sabato 14 settembre 2019

ricordando Armando Gnisci




Testi di Francesco Armato e Nicola Leo, Silvia Balossi, Livia Bazu, Silvia Camilotti, Flavia Caporuscio, Gabriella Cartago, Flavia Cartoni, Francesca Paola Casmiro Gallo, Matteo Chiavarone, Christiana De Caldas Brito, Sandro Di Domenico, Anna Fresu, Andrea Gazzoni, Carlo Giorgetti, Marta Gomes, Nicoletta Grieco, Anastasija Gjurcinova, Martina Ilari, Mia Lecomte, Norberto Lombardi, Maria Cristina Mauceri, Paola Mildonian, Ali Munim Ahad, Giovanna Pandolfelli, Johanna Peuch, Barbara Pumhösel, Antonella Rita Roscilli, Elena Rossi, Elisa Scaringi, Bozidar Stanisic, Raffaele Taddeo e Pap Khouma (El-Ghibli), Davide Tozzo, Laila Wadia, Yousef Wakkas

A metà luglio Armando Gnisci, amico, professore, maestro, è venuto a mancare, lasciandoci un vuoto. Per condividere ancora una volta la sua presenza tra noi abbiamo avuto l’idea di chiedere un suo ricordo. Ci siamo stupite di quanto numerosi e affettuosi siano stati i contributi che ci sono pervenuti, segno che Armando ha lasciato una traccia importante nella vita di molte/i. Ce ne eravamo già accorte al funerale quando in tante/i, commosse/i, hanno parlato di lui.
Siamo grate a Daniele Barbieri che ha subito offerto di ospitare questi ricordi nel suo blog.
Christiana & Cristina
***
Silvia Balossi
Ti ho conosciuto, Armando, grazie a tua figlia Valeria, nel 2009. Mi ricordo che mi hai chiesto di scrivere un articolo – da pubblicare sul sito online Kuma- sulla mia ‘poietica’, su perché io donna bianca d’origine italiana suonassi la kora, strumento tradizionalmente suonato dagli uomini nati nella famiglia dei cantastorie griot d’etnia Mandingo dell’Africa occidentale.
Questa domanda mi mise in crisi, poiché sia come ‘italiana’ che come ‘africana’, che come ‘musicista’ mi sentivo inadeguata.
Avevi colto nel segno, Armando, avevi visto bene, ancor prima che io vedessi la mia paura di essere me stessa.
Un vero Maestro. Grazie a una semplice domanda, m’hai fatto capire cose che non avrei capito se non me le avessi dette tu Armando.
Gentile, ironico, leggero, mi mettevi sempre a mio agio, invitandomi a suonare alle presentazioni dei tuoi libri; a tenere lezioni-concerto all’interno del tuo seminario creolo “gli Itagliani” all’Università e quindi ad essere sé stessi in ogni situazione.
Eh si! La vita è viva nella continua ricerca della propria identità, un faticoso e creativo processo di transculturazione: grazie agli incontri, grazie agli antenati natali, ma anche a quelli acquisiti nei viaggi della vita! Questa nuova consapevolezza ha generato anche in me leggerezza e vivacità.
La tua gentilezza è il motore che corrobora la gioia di compiere sforzi sempre vigorosi per adempiere l’urgente responsabilità oggi, di condividere i propri talenti e il proprio valore a beneficio della gente, della comunità. Grazie infinite Armando!
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Livia Bazu
Ecco i versi che avrei voluto leggere al funerale, ma poi un certo senso di pudore mi ha preso e non l’ho fatto:
La levatrice
Si sveglia all’alba,
anche di notte,
per far uscire l’anima dal nascondiglio
per attirarla
dall’abbraccio dell’invisibile
all’incertezza del mondo
[…]
il nuovo mondo
che davvero si scopre
la levatrice, anche maschio,
a volte
– In questi versi io avevo pensato a lui, non so se ci si era mai riconosciuto, non glielo avevo mai detto prima, ma vorrei ricordarlo con questi adesso, perché io penso che lui è stato proprio questo, levatrice, maieuta, non solo di pensiero, ma di percorsi di vita, di letteratura e di società,
***
Francesco Armato e Nicola Leo, allievi
In viaggio dentro i bar arabi con armando gnisci
armando gnisci ha accompagnato con vigore ed estro il periodo conclusivo della nostra formazione universitaria, tra il 2009 e il 2010. Fu lui a chiudere il cerchio, per così dire, del nostro percorso accademico (e del suo insegnamento alla Sapienza, fummo infatti gli ultimi suoi allievi), ma sparigliò le carte, annullando in noi ogni possibile ragionamento “geometrico”.
Ci donò in poco tempo quello che – inconsapevoli – stavamo cercando, lo strumento per tirarci fuori dallo stagno dell’università italiana, l’unico che poteva e intendeva trasmettere ai suoi allievi: un pensiero gentile, aperto al mondo, non allineato, non allineabile, inallineabile (a questa Italia).
Dopo la laurea, chiavi in mano partimmo, lasciammo Roma per tornare a casa, in Sicilia. Non un ripiego o una resa per due siciliani trapiantati da anni a Roma, ma una specie di nostos fuori dal tempo e in contro-tempo (tutta la nostra generazione, inesorabilmente, è fuggita via, viaggio sola andata sull’asse sud-nord), che lui appoggiò in modo incondizionato. Stavamo però elaborando un piano e lui lo sapeva.
Anche e soprattutto negli anni a seguire armando gnisci rappresentò un motore costante ed inesauribile di idee e di pensiero critico.
Accolse con entusiasmo il nostro invito e tra il 2011 e il 2012 tenne una rubrica dal nome palindromo sulle pagine virtuali del nostro periodico online, “il Palindromo. Storie al rovescio e di frontiera”, una palestra da cui prese forma nel 2013 la casa editrice “il Palindromo”: dunque ritagliammo per lui uno spazio chiamato I bar arabi. Amò subito questo nome e questo “luogo” e scrisse pagine bellissime, ricche di suggestioni, racconti, leggende, profumi, stroncature e invettive.
In quello spazio pubblicammo – su sua indicazione – il Manifesto transculturale o Transmantra come lo chiamava lui.
In attesa dell’uscita del suo primo articolo, chiedemmo a un amico pittore di realizzare un’immagine evocativa ispirata a “i bar arabi”.
Ancor prima dell’immagine ricevemmo dal professore questa email, come se fosse un quadro. Era il 10 luglio 2011:
L’idea de ibararabi è perfetta per me: un bar giardino con vista mare, Alessandria d’Egitto assolutamente, tre figure di amici bevono tè alla menta e limoncello ghiacciato nel cestello, ascoltano una cantante siriana (che non c’è, è un cd) che canta accarezzando una musica dolce e lenta: c’è dentro ghorba magrebina e saudade portoghese, mania e salute (saudade viene da saude=salute&saluto) e non solo nostalgia con aggravante malinconia scura e obliqua, ibararabi devono dare ogni volta una impressione-traduzione di delizia semplice e di salute temperata mediterranea, lontana dal calore spaventoso della penisola arabica, e dal segreto dell’oceano secco del Sahara, che preme sulla sabbia del mare però, spalla a spalla ormai, in fondo, al filo dell’orizzonte deve esserci il blu dell’aria-area-aerea del mare Mediterraneo, che viene un po’ dentro alla visione del bar, e non è solo filo di fondo.
Per settembre, quando saranno pronti i bozzetti del pittore decidiamo in fretta, per arrivare in tempo al primo appuntamento a ibararabi di Alessandria.
(e di bari, dove c’è un bararabo, ma è segreto, per arrivarci bisogna entrare nel varco di una buca del porto, ma nessuno ha mai raccontato quale buca è e come si riconosce e come è ilbararabodibari, chi ci va e come sono i gelati e che birra vendono e se c’è anche una cantante siriana e un bambino che serve ai tavoli, ma che forse è un nano di Marsiglia che fa la voce da bambino e canta la marsigliese ecc. di questo bar di bari praticamente non si sa quasi niente, se non cazzate e balle che raccontano, a volta, i leccesi).
Scriverò un testo di presentazione de ibararabi.
Scrisse quel testo di presentazione e molti altri nei mesi a seguire.
Tra il 2012 e il 2013 ha accompagnato, guidato e sostenuto me (Francesco) nella curatela del libro dedicato a una grande esperienza transculturale: La compagnia delle poete.
Nel novembre del 2014, insieme a Mia Lecomte e altre “poete”, venne a Palermo su invito dell’indimenticato Prof. Giovanni Saverio Santangelo per un seminario dedicato alla Compagnia, con tanto di messinscena.
Apprezzò le prime pubblicazioni del Palindromo e non mancava mai di domandare informazioni sull’andamento di questa nuova avventura.
Da armando gnisci abbiamo imparato la formula per guardare il mondo con occhi palindromi: se si desidera una visione completa e onesta della realtà non basterà mai il nostro sguardo, è ineludibile anche assumere il punto di vista di chi ci sta di fronte, venendoci incontro.
Per questo ci piace salutarlo restituendo una visione obliqua che ci donò lui tempo fa. Erano le prime impressioni sull’immagine che avrebbe accompagnato la sua rubrica, I bar arabi:
Bellissima, un mare pregno o un fiume allegro e senza argini né pietraie; come diceva lo zio Bertoldo (Brecht): «Tutti vedono la violenza del fiume in piena, nessuno vede la violenza degli argini che lo costringono».
Adieu donc.
Fran e Nicola
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Silvia Camilotti
Costruire ponti, abbattere muri
Come molti, anche il mio debito nei confronti del prof. Gnisci è tanto grande. Ricordo come fosse ieri quando, studentessa universitaria, andai al convegno – ancora oggi un punto fermo per chi si occupa di scritture delle migrazioni in Italia – organizzato dal Cies di Ferrara e da un validissimo manipolo di insegnanti: lì il prof. Gnisci mi presentò la scrittrice che poi sarebbe stata al centro dei miei studi negli anni successivi e a cui ancora oggi resto umanamente legata: Christiana de Caldas Brito.
