Meno consumismo più investimenti sulla persona: così potrebbe essere
sintetizzata la proposta del Ministro Fioramonti di tassare merendine e voli
aerei per finanziare la scuola. Una proposta che non ha solo valore
di strategia finanziaria ma di
visione della società. Una cura, che è al tempo stesso analisi dei
nostri mali e proclamazione della centralità della persona per porvi rimedio.
Voli e merendine simboleggiano due grandi
mali del nostro tempo: inquinamento e mala salute, che poi rivelano mancanza di
rispetto per la persona e per il creato, la lacuna di fondo da cui origina ogni
nostro problema. L’aspetto più preoccupante dei voli è rappresentato dalle emissioni
di gas a effetto serra. Solo in termini di anidride carbonica, il settore aereo
contribuisce al 2-3% delle emissioni globali, una cifra apparentemente piccola,
ma che corrisponde alle emissioni di un paese grande come la Germania. E
preoccupa la tendenza: fra il 2000 e il 2016 le emissioni del comparto aereo
sono cresciute del 57%, più di quanto non siano aumentate le emissioni
complessive globali che registrano un incremento del 39%. L’aereo è il mezzo di trasporto che in
termini assoluti emette più anidride carbonica a chilometro, ma l’incidenza a
passeggero dipende dal tasso di riempimento. A pieno carico, l’impatto a
persona è simile a quello di chi viaggia in auto, mentre non regge il confronto
con chi viaggia in autobus o in treno, specie se elettrico. Va anche detto che
le fasi di decollo e di atterraggio sono quelle a maggior assorbimento di
carburante, per cui la vera assurdità è la scelta dell’aereo per le brevi
distanze. Un intervento fiscale
con aliquote decrescenti al crescere dei chilometri potrebbe essere ciò che
serve per spingerci a fare un buon uso dell’aereo.
Le merendine e le bibite preoccupano per i loro
effetti sul peso. Dal 1980, in Europa il numero di persone sovrappeso è triplicato
raggiungendo cifre allarmanti. Un adulto su due pesa più del dovuto e molti di
loro hanno già raggiunto la condizione di obesi. In Italia, anno 2015, più di un terzo della popolazione adulta (35,3%)
risulta sovrappeso, mentre una persona su dieci è obesa (9,8%). L’eccesso
di peso e l’obesità favoriscono l’insorgere di numerose patologie fra cui
il diabete, l’infarto, l’ipertensione arteriosa, l’ictus cerebrale. Peggiorano
la qualità della vita e diminuiscono l’aspettativa di vita. In Europa più di un
milione di persone muore ogni anno per malattie correlate all’eccesso di peso. L’obesità incide sui bilanci sanitari
europei per circa il 7%.
Il sovrappeso insorge quando si ingeriscono più calorie di quante se ne
brucino e il dito è puntato non solo verso gli alimenti ricchi di grassi (oli,
burri, merendine e hamburger), ma anche le bevande. Da anni i dietologi
si sforzano di dirci che le aranciate, cole e simili non contengono solo acqua
e coloranti, ma anche zuccheri che alterano la dieta. La lattina media di una
bibita analcolica gassata non dietetica contiene 38 grammi (pari a 150 calorie)
di dolcificanti aggiunti. Oltre a favorire la carie, le bevande zuccherate
aumentano l’apporto calorico totale e non di rado sostituiscono alimenti più
sani. Per indurci a consumare in a maniera insalubre le imprese investono
miliardi di euro in pubblicità. E
la rivolgono soprattutto ai bambini che sono i più vulnerabili. Nei
soli Stati Uniti, secondo la Federal Trade Commission, le imprese alimentari
spendono oltre 2 miliardi di dollari all’anno in messaggi pubblicitari per
l’infanzia. E gli effetti si vedono: negli Usa il 18,5% dei bambini e degli
adolescenti è obeso. In Italia il problema non è altrettanto grave, ma pur
sempre preoccupante: i bambini sovrappeso rappresentano il 21,8%, quelli obesi
il 9,6%. Situazioni destinate ad influenzare anche la vita adulta:
secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità il 60% dei bambini in sovrappeso
o obesi prima della pubertà lo sarà anche in età adulta.
