Una donna senegalese, coraggiosa attivista
per i diritti umani, sta dimostrando con i fatti che se si aiutano i ragazzi
africani in loco, si scoraggia la loro emigrazione in Europa. Finora ha salvato
1500 giovani dal rischio di morire in mare o nei lager libici.
Una sfida che Yay Bayam Diouf, fondatrice per la lotta all'emigrazione
clandestina (Coflec), ha raccolto anni fa, dopo la morte nel
Mediterraneo del suo unico figlio. Oggi ha dato vita ad un circuito alternativo
per trattenerli, cercando di dare loro alternative, facendo nascere micro
imprese, preoccupata non solo per l'alto tasso di emigrazione nazionale ma
perchè i viaggi dei ragazzi sono ormai pericolosi oltre ogni
immaginazione.
Nei sobborghi che circondano la capitale Dakar, in Senegal, dove la disoccupazione e il disagio sociale sono alla base delle partenze Yayi Bayam Diouf, ha iniziato a creare una sorta di rete con tante ong italiane. Recentemente è stato presentato ‘Ponti’, un progetto per prevenire le migrazioni ideato da Arcs-Culture solidali, e realizzato in Senegal ed Etiopia da oltre 20 ong italiane.
Nei sobborghi che circondano la capitale Dakar, in Senegal, dove la disoccupazione e il disagio sociale sono alla base delle partenze Yayi Bayam Diouf, ha iniziato a creare una sorta di rete con tante ong italiane. Recentemente è stato presentato ‘Ponti’, un progetto per prevenire le migrazioni ideato da Arcs-Culture solidali, e realizzato in Senegal ed Etiopia da oltre 20 ong italiane.
Diouf spiega all'agenzia Dire che si
tratta di creare opportunità di impiego per dare modo ai ragazzi di non correre
dietro sogni che possono diventare incubi e vere e proprie traettorie di morte.
«Ci occupiamo di sensibilizzare sui pericoli delle migrazioni
irregolari, ma cerchiamo anche di creare opportunità di impiego per i candidati
alle migrazioni. Vogliamo che credano di più nelle proprie potenzialità e in
quelle del nostro Paese, per vivere dignitosamente».
Yayi Bayam Diouf è originaria di Thiaroye
su Mer, un villaggio che un tempo era popolato prevalentemente da pescatori nell’interland
di Dakar. Qui, come in molte altre zone del Senegal, la pesca industriale dei
pescherecci stranieri ha messo in ginocchio quella tradizionale, creando
povertà e limitando le prospettive per il futuro. Anche l’unico figlio di Diouf
è emigrato e nella rotta del Mediterraneo ha trovato la morte: «Qualche hanno
fa mio figlio è annegato in mare, dopo che insieme a degli amici ha tentato di
raggiungere l’Europa a bordo di una piroga, per trovare lavoro e dignità».
Da qui la decisione di fondare Coflec: «Mi
è scattato qualcosa dentro e ho trovato le energie per parlare con
le comunità tradizionali e patriarcali, per convincerle che la donna
può portare un cambiamento ed essere una risposta al problema dell’emigrazione
irregolare. Se una donna lavora può mandare i figli a scuola, garantendo
loro un’istruzione di qualità e quindi alternative alle migrazioni
irregolari».
Naturalmente non è facile far cambiare
mentalità. L'organizzazione patriarcale è profondamente radicata. Finora il
coraggio e l'iniziativa di questa donna ha impedito ad almeno 1500 giovani di
non partire e restare.
«Siamo riuscite a sensibilizzare persino i
trafficanti. Siamo andate a casa loro, ci abbiamo parlato. Sono giovani come
tanti. Alcuni comprendono, e cambiano idea: ora alcuni fanno parte
dell’associazione e si occupano di sensibilizzazione».
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