Tale aneddoto racconta, a mio parere, molto di quello che Gnisci ha fatto per i tanti di noi che si accingevano a indagare quella letteratura che timidamente negli anni Novanta stava fiorendo in Italia. Per me Gnisci è stato un anello di congiungimento, un ponte con molti di questi scrittori e scrittrici, oltre che un mentore: non ho mai avuto la possibilità di seguire i suoi corsi, visto che il mio percorso di studi si è sviluppato tra Venezia e Bologna, ma non posso non considerarlo un punto di riferimento imprescindibile, cui inviavo le mie tesi e i miei primi scritti e al quale mi rivolgevo per chiedere pareri, consigli, suggerimenti, che non sono mai mancati di arrivare.
E dunque non si tratta solo di riconoscere il sapere e lo sguardo lungo, lunghissimo, di quest’uomo, ma anche la disponibilità e la generosità, nient’affatto scontate verso gli studenti, soprattutto quelli come me, distanti. Un uomo che sì, sarà anche stato isolato da molti dei suoi pari accademici, ma che era in grado di circondarsi di studenti e scrittori che non a caso si ritrovano, a distanza di tanti anni, per ricordarlo in una forma a lui tanto cara, quella della scrittura.
Mi piace insistere sull’immagine del ponte, soprattutto in un periodo come il presente, e mi viene in mente un piccolo libro, per bambini, pubblicato da una casa editrice cara a Gnisci, che vedeva lontano come era in grado di vedere lui: la romana Sinnos che con le sue pubblicazioni già negli anni Novanta dimostrava una attenzione e una sensibilità rare verso le scritture degli immigrati e delle immigrate in Italia e la valorizzazione delle loro lingue madri.
E anche se il piccolo libro che ho in mente, Eugenia l’ingegnosa di Anne Wilsdorf, non c’entra a un primo sguardo nulla con questa storia, è attraverso quella bambina protagonista che coltiva le sue ambizioni senza demordere o farsi scoraggiare e che costruisce ponti per raggiungere l’isola di Nonsodove, che voglio porgere il mio saluto.
Buon viaggio, sui ponti, verso l’isola di Nonsodove, professore.
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Flavia Caporuscio
Oggetto: Il nostro scialle
Se precisaron todas esas cosas
para que nuestras manos se encontraran.
Jorge Luis Borges, Las Causas
Caro prof.,
mi hanno chiesto di scrivere un ricordo di Armando Gnisci ma in questi quasi vent’anni abbiamo condiviso talmente tanta parte delle nostre umane strade che mi è difficile operare un atto memoriale… E invece che ricordare il passato trascorso insieme voglio trovare un «altrove e altrimenti» per le nostre conversazioni che sono iniziate quando a lezione quei versi – «Lentamente muore / […] chi non parla a chi non conosce» – mi hanno impedito di esitare ancora a scriverle… Era il 2002.
Ora ci separa l’ultima linea delle cose, ma al di là delle cose continueremo a parlarci in modi inaspettati, come attraverso quell’ultima indicazione di lettura: Melania Mazzucco, Io sono con te. L’epigrafe recita i versetti di Isaia, 41.10: «Tu, non temere, perché io sono con te». Era un messaggio per me – quello che stavo aspettando – dal mio maestro d’aurora. E so per certo che è cosi perché in una delle nostre ultime conversazioni mi ha scritto proprio «io sono a fianco a te»… Andremo quindi incontro insieme al futuro che ci viene incontro perché i maestri attraversano a loro piacimento – avanti e indietro – quell’ultima linea delle cose e continuano a vivere negli allievi che hanno tenuto per mano lungo la via… Da quel nostro primo incontro non ho più lasciato quella mano e ora la terrò ancora più stretta e tradurremo insieme il mondo avvenire «senza pensieri conclusivi».
Rimango in attesa di una sua risposta che so non tarderà, anche se non sarà il consueto «Carafla» della mail mattutina alla quale «ao» mi ha abituata.
Sempre vale,
fla
***
Gabriella Cartago
per Armando Gnisci
quando la letteratura di stranieri in italiano avrà un suo Vladimir Nabokov o un suo V. S. Naipaul, allora il pensiero correrà ancora una volta a Armando Gnisci, perché senza di lui tutto sarebbe stato meno possibile.
***
Flavia Cartoni
per Armando Gnisci
Se siamo qui a ricordare la persona di Armando Gnisci lo dobbiamo certamente alla sua personalità, al suo carattere, alla sua formazione e allo spessore della sua capacità docente, formativa, didattica e umana. Devo al prof. Gnisci, ad Armando, una più completa conoscenza del mondo delle sue letterature comparate, del suo svolgere gli studi di letteratura comparata ed apprezzo il suo modo semplice di avvicinarsi agli altri.
Per diversi anni ho svolto mansioni di referente dei programmi Erasmus con il resto dei paesi – e non solo con l’Italia – ciò che mi ha permesso di organizzare, tra l’altro, incontri e dibattiti anche sulle culture e letterature comparate. Ho avuto il piacere di poter ospitare Armando presso l’Universidad de Castilla – La Mancha e di far partecipare gli studenti alle sue conferenze e lezioni. Per noi è stata un’esperienza ricca e generosa, in quanto a qualità, tempo e disponibilità di Armando; ma anche per il prof. Gnisci è stata una bella esperienza di riavvicinamento al mondo spagnolo, alla sua geografia e alla cultura del paese. Nel corso del suo soggiorno Armando riuscì a visitare altre città, tra le quali Toledo, che da anni desiderava rivedere.
L’impronta che il prof. Gnisci ha lasciato, dopo la sua visita, ho potuto riscontrarla nella curiosità che gli studenti hanno dimostrato nei confronti del docente e dei suoi scritti. Poter avvicinare ai giovani universitari il risultato dei suoi studi e delle sue ricerche, attraverso letture dei saggi, spiegazioni, immagini e altro- ha arricchito tutti noi, sia docenti che discenti, in quella sorta di vasi comunicanti – altrimenti conosciuta come empatia culturale –che si instaura sia nell’aula sia fuori.
Le esperienze che arricchiscono si ricordano sempre e permangono vive.
***
Francesca Paola Casmiro Gallo
“Professore, secondo lei, sono peruviana o italiana?” domandai con le guance
color conserva di pomodoro. I suoi occhi brillarono: “Sei peruliana!” mi rispose.
“Però, se dici che sei peruliana, sembra che sei la figlia di un pero!” aggiunse.
Ridemmo insieme. Questo è un ricordo che conservo di Armando Gnisci. Egli
fu il primo accademico in Italia a posare lo sguardo sul corpo calibanesco della
differenza. Calibano è il migrante, il mostruoso, l’altro. Armando si fece piccolo
per poter accompagnare e valorizzare il fiorire della letteratura dei mondi che
attualmente si esprime in lingua italiana.
Ora il professore è in Chiapas, con le famiglie indigene più umili: sotto
braccio a Don Durito della Selva Lacandona, lo scarabeo intellettuale nato dalla
penna del Subcomandante Marcos negli anni di guerriglia, discute su questioni
sociali incombenti mentre sgranocchia delle rondelle di polenta gialla croccante:
le tortillas. Armando percorre i limiti sabbiosi della Puglia: dal suo paese natale,
Martina Franca, arriva fino alle piantagioni dei migranti africani che raccolgono
i pomodori e accanto a loro sciopera per i diritti dei lavoratori. La sera, con la
brezza, il professore si siede insieme agli abitanti dei piccoli paesi della
Calabria, ascolta i racconti degli anziani e prende in braccio i nuovi italiani, i
bambini che hanno attraversato il Mar Mediterraneo e cantano canzoni
rigogliose di lingue: l’italiano e lo swahili accompagnano ora le lingue locali
della terra Italia. Quelle mani piccole ci salvano dall’amaro, loro sono la
crianza: i frutti preziosi dell’albero.
***
Matteo Chiavarone
­ Una spennellata di blu
«Buongiorno, professore»
Con Armando Gnisci, nonostante ci conoscessimo ormai da molti anni, ci davamo del Lei. Ci incontravamo da Giolitti, al laghetto dell’Eur. Lui veniva in macchina e usciva dall’abitacolo quando mi vedeva arrivare, a piedi dalla Metro, sempre in ritardo. Non mi rimproverava mai, però, per le sue attese, più che altro perché voleva iniziare a parlare dei libri che voleva propormi. Ci aveva presentato un amico comune, il poeta Gëzim Hajdari, e il “Professore” (non ho mai capito se amasse o no quest’appellativo) aveva visto in me qualcosa di cui ancora oggi non mi sento davvero all’altezza.
«Voglio affidarti una collana, la mia collana. Si deve chiamare “Transculturazione”».
Mi riempì di parole, nomi, volumi che sarebbero dovuti uscire in un arco di tempo indefinito. Io non potevo offrire niente, se non la mia inesperienza di editore appena nato, che si sarebbe declinata però in entusiasmo. «Inizieremo con un mio testo; lì c’è tutto il “pensare con il mondo” che voglio emerga da questi libri».
Solo una volta parlai più io di lui; fu quando gli proposi la grafica della collana.
Da poco, infatti, con Gëzim avevamo buttato giù le mastro di “Erranze”, la collana di poesia da lui diretta: l’essenzialità di scritte rosse e nere su uno sfondo color ocra. L’idea era, per quella di Gnisci, di creare un gioco di rimando tra le due collane.
«Professore, l’ho immaginata blu. Una spennellata di blu». Credo che dissi proprio così: “spennellata”. O forse dissi “spruzzata”, non ricordo. In realtà mi ero preparato un discorso diverso: il blu del Mediterraneo che divide l’Europa dall’Africa, il blu del cielo che è sempre blu in ogni parte di mondo, il blu che è profondità e stratificazione.
Non dissi niente però di tutto questo.
Tirai fuori fogli, fogliacci, stampe. «Questa sarà la carta, avoriata e leggera; queste le dimensioni, classiche ma non identiche a tutto quello che si vede in giro; questi i caratteri di interni e copertina».