Dunque è urgente intervenire per ristabilire una
corretta alimentazione infantile e fra le varie misure assunte in molti
paesi vi è anche l’adozione di misure fiscali per scoraggiare il consumo
di prodotti ad alta quantità di zuccheri, grassi, sale. E’ successo in
Danimarca, Gran Bretagna, Francia, Portogallo, Finlandia, Ungheria, perfino in
Messico, tanto per citare alcuni casi. Le tasse, associate ad altre iniziative, possono contribuire al
miglioramento sanitario di adulti e bambini, facendo cambiare le abitudini
alimentari delle famiglie e le scelte produttive delle imprese. Nello
stesso tempo possono generare introiti importanti che i governi possono
spendere per migliorare la formazione dei bambini e metterli quindi in
condizione di tutelare la propria salute. Perché la conoscenza di sé, dei
propri bisogni, dei corretti stili di vita, è la prima condizione per
l’autotutela. Ma il modello
formativo della scuola dipende dalla visione che si ha della persona e della
società. Cosa vogliamo: una società di cittadini-clienti alla
totale mercé di imprese e professionisti o una società di cittadini ad alto
grado di sovranità non solo in ambito civile e politico, ma anche personale ed
economico? Personalmente propendo per la seconda opzione, per cui reputo
grave che la scuola non fornisca ai giovani gli strumenti di base
per l’autonomia personale. In una logica di consapevolezza e di saper fare, la
prima dimensione da saper curare è quella personale.
La scuola dovrebbe dedicare molto più tempo alle
conoscenze che servono per poter gestire in prima persona la propria vita. Non solo le
informazioni dietetiche e igieniche per sapere adottare stili di vita ed
alimentari più salubri, ma anche quelle sanitarie per sapere
leggere i segnali che il nostro organismo ci manda, l’educazione civica e
morale per sapere affrontare con rispetto il rapporto con gli altri, le
conoscenze psicologiche e pedagogiche per sapere svolgere con più
consapevolezza il ruolo di educatori che siamo chiamati a svolgere in qualità
di madri e di padri. E per completezza di autonomia dovrebbe arricchirci anche
delle abilità manuali che in nome della specializzazione abbiamo mandato in
soffitta. Mettendoci, però, in una condizione di dipendenza crescente. Sappiamo andare su internet, sappiamo
messaggiare con WhatsApp, ma non sappiamo più attaccare un bottone, né fare una
marmellata, né ripararci una bici. Men che mai sappiamo fare il
pane, coltivare un cesto di insalata, o fare il sapone. Tutte cose che un tempo
si sapevano fare, ma che oggi releghiamo ai musei.
Il tutto in nome di una modernità che ci impoverisce
per rendere un servizio ai mercanti che hanno bisogno di un popolo di ignoranti
per riempire gli ipermercati. E’ la società professionalizzata tanto
criticata da Ivan Illich. Quella stessa che ha prodotto il mito del Pil e
che fa della crescita il nostro obiettivo nell’inutile tentativo di ottenere un
posto di lavoro che ci procuri il denaro necessario a soddisfare ogni nostro
bisogno nelle forme e nei modi che altri hanno deciso. Questo modello di
società fa acqua però da tutte le parti, per cui dobbiamo ripensarlo se
vogliamo ritrovare l’equilibrio col creato, ridurre le disuguaglianze, mettere
tutti in condizione di vivere dignitosamente. Una nuova scuola che si finanzi
anche tassando il consumismo per preparare cittadini capaci di maggiore autonomia
e sovranità, può essere un passaggio significativo.
(Articolo pubblicato anche su L’Avvenire)
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