Le malattie da cattiva
televisione
Oliver Burkeman, su The
Guardian (in Italia su Internazionale), spara subito la questione che lascia
intuire la risposta. «Troppa cattiva televisione può portare al populismo?».
Domanda chiara con tante risposte possibili ancora in via di molteplici elaborazioni.
Ma se invece le risposte fossero semplici, butta lì Oliver? Burkeman sostiene
dunque che «una delle ragioni dell’ondata di populismo degli ultimi anni
-Trump, la Brexit, l’ascesa dell’estrema destra in Europa- sia legata al fatto
che gli elettori hanno visto troppa tv spazzatura. Televisione infima che gli
ha mandato in pappa il cervello». Vero anche il contrario, diciamo noi, che il
minor sapere induce al peggior vedere. Oliver Burkeman lancia il sasso ma poi
nasconde la mano, definendo ‘detestabile’ il gioco del pregiudizio secondo il
quale l’altra parte è sempre stupida. Detestabile forse, ma assolutamente
diffuso. Anche perché i dati che poi l’autore cita danno ragione al peggio.
‘Minori capacità
cognitive’
Qui virgolettiamo perché
l’affermazione è pesante. «Chi ha studiato la diffusione dei canali del gruppo
Mediaset in Italia ha scoperto che le persone che da bambine sono state più
esposte ai suoi cartoni, alle telenovele e ai quiz, hanno il dieci per cento di
probabilità in più di votare i partiti populisti, perché, a causa delle loro
minori capacità cognitive sono più inclini a credere ai
politici che propongono tesi semplicistiche». Accusa pasante che rinviamo alla
fonte, l’American Economic Review, con spunti da far sorridere. Mediaset che appartiene
a Silvio Berlusconi, affidata alla gestione del figlio, e i suoi programmi
orientati chiaramente a destra. «Ma ‘l’effetto Mediaset’ ha funzionato anche a
favore del suo rivale vagamente di sinistra, il Movimento 5 stelle di Beppe
Grillo: è stato il populismo, non il berlusconismo a essere incentivato».
Furono Dc, Craxi,
Berlusconi e Renzi
Il possesso proprietario
o politico delle televisioni in Italia ne segna la storia politica facendo
coincidere, più o meno, il post fascismo con l’avvento della televisione,
ovviamente a partire dagli anni Sessanta. Ma su questo ci sono libri ed autori
di ben maggior pregio e prestigio ad aver detto. Sulla scia di quanto sopra,
quando il possesso (più o meno legittimo) dello strumento Tv non sempre ne
garantisce un vantaggio finale. Berlusconi già citato, ma l’aspetto non
considerato dal colto britannico, il troppo che ‘stroppia’ all’italian, e
arriva ad irritare anche il pensiero critico forse un po’ ottenebrato ma ancora
esistente nella società civile e nei Partiti allora ancora esistenti. Più
emblematico il caso di Renzi premier che avendo scelto il referendum
costituzionale come sfida personale contro tutti, straripa televisivamente
forse come mai nessuno prima e si prende una bastonata di repulsione che va molto
oltre il dissenso politico. Più giramento di scatole che senso critico, che la
crisi di governo attuale ha evitato per un pelo all’onnipresente Salvini.
Torniamo alle
considerazioni colte
Forzatura il parallelo
tra chi ha guardato Mediaset e il voto per i partiti populisti? The Guardian
propone l’analisi della diffusione geografica della ricezione delle emittenti
durante gli anni ottanta, un ‘esperimento naturale’. I ragazzi delle zone in
cui era più difficile ricevere il segnale di Mediaset, la penisola, le
montagne, il mercato pubblicitario poco appetibile, sarebbero stati meno
influenzati. «Le persone che hanno passato più tempo a guardare i suoi
programmi (Rai innocente?) hanno finito per avere meno capacità cognitive e
meno senso civico, oltre a riportare risultati peggiori nelle prove di
matematica e di comprensione di un testo». Pure asini a scuola. Ma, precisa
Oliver Burkeman, «è importante capire che questo tipo di “intorpidimento” non
si verifica perché la cattiva televisione instupidisce le persone. È una
questione di opportunità: ogni ora passata a guardare un cartone spazzatura è
un’ora rubata alla lettura, all’esplorazione del mondo fisico o a vedere un
programma educativo». E su questo, pur con nessun titolo, Remocontro condivide
e rilancia. Lo stesso discorso per i videogame, i social (salvo sempre
Remocontro) e così via. «Non devono necessariamente essere spazzatura per
essere dannosi, basta che ci impediscano di fare qualcosa di meglio».
Peggio di Orwell in
piaceri futili
Il teorico dei media
Neil Postman sosteneva che a prevedere correttamente il nostro futuro fosse
stato ‘Il mondo nuovo di Aldous Huxley’ piuttosto che ‘1984’ di George Orwell.
Huxley prevedeva che a rovinarci sarebbe stata la nostra dipendenza da piaceri
futili piuttosto che la coercizione dello Stato. Lui, Oliver Burkeman, sostiene
che avevano ragione entrambi, dato che i piaceri futili «contribuiscono a fare
di noi il tipo di persone che preferiscono i leader autoritari». Volete un
elenco? Trump, Putin, Xi, lo straripante BoJo britannico e tutto quel bel pezzo
di Europa dell’est che non ha ancora superato l’eredità dei regimi precedenti.
In Italia? Beh, fate voi l’elenco, che è facile facile. E se proprio siete anti
tv spazzatura e pro libri di non solo intrattenimento, leggetevi il famoso
libro di Neil Postman ‘Divertirsi da morire’, la moderna economia
dell’attenzione che, lungi dal tenerci più informati, “ci allontana dalla
conoscenza”.
Nessun commento:
Posta un commento