Gnisci mi guardava sorridendo e acconsentiva con la testa e con gli occhi. Chissà se non gli interessavano gli argomenti o semplicemente apprezzasse le mie idee.
Più probabilmente voleva soltanto parlare della sua Via e dei libri che sarebbero arrivati.
Da quell’idea di collana sarebbero nati vari volumi, l’ultimo dei quali, Pensiero caraibico – con saggi di quattro autori come il premio Nobel Derek Walcott, Kamau Brathwaite, Alejo Carpentier ed Édouard Glissant – uscito nel 2016 con la curatela di Andrea Gazzoni, che ne è stato al tempo stesso testamento e passaggio di testimone.
Erano più di due anni che non ci sentivamo, io e Armando, e ho saputo della sua morte, come succede troppo spesso in questo nostro tempo, soltanto dalla rete. Mi dispiace non averlo salutato per l’ultima volta. Ma se riuscissimo davvero, come spero, ad andare avanti con le pubblicazioni e con la nostra “spennellata di blu” (come auspicato con Andrea e Gëzim, dopo che ci siamo sentiti nei giorni successivi il funerale), sarebbe il miglior modo di ringraziare Armando per tutto quanto: per averci insegnato a “guardare” il mondo, per il lavoro svolto assieme e per la stima e l’amicizia ricevuta.
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Christiana de Caldas Brito
Ho cominciato a scrivere in Italia grazie a te, Armando. Facevi parte dei giurati che avevano dato al mio testo Ana de Jesus, il secondo premio di narrativa. Era il 1995, l’anno del primo concorso letterario Eks&Tra-Fara Editore per scrittori migranti. Finito il concorso, mi hai chiesto di vedere altri racconti miei. Il tuo progetto era creare una collana scritta da migranti. Uno dei libri avrebbe avuto solo donne come protagoniste. La tua idea mi trasformò in una scrittrice italiana con Amanda Olinda Azzurra e le altre.
Ho imparato molto da te, genuino maestro e amico. Il tuo delicato editing privilegiava la creatività senza trascurare la sintassi. Con la tua guida, ho osato persino tradurre in italiano un racconto di João Guimarães Rosa, autore brasiliano che molto ammiro e che ha creato una lingua tutta sua.
Vorrei che un mio pensiero affettuoso arrivasse anche a Laura, la donna che ha accompagnato i tuoi giorni, dai più facili ai più difficili, fino al momento presente. Come una musica soave, Laura ha alleggerito la tua sofferenza.
Armando, penetrando nel mistero della morte, hai iniziato la tua Migrazione Finale.
Chissà se nella tua nuova vita non starai già a organizzare seminari sugli “itagliani”, l’interculturalità e il translinguismo.
Qui, nel mondo in cui ti abbiamo conosciuto, continueremo a lavorare con te.
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Sandro Di Domenico
Il mio umile ricordo
Ci ha lasciati ieri, 17 giugno 2019, AO.
Si firmava così nelle email agli studenti Armando Gnisci.
Una trentina abbondante dei suoi 73 anni li aveva trascorsi in una università che non amava più. “Luogo malato e inadeguato” scrisse a mo’ di epitaffio dopo essersi dimesso dalla cattedra nel 2010.
Quando l’ho frequentata io nel corridoio a sinistra c’era lui, in quello a destra Asor Rosa e più in fondo De Mauro.
Aspettando fuori dalla sua stanza ho conosciuto le persone migliori del mondo e attraverso i suoi occhiali tondi molti di noi, per molti anni, hanno imparato a capirlo meglio, il mondo.
La prima email che gli ho inviato è datata 2006 ed era un gioco di acronimi sull’identità dell’Europa che ci aveva “assegnato”.
Ao non assegnava. A dir la verità, sfidava il ragionamento.
E il fatto che andandosene da Lettere abbia scritto agli studenti “per anni ho sentito voi come i miei veri colleghi” non è piaggeria, oserei dire che fosse la quotidiana realtà.
Ingenui, superficiali e ignoranti, ma sullo stesso piano.
Ci ha fatto conoscere altri scrittori e altri poeti, Igiaba Scego, Amara Lakhous, un altro cinema, come quello di Agostino Ferrente che è appena tornato in sala con Selfie.
Il fatto che tanti amici hanno tirato fuori libri interi dalle sue lezioni, e io ne ritrovi una paginetta, aumenta la vergogna.
A parziale risarcimento ricordo come se fosse ieri le ore trascorse a ragiornare sullo “中国” e pubblico qui per tutti gli elettori di Matteo Salvini il suo “Manifesto Transculturale”:
http://www.patrialetteratura.com/il-manifesto-transcultura…/
Arrivederci prof.
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Anna Fresu
Il nostro primo incontro con il Professor Gnisci risale al 1997. Con un gruppo di amici che amavano l’Africa cercavamo il modo di far conoscere questo continente attraverso le sue letterature. Fu così che nacque Scritti d’Africa. Oltre alla vasta letteratura proveniente da vari paesi africani, scritta nelle diverse lingue della colonizzazione e ancora scarsamente tradotta in italiano, ci premeva farne conoscere e promuoverne la traduzione e la divulgazione presso gli editori e un pubblico più vasto di lettori.
Oltre ai libri e agli autori africani c’era un’altra letteratura, espressione dell’Africa che cominciava a muoversi, a migrare, in quegli anni e che voleva farsi conoscere, mostrare le proprie origini, condividere il suo sguardo sul nostro paese e raccontarsi, raccontare la propria storia nella nostra lingua. Fu così che incontrammo Armando Gnisci e con lui scrittori come Amara Lakhous e Jorge Canifa Alves, scrittrici come Cristina Ali Farah e Ribka Sibhatu, e altri autori e autrici che in quegli anni davano i primi passi.
Armando Gnisci si occupava da tempo di questi autori, di questa letteratura nascente, figlia delle migrazioni, attraverso la sua cattedra di Letteratura Comparata, e lo faceva con insolita passione e veemenza, privo di freddezza cattedratica, prendendo i giovani autori e le giovani autrici sotto la sua ala protettrice, cosciente del cambiamento epocale in corso, convinto della necessità di promuoverlo, di accettare e assumere il non facile processo di creolizzazione come individui e come società.
Armando Gnisci ci ha lasciato, in questo momento travagliato della nostra storia, in cui la sua voce era oggi più che mai necessaria. A noi che abbiamo saputo ascoltarla resta il suo esempio, restano i suoi libri e saggi che continueremo a studiare e sui quali è ancora utile riflettere.
Resta il suo ricordo di uomo, di studioso integro e appassionato e il suo lascito.
Grazie di tutto, Professor Gnisci.
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Andrea Gazzoni
C’è una citazione da Lucrezio che ritorna in quasi tutti gli scritti di Armando Gnisci che io abbia letto, uno di quelli che lui chiamava segnavia: “Ita res accendent lumina rebus” (De rerum natura, I.1117). La traduzione che lui ne forniva al lettore poteva variare lievemente di volta in volta, e ho notato solo ora che in un breve saggio del 2013 la traduceva così: “così le cose accenderanno sempre le luci alle cose”. L’avverbio non si trova nell’originale di Lucrezio; l’ha aggiunto Armando, come se nell’offrire il segnavia ai lettori avesse voluto intensificare il futuro del verbo, andando in cerca di una durata che non è data al nostro passaggio individuale nel mondo ma che è forse possibile nella relazione, nell’infinita rete di relazioni che al mondo ci lega. Desideriamo durare oltre noi stessi. Non come il monumento ma come le luci che si scambiano luce. Solo ora il segnavia di Lucrezio mi appare anche come il sigillo della nostra dignità di esseri mortali nel Tutto-Mondo (concetto del caraibico Édouard Glissant, maestro che Armando con intuizione esatta definì Lucrezio del nostro secolo).
Di là da velo di tristezza che la notizia della morte di Armando ci lascia, un senso di serenità luminosa permane. Un’eredità viva.
L’ho incontrato solo una volta e brevemente, a Roma nel 2013, per discutere il lavoro in corso sul libro Pensiero caraibico. Nella mia memoria Armando è interlocutore e compagno di strada; prima con lettura dei suoi libri e poi, nell’arco di tempo che va dal mio libro su Gëzim Hajdari a Pensiero caraibico, con un dialogo via e-mail importante e sempre illuminante, anche nelle divergenze. Mi ha sempre colpito il suo slancio, che si traduceva in una generosità rara. Chi, nel modo del lavoro culturale dell’Italia di oggi, avrebbe sostenuto da complice e direttore di collana due progetti di libri di un tale (io) mai incontrato e mai avuto come allievo?
Coincidenze della vita: due settimane fa se n’è andato in un attimo mio padre per un infarto. Adesso tocca salutare un altro antenato, di quelli che s’incontrano strada facendo. Adesso tocca raccogliere quel che resta del passato e farne buon uso. Ogni morte, se per noi conta, dà nuovi compiti.
Smemorati in buona o cattiva fede, pare che i gazzettieri non se ne siano ricordati. Forse poco importa. Li chiamava così, citando il Leopardi più ironico: “viva rifulse / agli occhi miei la giornaliera luce / delle gazzette” (Palinodia al Marchese Gino Capponi, 18-20).
Invisibile alla falsa luce della gazzette ma presente alla luce delle cose che s’accendono reciprocamente, Armando Gnisci lascia un compito ben inciso nella nota biografica del suo penultimo libro: “Via della Transculturazione e della Gentilezza è il primo libro della sua vita nuova di intellettuale in via di liberazione e mutazione”. Il sapere ci serve per liberarci e mutare, noi con il mondo, nella cura di noi e del mondo.
