Desidero
rispondere a Daniele Malenchini e a tutti coloro
che si chiedono “dove e come” i migranti trovano i soldi per salire sulle
barche con destinazione Italia.
Non é facile spiegarlo ma ci provo.
È innanzi tutto importante ricordare che il viaggio, non inizia sulle coste libiche ma ha
un antecedente di sofferenza forse tanto grande quanto la traversata del
Mediterraneo.
E non è un
“unicum”, ma è fatto di traversate del deserto, di soste di mesi, di ricerca di
fondi, di attese, di schiavitù, di rimpatri da un Paese africano all’altro, di
fallimenti e di ripartenze.
Se si guarda
il viaggio solo dalla prospettiva europea, ovvero, da quando delle barche
lasciano le acque territoriali libiche non potremo mai capire il senso e la
natura dello stesso.
Un posto su un
barcone costa 250 dollari e per chi porta quattro compagni di viaggio paganti,
il posto è gratis. Come per un’agenzia di viaggi. Le città della Libia nord
occidentale, da dove parte la quasi totalità delle imbarcazioni dirette verso
l’Italia, sono in mano a milizie che si arricchiscono (anche ma non solo) con
il traffico dei migranti.
Non esistono
vere cupole, non c’è un’unica mafia.
A Sabratha
(100 chilometri a ovest di Tripoli) ad esempio c’è una famiglia che comanda: i
Dabbashi. Tra loro ci sono miliziani filo-Isis, ex ministri, ambasciatori,
sindaci e trafficanti di uomini. Le loro relazioni toccano sia il governo di
Tripoli, sia i suoi oppositori: il loro potere è forte e radicato.
È frequente
il caso di ex miliziani che così arrivano a ricoprire ruoli politici
«ufficiali», con il beneplacito del governo.
Più a sud,
invece, non esiste alcuna autorità. I migranti così finiscono nelle reti delle
tribù beduine che li rivendono ad altri gruppi di miliziani. I soldi intascati
vengono poi reinvestiti per l’acquisto di armi. Nella zona di confine con Niger
e Ciad ci sono i Tebu, i Souleyman, i Tuareg.
Una volta
finiti nelle mani dei miliziani, per i migranti non vi sono più certezze sul
buon esito della loro traversata. Il riscatto di un migrante può costare anche
diverse migliaia di dollari, Chi non li ha, o non ha una famiglia alle spalle
che si impegna a pagare per Lui, è costretto a lavorare in condizioni di semi
schiavitù per i propri carcerieri.
A volte,
invece, i migranti vengono semplicemente abbandonati in centri di detenzione
senza legge e senza autorità. Il caos è tale che qualcuno vuole addirittura
tornare ad Agadez e abbandonare il viaggio verso l’Europa: il biglietto di
ritorno dalla Libia al Niger costa 150 dollari.
Il viaggio nel deserto è diventato per questo pericoloso almeno quanto
quello in mare. Ed è anche
il più costoso: la rotta più economica è quella da Khartoum (Sudan) a Kufra
(Libia sud occidentale)
Da Agadez,
in Niger, a Sebha, nel Fezzan libico, il prezzo arriva anche al doppio. Per gli
eritrei e gli etiopi, poi, entrare in Libia è diventato proibitivo, anche in
termini di economici.
Così i
trafficanti hanno aperto una nuova rotta verso l’Egitto.
Da lì ci si
imbarca per la Grecia o a volte fino all’Italia, al prezzo di circa 2 mila
euro.
Prendiamo
per esempio e per chiarire meglio il discorso, il caso di “Ahmed e di Ebrima”
Ahmed è
partito da Kisimayo, in Somalia, quando aveva 23 anni, nel 2015. Non aveva i
soldi per partire, ma ha deciso lo stesso di diventare «tahriib», migrante. La
parola in arabo significa «attività illegale».
Capita
spesso che prima di partire un migrante non abbia i 3 mila dollari per andare
dalla Somalia all’Italia. Così nelle grandi città di passaggio (Khartoum, Addis
Abeba, Tripoli) Ahmed ha dovuto lavorare per paghe da fame (20/30 dollari al
mese) per finanziarsi il viaggio.
Ha impiegato
quasi quattro anni per arrivare al Cara di Mineo.
Ebrima ha da
poco compiuto 18 anni. Viene dal Gambia e ora è in attesa del riscontro alla
sua domanda d’asilo, rigettata alla prima istanza.
Quando è
partito, più di due anni fa, il presidente Jammeh stava trasformando il Paese
in una delle dittature peggiori del continente. È sbarcato a Pozzallo nel
luglio 2018 dopo un viaggio costato oltre 3 mila dollari. Nella periferia di
Banjul aveva cominciato a lavorare come parrucchiere.
Quando ha
racimolato abbastanza soldi per partire, ha preso «la strada sul retro» («the
back way»), come i gambiani chiamano la rotta per l’Italia. La tappa più
importante è Agadez, in Niger, il cuore della rotta occidentale.
Qui arrivano
circa 3 mila migranti alla settimana, e altrettanti ne ripartono, a bordo di
4×4 stipate con almeno 25 passeggeri ciascuno o su camion, ammassati uno sopra
l’altro pur di partire..
Da lì si
prosegue per Tumu, il confine Niger-Libia, poi Sebha e da quel punto, si va
verso la costa. I circa 600 dollari raccolti da Ebrima sono stati sufficienti a
raggiungerla, ma per l’ultimo tratto ne servivano altri. Ha lavorato nei campi,
ha fatto il muratore (dodici ore di lavoro per 3 dollari al giorno) fino a
quando aveva in tasca i soldi per partire.
Questi sono
solo due esempi, ne potrei citare molti altri.
Persone che andavano a combattere per l’Isis,
Persone che hanno venduto un rene,
Persone che si sono prostituite sia in Libia che
in Italia,
Persone che vengono vendute dai trafficanti alla
malavita italiana,
Persone che vengono dirottate, al loro arrivo,
nei campi siciliani e/o pugliesi per ripagare il debito…..
Persone che continuano a pagare per molto tempo
dopo essere arrivati nel Paradiso Italiano.
Quindi, per concludere, dietro un viaggio di tre giorni che dalla Libia
porta in Italia, ce n’é un altro che dura mesi o anni.
C’é un
calvario fatto di sofferenza e schiavitù, di rinuncia a qualsiasi Diritto, di
umiliazioni, privazioni, di fuga dai Campi della violenza dove non esiste
nessuna Legge se non quella dei soldati aguzzini.
Chi non capisce questo, non può capire tutto il resto.
E a chi dice “in televisione sembrano tutti in ottima forma” non rispondo
nemmeno.
Non ne vale la pena.
Non ne vale la pena.
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