coperta da un telo diventato rosso
di sangue. Corrono tutti,sia fuori che dentro l’ospedale. Molti sono volontari.
Molti lo sono pur essendo dipendenti dell’ospedale, perché non prendono più lo
stipendio in seguito ai tagli dell’UNRWA e alla politica punitiva di Ramallah
che l’attentato-farsa del mese scorso ha ottusamente rilanciato.
Non prendono salario né alcuni infermieri né
alcuni medici ma non fa niente, sono lì e cercano di ridurre il danno su corpi
centrati dai cecchini israeliani. Centrati in modo che sembra scientifico: il
bacino, con conseguente asportazione o riduzione della funzionalità
dell’apparato genitale, e le gambe nei punti giusti per restare invalidi, come
la rotula. Stentiamo a credere che sia voluto e quindi ci limitiamo a riferire
quanto ci viene detto dal personale sanitario. Non obiettiamo. Ci troviamo di
fronte a situazioni troppo tristi per farlo, come l’uomo cui hanno dovuto
amputare entrambe le gambe, il giovane in coma farmaceutico operato al bacino e
alla gamba e a rischio di sopravvivenza, l’uomo operato alla gamba che sa di
restare invalido e ha 6 bambini, quello operato al fegato per un proiettile che
gli ha attraversato il corpo lasciandolo vivo, e anche il ragazzo che non sa
come uscirà dall’ospedale né quando né se, ma che riesce a fare un sorriso e a
dire shukran, cioè grazie per il supporto dell’Italia..
Per pura umana comprensione non precisiamo che
il nostro governo è complice di Israele, ma diciamo soltanto che il popolo
italiano che conosce la situazione è con loro. Anche i medici ci
ringraziano, e chi scrive non ha il cuore di dirgli che non è l’Italia intesa
come Stato né tanto meno come governo a mandare il suo saluto, ma solo quel
pezzetto d’Italia che esce dalla narrazione israeliana ed è solidale con la
loro lotta. Non possiamo dirglielo in questo momento.
Le parole giuste da dire alle famiglie non ci
sono, o almeno chi scrive non le trova, ma l’interprete è bravissima e riesce a
trasmettere in arabo quello che in inglese suona solo come frase di
circostanza. Usciamo e sappiamo che se la rete ce lo consentirà passeremo la
notte a scaricare video e foto per testimoniare di un’altra giornata che poteva
essere di festa se la legalità internazionale avesse vinto sulla legge del più
forte.
Uscendo i nostri occhi cadono ancora su quella
scarpa sporca di sangue. E’ una scarpa da ginnastica, è quasi nuova. Forse
portava i passi di un altro sognatore oggi diventato martire. Come Yasser, il
giornalista ucciso a Khuza’a, o come Mohammed, lo scultore ucciso lo scorso
venerdì. O come tutti gli altri martiri di questa marcia che avendo vinto la
paura seguitano ad andare a mani nude di fronte a un nemico armato e micidiale
per chiedere al mondo di svegliarsi.
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