Dallo stesso libro prendo e unisco altre due espressioni: tracce metodiche di una poetica vitale. Che ci tornino utili, nel peggioremigliore dei mondi possibili
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Carlo Giorgetti
(membro della giuria letteraria del Premio Prato Città Aperta)
Il “giovane” Premio Prato Città Aperta (https://premioletterariopratocittaperta.weebly.com/, presidente il dottor Andrea Genovali e organizzato dall’ “Associazione 6 Settembre” di Figline di Prato), alla sua quarta edizione (2019), ha deciso all’unanimità e con grande gioia di consegnare al professor Armando Gnisci una targa di “riconoscimento per l’alto valore scientifico e culturale della ricerca nel campo della transculturazione e della letteratura migrante mondiale in lingua italiana”. Purtroppo, il caro professore, non stando già più bene, non è potuto intervenire di persona , quale “ospite d’onore”, ma ha inviato un discorso di ringraziamento commoventemente letto dalla scrittrice e studiosa dottoressa Elena Rossi. Pertanto, si è trattato dell’ultimo riconoscimento ufficiale ricevuto in vita dal compianto professore. Una figura, quella di Armando Gnisci, che continuerà a riverberare i suoi frutti anche nelle future edizioni del Premio (quest’anno, tra l’altro, ha vinto per la Sezione Letteratura l’ottimo scrittore togolese Kossi Komla-Ebri, che in passato ha più volte intrecciato il suo percorso culturale con lo stesso Gnisci). Infatti, cercheremo di onorare al meglio il ricordo del nostro grande comparatista con l’istituzione di una sezione a lui dedicata all’interno del nostro premio giornalistico-letterario dedicato alla cultura migrante in Italia. Mi preme ringraziare tanto la professoressa Maria Cristina Mauceri, storica collaboratrice del professor Gnisci in molti suoi progetti, che con tanta dedizione, competenza e umiltà ha permesso a noi tutti, soprattutto in questi ultimi difficili mesi, di continuare a relazionarci con lui e di contribuire a portare a compimento quei proponimenti culturali, e tra di essi il nostro, ai quali tanto teneva.
***
Marta Gomes
Cararmando ti scrivo. E solo per ringraziarti di due cose: per primo grazie delle parole, quelle scritte e quelle dette, con cui sei entrato nella mia formazione italiana, accademica, letteraria, postcoloniale ed anche umana. Alcune sono presenti, dal dicembre 1999, nella mia Tesi di Laurea, in compagnia di altre di Luciana Stegagno Picchio, Giorgio Cardona, Ida Magli e Roberto Antonelli, tutti professori che, come te, mi hanno aiutata a tradurre in lingua del nuovo mondo questa vecchia penisola italiana e quest’eterna città romana la quale, in un bellissimo saggio che non sono più riuscita a trovare, hai definito “un sistema di rovine”.
Nel comparare le letterature sei andato oltre: le tue parole hanno studiato e creato una ‘parola’ nuova, una ‘parola’ rivoluzionaria e totale: “La mondanità della letteratura, è il carattere definitorio che essa sembra assumere oggi nel tempo della ricezione e della comunicazione totale e planetaria. La letteratura diventa definibile: come totalità, un tesoro da mettere a frutto oltre che da studiare e tramandare, come forza che modifica e non solo come oggetto di piacere e di analisi, come parola che dice”. (Gnisci, 1986:120).
Il nostro stare nel mondo, animali umani responsabili delle sorti di tutte le altre vite , animali e vegetali, esistenti nella nostra Terra è da molto, o forse da sempre uno starci prepotente, maiuscolo, perciò il secondo ringraziamento riguarda proprio le lettere minuscole con cui intestavi e firmavi le tue mail. Anche loro, le minuscole, mi hanno fatto molto riflettere sulla continua storia di grandezza e piccolezza delle parole e delle azioni di noi essere umani: verso gli altri, i diversi, gli “inferiori” a noi, animali o umani che siano.
Grande è l’inquietudine, che Fernando Pessoa non ha fatto che svelare a noi portoghesi parlanti, che accompagna l’umanità nei secoli. Sensazione che continua a propagarsi nelle culture e nelle arti, e a sedimentarsi nelle storie dei popoli e delle nazioni. Grande è l’animo dell’ uomo che, nonostante tutto, nonostante il perenne dubbio, costruisce, scrive, parole pensieri ed azioni semplici, fatti di umana anima e bellezza.
Per questo ti scrivo, armando, solo per dirti grazie.
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Nicoletta Grieco
È stato il primo corso che ho frequentato quello con Lei. La Fascia propedeutica, alla Facoltà di Lettere della Sapienza, nel 1982.
È così, dal primo giorno, ho deciso che quella sarebbe stata la mia materia.
Anni di frequenza, solo con Lei e pochi altri, a causa del lavoro.
Gli esami, belli, perché in realtà si stava seduti a parlare di Letteratura, senza schemi, passando da un autore a un altro, nei vari continenti.
La tesi, su Julio Cortázar e Italo Calvino.
Arrivavo la mattina alle 8,30 in facoltà, in pieno luglio, con in mano i fogli battuti a macchina della tesi; i corridoi erano deserti ma Lei c’era sempre. E ogni settimana mi correggeva, fino alla virgola, capitolo per capitolo.
Poi dopo la Laurea la borsa di studio all’estero e le sue lettere di presentazione.
Tornai da Cuba provata per motivi di salute ma le avevo comprato, su una bancherella dell’usato dell’Avana, un libro in francese che si intitolava La Letteratura Comparata.
Poi negli anni le inviai cartoline, dalla mia amata Argentina e, un’ultima volta, la rividi ad una rassgna cinematografica che avevo organizzato con la mia associazione su un regista cubano.
Era il 1996. E Lei, non so perché, mi faceva ancora soggezione. Quella soggezione che nella vita ho provato solo poche volte per le persone che suscitavano in me una profonda stima.
Non ho più avuto Sue notizie, né sapevo che fosse malato.
Ma la letteratura avrà qualcosa in meno senza di Lei.
Faccio un altro lavoro oggi, che ha che fare con l’Internazionale, ma la letteratura è ancora un grande amore.
E scrivo, leggo in diverse lingue, e studio.
Grazie a Lei e a quello che mi ha insegnato.
Ciao Professore
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Anastasija Gjurcinova
Ricordando Armando Gnisci
Ho conosciuto Armando nel 1995, quando mi è stato indicato quale figura più interessante della comparatistica italiana. L’ho chiamato e il giorno dopo mi ha ricevuto nel suo ufficio, mi ha fatto conoscere altri colleghi e amici. Mi ha subito offerto di collaborare, dando così inizio alla lunga storia delle nostre relazioni professionali, nell’ambito dei quali ci siamo letti, visitati e tradotti reciprocamente.
Mi hanno colpito in particolare la sua attenzione e la sua curiosità per le altre culture. Nessun italiano aveva mai dimostrato una tale disponibilità ad ascoltare l’altro. Da buon comparatista aveva intuito le future preoccupazioni della nostra disciplina: la decolonizzazione europea, l’interculturalità e la transculturalità, le scritture migranti, gli studi sulla traduzione.
Ci si incontrava per i convegni comparatistici in Italia e all’estero, prima del suo definitivo allontanamento dal mondo accademico. È stato lui a coinvolgermi in quella, che per me è stata forse la più affascinante esperienza intellettuale, nel campus interculturale dell’estate 2000, quando per tre settimane abbiamo girato insieme, e con tante altre persone, le città e le province della Toscana, discutendo la letteratura/le letterature del mondo.
Veniva volentieri nel mio paese, nella Macedonia (ora Macedonia del Nord): due volte al festival di poesia, sul Lago di Ohrid, e due volte a Skopje. Gli piaceva incontrare i colleghi e gli studenti universitari, scambiare i saperi, e presentare i suoi libri. Con le mie collaboratrici del Dipartimento d’italiano abbiamo tradotto decine dei suoi saggi nella nostra lingua.
Due volumi di Armando sono stati pubblicati dagli editori macedoni: l’ormai classico “Letteratura comparata” e l’importantissimo “Creolizzare l’Europa”. Ormai alcune generazioni dei nostri studenti di comparatistica stanno usando questi libri come manuali, come testi di base per i loro esami, e come fonti indispensabili per le loro tesine, o per le tesi di laurea.
Perché Armando è stato prima di tutto un maestro, di quelli di una volta, un insegnante che tramite la letteratura diffondeva importantissime lezioni di vita…
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Martina Ilari
C’eri. Ci sei sempre stato. C’era quel modo aritmico di camminare nei corridoi del dipartimento, i poster sollevati dalla corrente, i fogli sparsi della scrivania, le frasi, i colori.
Eri diverso, unico, e le tue parole lo dimostravano e la tua solitudine accademica lo dimostrava.
Hai trascinato occhi e menti nelle tue convinzioni, con l’onestà e l’umiltà dell’intellettuale appassionato mai superbo, mai distante.
È stato bellissimo toccare le sponde di qualche porto, poi allontanarsi verso nuovi approdi e tornare stringendo nelle mani uno scrigno di suggestioni, di universi possibili. Sentire quanto sia prezioso cercarsi e cercare il mondo dentro e attraverso gli altri. Quanto sia indimenticabile l’imprevedibilità.
Ognuno di noialtri che è passato attraverso di te, vedrà ancora e sempre le sagome dei tuoi pensieri tenaci, entusiasti, ognuno di noi ripenserà alla densità umana, ancor prima che intellettuale, di ogni minuto trascorso insieme. Senza poter fare a meno di sorridere, senza poter fare a meno di raccontare a chiunque altro non abbia avuto la fortuna di percepire tanta ricchezza, di averla sentita in forma pura, la ricchezza.
Torno cento volte a riconoscermi in quei pensieri e i miei occhi guardano lontano… “oltrepassiamo i limiti, le frontiere, le soglie, andiamo oltre i segni, verso l’oltre, ascoltiamo cose diverse da quelle che diciamo noi”.
Vorrei poterti dire che sarà possibile, vorrei poterti dire che riusciremo a rinascere – noi umanità – che ci ri-educheremo davvero, come hai auspicato tutta una vita.
Vorrei dirti che noialtri non smetteremo di lottare, che saremo caparbi, vivi, appassionati, che non accetteremo.
Tu aspettaci, gentile e indulgente, in mezzo alla via. Noi proteggeremo, con tutte le nostre forze, questo viaggio meraviglioso che ci hai costruito dentro. Ciao armando.
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Mia Lecomte
La stanza sbagliata: un ricordo di Armando Gnisci
Una mattina di molti anni fa, mentre in un’aula della Sapienza festeggiavamo con Armando Gnisci e i suoi numerosissimi studenti la nascita della Compagnia delle poete, una nota docente di quell’Ateneo si affacciò chiedendo che lezione si stesse svolgendo. “Sono finita nella stanza sbagliata”, si scusò richiudendo frettolosamente la porta. “La stanza sbagliata”, infatti, quella che ci aveva fatti incontrare, noi e Armando, che condividevamo al punto da suggerirgli l’idea di una possibile coabitazione scenica. Stavamo ancora aspettando l’occasione romana in cui riunirci – i nostri corpi poetici e la sua bella voce in controcanto, “nascosta” – ma non abbiamo fatto in tempo. Il vuoto che lascia la sua perdita è difficile da spiegare. Possono forse riuscirci le parole con cui ci chiese “ formalmente” – questo era il tenore della sua appassionata formalità – di tenerci stretti in poesia. Nella “stanza sbagliata”, l’unica in cui vale veramente la pena di stare. ML

Cara Mia, ti invio la scheda del mio aggiornamento sulla Premiata Compagnia delle poete così come l’ho presentata ieri a Palermo, mandala a tutte le compagne, per favore,
aggiungo un’idea folle: sto rimuginando di chiedere di poter entrare servilmente nella Cp. Con la vecchiaia libera che mi sto guadagnando mi viene da mettermi ancora in gioco per vivere meglio. Il mio progettino è questo: fare il fool, un matto seguace della Compagnia somigliante al Fool della carta zero degli Arcani dei tarocchi. Non entrerei mai nella presenza teatrale con voi, ma reciterei come una voce invisibile dal vivo, ma nascosto, i vostri poemi. Ubbidendo alla vostra sapienza polifonica. Questo è il nocciolo della mia folle idea maschile in vostro onore. Vorrei entrare, ogni tanto, nella volta magica della Compagnia come un babbeo e servo sconnesso, ma anche poetico, a modo suo. Vorrei vivere in un angolo come un calibano ubbidiente che partecipa alla Compagnia della magica volta, ogni tanto, per imparare ad essere compagno, anche se storto e buffone. Infine, sono un uomo del sud emigrato a nord ovest e finito in una vita di exil interieur, come dice Glissant.
Che ne pensi? Possiamo parlarne? Tu ed io, per ora?
Roma 16 novembre 2014
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Norberto Lombardi anche a nome di Rosanna Carnevale e di Cosmo Iannone editori della collana Kuma. Creolizzare l’Europa ideata da Armando Gnisci
Per Armando
Armando, a proposito della sua scomparsa, di sicuro non avrebbe gradito l’enfasi della “perdita irreparabile”. E tuttavia, è per noi difficile immaginare come possa essere colmato il vuoto che la sua scomparsa ha aperto sul piano umano e su quello del lavoro culturale, con particolare riferimento al grande e incandescente tema delle migrazioni.
Le occasioni di incontro offerte dal comune impegno di direzione delle collane editoriali della Cosmo Iannone dedicate alle migrazioni si erano fatte sempre più rade; eppure bastava ritrovarsi anche per pochi minuti per avvertire, intatto, il senso della sua autenticità umana e il sentimento di un’amicizia che, senza dirlo, forse era diventata gentile, affettuosa.
La dote, comunque, che più mi colpiva di Lui era la sua eticità, la sua incapacità di piegarsi a compromessi che tanti di noi avrebbero considerato “normali” o addirittura funzionali a sostenere un sistema di relazioni articolato e ampio, qual è quello che fatalmente si sviluppa a contatto con migliaia di studenti, con reti di colleghi e intellettuali, con la filiera di scrittori e poeti nuovi che Egli ha saputo far affiorare dal magma degli intrecci migratori. Un’eticità mai proclamata o ostentata, ma vissuta con tenace coerenza e disinvolta naturalezza, anche quando sembrava rivestirlo di un abito urticante e costargli isolamento e forse qualche prezzo professionale.
La scomparsa di Armando ci porta a interrogarci, poi, sul suo apporto culturale e scientifico, sì, sul suo magistero: sul valore che ha avuto e su come evitare che possa dissolversi. Tanto più che il filone principale dei suoi studi e delle sue elaborazioni – le culture e le scritture migranti – si rivela sempre di più uno degli elementi più qualificati e originali della conoscenza di questo fenomeno epocale e globale e, ad un tempo, uno degli antidoti più efficaci contro la sempre più estesa intossicazione xenofoba e razzista che sta pervadendo società abitualmente catalogate, con ingiustificato ottimismo, liberali e aperte.
Nel concreto esercizio di direzione della più importante delle nostre collane dedicate alle migrazioni – Kumacrèola – abbiamo potuto constatare quanto Armando fosse immedesimato nel mondo del quale liberava pensieri e voci, quale legame anche esistenziale ed affettivo egli riuscisse a stabilire con i “suoi” autori. Eppure, Egli non li ha racchiusi in un recinto meramente solidaristico, ma li ha proposti come attori di un processo di cambiamento che partiva da lontano, quantomeno dalla fine del colonialismo, li ha visti come fermenti di rinnovamento culturale, di decolonizzazione delle menti e dei comportamenti, di “creolizzazione” delle culture.
Per questo, la sua lezione va al di là delle tensioni e delle polemiche di questi tristi momenti e si conferma anzi necessaria per la ricostruzione critica di un contesto di civiltà e di umanità.
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Maria Cristina Mauceri
Cararmando
Quanti messaggi che ti ho scritto sono iniziati così, col tuo nome unito all’aggettivo, come del resto facevi tu con il mio, “caracrisi” (nomen omen), e ridevi del nomignolo con cui avevo abbreviato il mio nome.
Mentre ascolto il tuo amato Bach, ricordo il giorno in cui, durante uno dei miei soggiorni italiani, sono entrata per la prima volta nel tuo studio per chiederti consiglio su una ricerca che volevo fare. Non avrei immaginato che incontrarti avrebbe cambiato la mia vita, umanamente e nei miei interessi di ricerca. Ricordo quando tirasti fuori dalla scrivania un libretto rosso: La letteratura italiana della migrazione una delle tue pubblicazioni su questo fenomeno letterario che hai fatto conoscere a tanti/e di noi. Ricordo l’armadio in cui tenevi i libri degli scrittori migranti e la generosità con cui li condividevi. Per me venire a Roma era incontrarti, ma il nostro dialogo continuava anche a distanza.
Ti sarò sempre grata per i tuoi saggi consigli, il grande rispetto intellettuale, l’invito a collaborare con te e in seguito anche a prendermi cura del Bollettino degli Scrittori Translingui, una tua creatura che continuerà a vivere. Sei stato un maestro non solo nel senso accademico ma anche di vita.
Ti piaceva la parola ‘dono’, ricordo che ne parlammo, e tu hai donato molto a noi che abbiamo avuto la fortuna di lavorare e/o studiare con te. Si è creato tra alcune di noi un bel rapporto di amicizia, infatti siamo rimaste unite anche nel tuo nome. Mi piace rappresentare questo rapporto con un’immagine: formiamo un cerchio intorno al centro dove ci sei tu. E in questo cerchio desidero inserire anche Laura, tua moglie, che mi è cara, per la sua gentilezza, il modo in cui si è sempre presa cura di te nella buona e nella cattiva sorte e per la dignità con cui affronta la tua perdita.
Non ti dico addio cararmando, perché tu continuerai a vivere nel nostro ricordo.
crisi
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Ali Munim Ahad
Elogio ad Armando Gnisci
Indimenticabile Armando, fraterno amico caro e maestro. Sono stati esattamente venti anni, il tempo del nostro sodalizio qui sulla terra. In questi venti anni abbiamo fatto insieme un percorso intellettuale di crescita per me e di apertura verso gli Altri e l’Altrove per te. La tua statura di intellettuale di impegno umanista sarà a lungo impareggiabile in Italia.
Alla fine degli anni ’90 ero al C.I.R. dove stavo lavorando per l’integrazione dei rifugiati dall’Africa e dall’Asia, inclusi i rifugiati da guerra della mia stessa Somalia, allorquando l’amica e collega di lavoro Claudia Zaccai, dopo essere venuta a conoscenza di un mio manoscritto, mi parlò di te e del tuo impegno intellettuale all’Università “La Sapienza” di Roma, consigliandomi nello stesso tempo di incontrarti per parlare del mio progetto di libro. Fu un consiglio tra i migliori che mai abbia ricevuto. La prima volta che ci siamo incontrati nel tuo ufficio al Dipartimento di Letteratura Comparata, scoprii che avevi già letto il mio saggio del 1993 ‘I peccato storici del colonialismo in Somalia’. Ne parlammo e subito ci trovammo in sintonia sul passato coloniale italiano nell’Africa Orientale, in Somalia in particolare. Dopo il nostro colloquio sul passato coloniale dell’Italia, ti lasciai in consegna il plico di fogli della bozza del libro che avevo intenzione di pubblicare in Italia. Tuttavia, nel frattempo, la casa editrice presso la quale intendevamo pubblicare il libro subì dei cambiamenti strutturali e di gestione. Il volume Memorie del Fiume ed Altri Racconti del Benadir rimase così inedito.
Caro Armando, ti sarò sempre grato per avermi dato l’opportunità di scoprire gli aspetti migliori dell’Italia, il paese nel quale ho vissuto quasi un venti anni della mia vita. È attarverso gli impegni culturali organizzati da te che ebbi la fortuna di conoscere meglio varie parti dell’Italia: Matera, Pescara, Perugia, Regio Emilia e Trento. Un ricordo di te più personale è quello collegato con il viaggio a Pescara con te in macchina, andata e ritorno a Roma, durante il quale parlammo a lungo di tante cose, anche delle nostre rispettive famiglie, cosa che spesso non facevamo, come in un commiato. Di lì a poco io sarei partito per l’Australia, ma continuammo a collaborare nonostante agli atipodi. Infatti, è dall’Australia il mio breve saggio ‘Letteratura post-coloniale italiana: una finestra sulla storia’ nel tuo Decolonizzare l’Italia. Dunque, caro Armando, voglio salutarti, come l’Alighieri il suo maestro, dicendoti: Tu se’ lo mio maestro e ’l mio autore! tu se’solo colui da cu’ io tolsi lo bello stile che m’ha fatto onore!
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Giovanna Pandolfelli
Ricordando Armando Gnisci
Torno con la memoria agli anni Novanta, mentre in Italia comparivano le prime pubblicazioni di quella che sarebbe stata un’ondata di novità nella letteratura italiana. Pap Khouma ci narrava la sua storia di clandestino in Italia, puntando i riflettori su un fenomeno per noi nuovo ma pressante ed esistente che non si poteva ignorare. Frequentavo l’allora facoltà di Lingue e letterature straniere, indirizzo Germanistica, presso La Sapienza di Roma. Alcuni insegnamenti erano in comune con l’indirizzo di lettere e uno di questi era Letteratura comparata, titolare Armando Gnisci, facoltativo. Ancora oggi mi domando perché per studenti di lingue non fosse obbligatorio proprio l’esame di letteratura comparata. Curiosi per natura verso altre culture, noi studenti di lingue includevamo volentieri questo esame, ignari di ciò che ci aspettasse. Ci incuriosiva l’idea di comparare le letterature che in genere invece si studiavano a compartimenti stagno. In quegli stessi anni in cui i miei colleghi ed io vagavamo per i corridoi dell’università in cerca di punti di riferimento, Armando Gnisci coglieva già i germi di quella letteratura di cui un giorno mi sarei sentita parte. Ricordo l’approccio didattico assolutamente atipico per l’epoca, un invito a riflettere, a leggere tra le righe, a scavare nell’animo umano prima ancora che nella letteratura.
Anni e anni dopo, pubblico il mio primo libro, sono racconti su tematiche interculturali quelle stesse che avevano incrociato il mio cammino di espatriata all’estero. Capitato nelle mani del Professore, il mio timido libro di esordio acquista la dignità di opera all’interno di un panorama letterario. Non scorderò mai le sue parole: “ho scoperto una scrittrice”. Il Professor Gnisci aveva visto in me ciò che volevo essere e che non ero neppure consapevole di essere diventata. Il suo conseguente invito a scrivere per la sua collana Kumacreola presso l’editore Cosmo Iannone è stato per me un riconoscimento da parte dell’unica persona in grado di conferirmelo, proprio colui che ha contribuito a formare lo spirito critico e aperto degli studenti di allora e che oggi vedeva in me un minuscolo frutto del germe che aveva seminato. Sebbene a quel punto fossimo ormai due adulti che comunicavano attraverso le proprie esperienze, sebbene lui avesse preso a firmarsi con la lettera minuscola a riprova della sua grande umiltà e della consapevolezza del piccolo posto che ognuno di noi occupa nel mondo, per me è stato e resterà sempre il Professore a cui posso solo dire grazie.
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Johanna Peuch
Aujourd’hui, Armando est mort… Et je suis si triste.
Ô capitaine mon capitaine, j’ai eu l’extraordinaire chance de vous avoir comme professeur de Littérature comparée. Ces quelques heures passées chaque semaine avec vous étaient telle une parenthèse enchantée. Vous m’avez tant appris, tant donné. Je n’ai été fière de moi qu’à de rares occasions mais je l’ai été affreusement lorsque j’ai découvert la note que vous m’aviez donnée lors de mon examen final : 30/30. Signore Gnisci, éminent professeur à l’Università di Roma La Sapien m’a attribué il voto ottimo !
« Et puis… Il y a ceux que l’on croise, que l’on connaît à peine, qui vous disent un mot, une phrase, vous accordent une minute, une demi-heure et changent le cours de votre vie ».
Depuis 17 ans, je garde précieusement le mail trouvé dans ma boîte à mon retour en France. Vous écriviez ceci :
« Cara johanna,
grazie della tua lettera. Posso dirti ora, che sei andata via e sei lontana, che quando tu eri in classe io avevo una particolare gioia interna e addirittura una dissimulata, piccola ma intensa emozione, quando incrociavo il tuo sguardo. Mi fissavi avvicinandoti a me come se volessi prendere tutto quello che io dicevo e nello stesso tempo era dolcemente lontano ».
Il m’arrive quelques fois de le relire lorsque blessée par des personnes n’ayant ni votre niveau, ni votre stature. Juste pour me faire du bien.
Vous terminiez votre message par ceci :
« buone vacanze a te scrivimi, quando puoi
armando ».
Je n’ai malheureusement que peu de fois tenu ma promesse. J’essaie de me rattraper aujourd’hui.
Buon viaggio caro professore mio.
***
Barbara Pumhösel
Ricordandoag
Ho sentito parlare Armando per la prima volta negli anni novanta, ascoltando una sua lezione a Firenze, all’interno del laboratorio della Rivista di Poesia Comparata Semicerchio. Parlava di una certa “Letteratura italiana della migrazione” di cui io non sapevo niente nonostante il fatto che durante i miei studi ero sempre stata interessata alle lingue delle minoranze, alle lingue al margine, a tutto quello che si muoveva fuori dal mainstream delle letterature e delle lingue che imparavo – ma non abbastanza, come ho capito durante la lezione. Anche se in quegli anni non avevo molta occasione di parlare tedesco – a parte le letture serali a voce alta ai miei figli – ogni tanto con loro parlavo il mio dialetto austriaco, ma raramente, per non escludere gli amici della scuola materna e elementare. E nella scrittura zigzagavo, tendendo sempre di più verso la seconda lingua, era quella che avevo nell’orecchio, nonostante la mia consapevolezza delle lacune, dell’accento, dell’assenza dei primi anni fondamentali –come diceva Arnold De Vos – io pesce piccolo in acque territoriali non mie, cercavo di galleggiare nell’elemento che mi circondava.
Presi molti appunti quel pomeriggio, ma non feci nessuna domanda (sentivo che mi mancava qualsiasi preparazione di base) e certamente non presentai nessun testo mio.
Anni dopo vinsi il Premio Popoli in cammino e Armando mi scrisse per propormi una pubblicazione nella sua collana Kumacreola di Cosmo Iannone Editore.
Nel frattempo avevo sentito molto parlare di lui, impressioni varie, molto diverse, ammirazione e amore, e anche rifiuto, incomprensione, talvolta.
Dopo questi impressioni così contrastanti, mi colpiva la sua delicatezza nella lettura, la cura, la curiosità, l’intensità pungente delle sue mail. Non cercava mai di limitare il numero di testi, chiedeva di leggere tutto, e grazie a lui la mia prima raccolta poetica arriva a 157 pagine.
Ricordo la sua capacità di stupirsi, di trovare sempre cose nuove che lo lasciavano a bocca aperta, la passione per le scoperte, soprattutto quando si trattava di versi, senza fare distinzioni tra antico, moderno e contemporaneo, tra lontano e vicino, tra i testi dei grandi scrittori e le opere prime riuscite, la sua capacita di creare nessi, di avviluppare il mondo in una rete di fili invisibili tutti collegati che lo tenevano insieme. Ricordo il suo senso dell’umorismo, il suo continuo giocare con le parole, l’interesse per il mondo dell’infanzia. Durante l’editing (molto lieve), arrivando alla sezione haiku, mi mandò una sua raccolta dal titolo Sofà orientale occidentale. Epigrammi haiku fritti e/o sodi (Bulzoni, Roma 1994) dove si potevano anche leggere composizioni come la seguente:
Un piccolo merlo
Fu il mago merlino
Quand’era bambino.
***
Antonella Rita Roscilli
Ricordo di Armando Gnisci
Ricordo una sala all’Università La Sapienza. Facoltà di Lettere e Filosofia di tanti anni fa. E’ l’orario del ricevimento professori. Busso timidamente alla porta, oltre la quale mi attende il professore di Letterature Comparate con cui ho il mio primo appuntamento. Devo concordare il programma di studio per il mio prossimo esame. Sono studentessa-lavoratrice e dovrà assegnarmi diversi testi. Entro, mi seggo davanti a lui alla scrivania. Mi appare serio e un pò burbero. Parliamo. Quando vede che i miei studi a “Lingua e Letterature Straniere” sono imperniati sulla cultura brasiliana, ispanoamericana e africana di espressione portoghese, in poco tempo mi assegna una lista bellissima di libri da portare per il suo esame. Sorrido felice, ci guardiamo, così mi accordo del suo entusiasmo che è anche il mio. Vedo la luce dei suoi occhi. Da quel momento mai dimenticherò quella Luce che è stata come un faro in un momento importante della mia vita. Così ricordo il mio primo incontro con il professor Armando Gnisci. Studiare su quei libri non fu solo prepararmi ad un esame universitario, ma l’inizio di una mia lunga riflessione, un ripiegarmi su me stessa per iniziare a “scarnificarmi” e cercare di liberarmi dall'”eurocentrismo”, come del resto, fuoriusciva dalla lettura di quei libri. Guardare l’Altro, considerarlo, dialogare. Il suo libro “Una storia diversa” (Meltemi editore) invitava a scuotersi, ad uscire dai confini nazionali delle letterature, a vedere tutto “nella cornice della mondializzazione conseguente al colonialismo”. Uno sguardo diverso, un punto di vista totalmente differente, sicuramente più alto, anche se faticoso. Questo mi ha regalato negli anni il professor Armando Gnisci. Sentirlo parlare era un invito all’ esercizio della riflessione, della relativizzazione, della riconsiderazione, dell’ apertura al mondo, della coscientizzazione. E così lo seguii, anche se parallelamente al mio lavoro in Rai, e vi fu un periodo in cui iniziai ad occuparmi di Letteratura della Migrazione, ne seguii le varie fasi, scrissi vari articoli, partecipai ai giorni di Mantova, al Primo Festival Europeo delle Letterature Migranti a Roma. E lui era sempre in prima fila, la scrittura, la competenza, l’organizzazione, la costanza, la passione, la lotta, il Dialogo! Kuma, Banca dati Basili, tanti autori che senza di lui non ce l’avrebbero mai fatta a pubblicare in Italia e invece ce l’hanno fatta. Tanti autori divenuti carissimi amici, come Christiana de Caldas Brito e Julio Monteiro Martins. Il professor Armando Gnisci rimane una persona eternamente scolpita nella mia memoria per l’importanza che ha rivestito e continua a rivestire nella mia vita. E ce lo dice anche il titolo del libro uscito postumo “Esercizi italiani di anticolonialismo” scritto a quattro mani con David Tozzo (editore Efesto). Esercizio di vita, dubbi, crisi, ragionamento, uscita dal Sé, apertura verso l’Altro, al di là di ogni preconcetto. Al di là della Storia fatta dai vincitori, al di là della Letteratura nazionale, esiste la Storia reale, quella che si mistura, quella che è fatta dalle tante culture in movimento nei secoli, esistono le Letterature che esondano dai rigidi confini in cui molti vorrebbero rinchiuderci. Sono lì a ricordarci che non esiste un solo centro, ma tanti centri, come tanti siamo noi, esseri umani che componiamo questo pianeta. La prima persona che mi ha spinto a credere veramente in tutto questo è lui. Grazie Armando. Per Sempre.
***
Elena Rossi
Quello che so di te
Quello che so di te, é una storia in cui mi perdo e mi ritrovo ogni giorno. Ricca, potente e meravigliosa perché ci insegna Diversità.
Quello che so di te, é che sei l’incontro, il germoglio di pace, verde, che cresce splendido nella terra della conoscenza, che sfama le bocche voraci di questa amata, incessabile voglia: conoscere.
Quello che so di te, é che le parole non bastano a raccontare l’umanità che sorride in mille volti, di tutti Paesi e i colori: in me, in te, in noi e in loro.
Pronta ad accogliere chi cerca un approdo di vita, sfidando nel dialogo e nell’amore l’odio e il pregiudizio.
Quello che so di te, é che vivrai nella linfa di chi pensa, parla, scrive nel Tuttinsieme, camminando, mano a mano, con il Mondo.
Al mio caro Professore.
Con profondo affetto.
Elena
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Elisa Scaringi
Alcuni insegnanti lasciano il segno. E decine di studenti li ricordano come padri o madri spirituali. La loro dote sta nel saper trasmettere una certa forma di pensiero interiore, che trascende la nozionistica e introduce alla conoscenza della vita. Questa è stata, per molti universitari, l’esperienza vissuta con armando gnisci. Frequentare le sue lezioni ha significato intraprendere un cammino di rivoluzione interiore, capace di trasformare l’occhio critico (dei giovani) sul mondo. Soprattutto perché i testi da lui studiati, e amati, non erano quelli accademici. Segnalando la nascente letteratura italiana della migrazione e della mondializzazione, ne divenne un militante originale, e primordiale, al fianco degli stranieri, che cercavano – e tentano tutt’oggi – di aprirsi un varco tra la paura e l’indifferenza. I suoi manuali non rappresentavano altro che viaggi personali (e poi collettivi) verso una decolonizzazione dei bianchi occidentali. Divenne fondamentale tramandare e suscitare nelle giovani generazioni domande che sono ancora di una attualità sconcertante: che idea hanno gli europei dell’alterità? Cosa può significare la parola “attraverso” all’interno di una cultura? Possiamo ancora sostenere come forma di etnocentrismo l’euroccidentalità? Cosa bisogna leggere, ascoltare e vedere per avviarci a comprendere quelli che continuiamo, con ostinazione, a chiamare “altri”? Siamo sicuri, noi bianchi occidentali, di possedere un senso positivo e realistico della relazione interculturale? armando gnisci cercò di dare delle risposte sensate, e umanissime, essendosi trovato lui stesso nei panni dell’uomo che viene investito dalle migrazioni e decide di non guardare altrove. Si definiva un letterato interculturale, confessando che aveva vissuto per quarant’anni la professione accademica «come uno straniero in terra straniera». Per lui i veri colleghi furono i suoi alunni, ragazze e ragazzi con i quali sapeva di poter coltivare la giustizia e la compassione, che sempre hanno caratterizzato il suo sapere di docente: «Vi chiedo, in ultimo, di non perdere speranza, in voi stessi e nella comune repubblica, che sembra tramontare sull’orizzonte civile degli italiani, invece che venirci incontro come “il sole dell’avvenire”». Leggere i testi di armando gnisci ha significato scrollarsi di dosso i pesanti mattoni del sapere arcaico per abbracciare, con giustizia e compassione, quel racconto della realtà che ancora oggi può renderci un’umanità consapevole, tutti quanti (professori e studenti, letterati e matematici, imprenditori e operai). Noi siamo i suoi eredi, i nuovi militanti di una società che, per scongiurare la morte, dovrà per forza decolonizzarsi (prima o poi).
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Trasmesso da Franca Sinopoli
Paola Mildonian
Carissimi Soci della Società Italiana di Comparatistica Letteraria,
E’ con immenso dolore che vi devo annunciare la perdita di un carissimo amico, il prof. Armando Gnisci. Il 17 giugno la comparatistica italiana ha subito questo gravissimo lutto, perché Armando Gnisci è stato uno studioso internazionalmente riconosciuto, di grandi meriti scientifici, ma insieme e soprattutto è stato un uomo che per quarant’anni si è dedicato come nessun altro, con la mente e con il cuore, alla promozione della nostra disciplina. Fin dai primi anni ottanta, quando la letteratura comparata era ancora apertamente osteggiata in Italia, Armando Gnisci ha creduto sinceramente nel valore politico e morale, e quindi educativo, della nostra disciplina nel contesto degli studi umanistici moderni e ha saputo creare intorno al suo insegnamento un gruppo di giovani studiosi impegnati nel rinnovamento della comparatistica italiana. Armando Gnisci è stato tra i soci fondatori della SICL e la nostra associazione si unisce con riconoscenza al dolore della Sua Famiglia, e di quanti amici, colleghi e allievi oggi lo piangono.
Paola Mildonian – Presidente
***
Bozidar Stanisic
Mezzogiorno di dicembre 2012, Fiera del libro di Roma; nella sala dove il professor Gnisci, direttore della collana Kumacreola dell’editore Cosmo Iannone, presenta due titoli non ci sono abbastanza posti per tutti gli interessati. Uno dei libri è mio. Lusingato – e chi non lo sarebbe? – mi chiedo quanti di loro siano venuti per la mia opera. Alla fine della promozione tutti circondano Armando, il loro professore! Sono di età diverse, ma nei loro saluti si sente qualcosa di speciale, gioioso, vibrante, disinteressato, che si trasmette agli altri. Mi pare che ogni sorriso emetta un’energia positiva! Un tempo studenti, ora professori, approfittano di quell’occasione per un incontro, sia pur breve, con il loro professore.
Quando ho sentito la triste notizia, mi sono ricordato di quell’ultimo incontro con lui. Allora, a Roma, Armando mi disse di essere in pensione, ma non che vi era andato prima del tempo, volontariamente, né di aver spiegato quell’abbandono della cattedra universitaria in una lettera ai suoi studenti, del 6 settembre 2010. Professore, autore di una cinquantina di libri che si considerava scrittore interculturale, uno fra i rari critici sinceri e autentici del colonialismo culturale in Europa e in Occidente, e dei ancor più rari intellettuali che nelle migrazioni dal Sud al Nord del nostro pianeta vedeva l’occasione per epocali legami transculturali e per una profonda revisione delle convinzioni occidentali sulla superiorità culturale, in quella lettera, come uno straniero in terra straniera, usciva dai limiti di un messaggio indirizzato solo agli studenti. Lui, l’uomo Armando Gnisci che disprezzava le menzogne e le ipocrisie del mondo accademico. Se ne avessi il potere (che naturalmente non ho), inchioderei quella lettera alle porte di tutte le università italiane ed europee.
Credo di non essere il solo a immaginarmi delle caselle in cui sistemiamo le nostre esperienze e conoscenze degli altri. L’uomo e professore Armando Gnisci si trova da tempo in quella che chiamo inflessibilità. Ma non è solo in quella casella: facilmente lo trovo anche in quelle su cui è scritto sensibilità, etica, coscienza. Credo che dovrò aggiungerne un’altra: Italiani della cui esistenza l’Italia dell’attuale decadenza non è consapevole.
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Raffaele Taddeo e Pap Khouma (El-Ghibli )
Il professor Armando Gnisci ci ha lasciato.
D’accordo con Pap che è a Dakar, traccio queste brevi note, doverose, per ricordare una persona, ma prima di tutto uno studioso che negli ultimi trent’anni ha dedicato la sua vita a comprendere e valorizzare la cultura letteraria espressa dai nuovi cittadini, migrati in Italia per mille ragioni, che hanno potuto trovare in Armando Gnisci un padre, un amico, un difensore della loro cultura.
Noi del Centro Culturale Multietnico La Tenda e di el-ghibli abbiamo spesso collaborato e sostenuto battaglie insieme al prof. Gnisci e desideriamo ringraziarlo per l’esempio che ci ha dato nel sapere ricercare la verità della conoscenza molte volte opponendosi al conservatorismo e alla pedanteria culturale.
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Laila Wadia
Nella vita di ognuno c’è una persona speciale che fa da apripiste. Nella mia si chiama armando. E’ stato uno dei primi a darmi una possibilità di scrivere in italiano, di esprimermi in una lingua dapprima sorellastra, poi sorella, ed infine gemella. Ha pubblicato il mio primo libro di racconti nella collana Kumacreola di Cosmo Iannone Editore. Ha portato il mio manoscritto in erba alla E/O, consigliando loro la pubblicazione. Senza la sua lungimiranza non ce l’avrei fatta. La pubblicazione di un testo ovviamente ha importanza, ma ancora più importante è stata l’incitazione a creare nuovi linguaggi per un nuovo mondo, a creolizzare, a sfuggire alle etichette-gabbia imposte dalle menti piccole che si arrogano poltrone e megafoni interculturali.
Recentemente una associazione culturale mi ha invitata a scrivere un racconto sulla migrazione. Abituata da armando a mondializzare la mente, ho scritto quello che il critico letterario ingaggiato dall’associazione ha etichettato come un bel racconto circolare. Infatti, partiva e si concentrava sul quando ad emigrare erano gli italiani, per poi finire in Italia, con la triste cronaca marina di cui tutti sono a conoscenza. Bene, il risultato è stato un bel niet dai vertici. Niet, noi volevamo un racconto autobiografico in cui ci spiegasse com’era disperata prima di venire in Italia, quali difficoltà ha, cosa le manca del suo paese … Quindi, se gradivo essere pubblicata, dovevo attenermi strettamente a queste linee guida. Risposi gentilmente che 1) non avevo una vita disperata prima di venire in Italia. Diversa sì, difficile pure, ma disperata no. La disperazione è una parola che va usata con cautela per non offendere e svuotarla di significato. 2) Ho avuto tante difficoltà all’inizio, sì. Le ho raccontate con ironia per non cadere nell’autocommiserazione. Le difficoltà maggiori che ho adesso è vedere che nel 2019, a trent’anni dalle prime scritture di persone non di madre lingua italiana, si fatica a comprendere che uno straniero possa essere anche scrittore/a; 3) del mio paese non mi manca niente: il mio paese è qua, attorno a me e dentro di me, sempre. Ovviamente risposero con frasi di circostanza, ribadendo il loro ruolo da difensori dell’alterità, bla, bla, bla.
Avrei tanto voluto discuterne con armando, ma aveva ben altre battaglie da combattere. Lui sì che avrebbe saputo spiegare loro con arguzia, garbo e un pizzico di insofferenza la differenza tra un/a migrante che scrive (portando testimonianze di immenso valore) e scrittori migranti (dati della banca Basili e tanti suoi testi alla mano).
A nome della Umma transfrontaliera, plurilingue, transculturale, grazie Armando
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Davide Tozzo
Stanotte ho scoperto che si può perdere un padre anche se non se n’ha mai avuto uno.
La comaresecca, come lui chiamava la morte, s’è venuta a prendere Armando Gnisci quando ha voluto lei, come accade sempre da stramilioni di anni.
Da qualche parte tra una quindicina abbondante e una ventina scarsa, d’anni fa, su una corazzata tutto sommato sgarrupata e che si stava autoaffondando da tempo, affondata dalle ingiurie e dalle genti, del tempo, La Sapienza di Roma, ci incontrammo.
Io stavo per abbandonare, quella barca bastarda, stavo per lasciare i miei studi, che non suscitavano in me, così come i propri magistrali maestri-baronetti, ballerine e nani piccolissimi, alcun sussulto, alcun suscitare, alcun senso. Non avendo il fardello di granché senno, e avendo tutto il peso della leggerezza della sfacciataggine dei miei vent’anni abbondanti, venticinque scarsi, presi la decisione di provare un ultimo corso, d’acqua, di studio, d’andare a un’ultima lezione per poi salutare, scendere, e davvero prendere un qualche mare, aperto.
Entrai alla mia prima lezione di Armando, che per me avrebbero dovuto rappresentare l’ultima, l’ultimo hurrah che m’ero concesso, l’ultimo concerto dell’orchestra del Titanic dell’università italiana picconata come la sapienza e la cultura tutta dal berlusconismo brutalizzante prima di abbandonare, forse abbandonare l’Italia stessa.
Allo scoccare della pausa tra quelle due ore, ad alcuni studenti stranieri che stavano lasciando i loro borselli sulle sedie per andare a prendere un po’ d’aria dall’apnea di quell’immersione magnifica, stupefacente come ogni più profondo abisso, Armando disse di non lasciare, quel borsame, che sarebbero dovuti essere più accorti, che avrebbero potuto esserne privati o chissà cosa, chissà da chi.
Intervenni. Dissi loro che il professore giuocava, goliardicamente, ma dovevano stare tranquilli e avere fede, nessuno li avrebbe privati di quanto posseduto. Armando s’infuriò. D’altra parte un gigante non può esser in alcun modo definito un goliarda. M’attaccò con una foga che era propria di due naufraghi appassionatissimi come lui e me, si sbracciò, come le bracciate di uno che vuole nuotare non solo quel momento ma tutto questo mondo. Per questo la riconobbi, lo riconobbi subito, dopo quella primissima ora del nostro naufragare assieme, e mi salvai. Mi sfidai. Lo sfidai. Il giorno dopo non avrei dovuto mai più mettere piedi in un’università, e probabilmente levarlo per sempre da Roma e dall’Italia, ma mi presentai nuovamente a lezione, che il giorno prima avevo seguito dall’ultima fila. Mi misi in prima. Non mi alzai, neanche per andare a prendere aria, non lo feci più neanche negli anni successivi e Armando divenne il mio relatore di laurea, oltreché le altre due mani del libro che scrivemmo assieme, il suo ultimo, Esercizi italiani di anticolonialismo, il più grande onore della mia (co)esistenza da intellettuale. In copertina, una barchetta e alcune figure, tra le quali senz’altro il Maestro e l’allievo, lui e me, Nos, autem cui mundus est patria velut piscibus equor [Noi, per i quali il mondo è la patria, come l’acqua per i pesci, come dal nostro comunemente amato Dante Alighieri del De Vulgari Eloquentia, I, VI, 3 che citiamo in testa in quella nostra barchetta di carta].
La prima volta che su Word scrissi Gnisci, scoprii che lo cambiava automaticamente in unisci.
A ben vedere, e ad altrettanto sorridere, è quello per cui ao – minuscolo come maestosamente come a volte si firmava – ha navigato tutta la vita.
Ora che prendi il largo, Maestro, fratello e padre mio, ci sei finalmente riuscito. Adesso a noi tutti ti sei per sempre, infinitamente, unito. Stanotte ho pianto, ma ho sorriso, perchè come tu pur non sapendolo e non stando più qui m’hai insegnato stanotte stessa, a cosa servono le lacrime se non, anch’esse, a nuotare?
adieu donc
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Yousef Wakkas
Armando Gnisci: la speranza di cambiare il mondo
Raramente, nel percorso della vita, ci si può incontrare delle persone che, alla fine, ti lasciano un segno indelebile. Questo succede quando il ricordo diventa un motivo per vivere, ottenendo costantemente una visione nuova del mondo. Il mondo, appunto, quello che Armando ha voluto, renderlo “Liberamente umano”.
Ho incontrato Armando una sola volta, assieme a Valeria, sua figlia, nell’ambito della Fiera del libro a Torino nel 2002, credo. Ero troppo imbarazzato davanti ad un intellettuale del suo spessore, ma con la sua semplicità, ha potuto in pochi minuti rompere il ghiaccio e mettermi a mio agio. Capiva inoltre la mia situazione, ero in regime di semilibertà, e ci teneva molto a incoraggiarmi, ovvero incoraggiarci, dato che aveva preso a cuore di occuparsi pienamente della nostra letteratura.
Mi soffermavo molto su ciò che scriveva e sul suo pensiero, umano e lungimirante, sia sulla letteratura della migrazione, che in seguito la definiva translingue, sia sui fatti che riguardano il mondo, e l’avanzata di una cultura che non prometteva nulla di buono.
Dalla breve conversazione che ho avuto con lui, ho notato che provasse molto disagio dell’attuale situazione dell’umanità. Abbiamo parlato di letteratura, del mio paese, e dell’incertezza cui ero sprofondato. Mi ha consigliato di non tornarci, ed aveva ragione, perché lì, in Siria, ho trascorso dieci anni senza poter scrivere, per giunta ho passato quattro anni sotto assedio ad Aleppo, la mia città martoriata.
In seguito, abbiamo scambiato qualche messaggio, e forse ha capito le mie difficoltà leggendo quelle poche parole nelle quali cercavo di esprimerlo la mia disperazione. Un giorno, dopo avergli mandato uno scritto, mi ha risposto, dicendo: prenditi una pausa, il testo è completamente confuso, e non riesco a capirne il contenuto. Anche in questo caso, aveva indovinato il mio stato d’animo: ero sconvolto della restrizione e non sapevo più come muovermi dentro quel reticolo di controlli, di informatori che proferivano tutto all’autorità, e le minacce costanti di farmi sparire dove non si vedeva la luce del sole.
Anche in quel periodo, m’avevo accompagnato, a distanza, e a volte da molto vicino, con i suoi libri e pensieri. Mi fermavo in particolare modo sul concetto della decolonizzazione europea. Un piccolo saggio, ma profondo, e con il quale aveva spiegato con parole precise la via da percorrere, avvertendo i pericoli di un futuro prossimo dove saranno ritornati i fantasmi del passato che, in meno di pochi anni, si sono visti delegare quasi in tutta l’Europa.
Il suo merito va oltre ogni elogio, come in quella lontana iniziativa, quando ci ha chiamato per comporre poesie e pensieri, scegliendo il primo verso della Divina commedia: Nel mezzo del cammino. E con le nostre parole, lui, io, Marta Gomes, Julio Montiero Martins, Rita Mornato da Coimbra, Stevka Smitran, Carlos Drummondo de Andrade e Joao Maimona, abbiamo creato quella catena chiamata Rosario di Pietra. I suoi erano molto significativi, come in questo tratto:
Abbiamo dato i nomi alle cose
Per poterle pensare:
avvicinare-allontanare e Dominare;
e Abbiamo pensato le cose
per poterle Nominare:
quando eravamo greci.
In pace, riposati, caro amico
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