Capo Frasca 12
ottobre 2019, ecco il manifesto degli intellettuali a sostegno della manifestazione contro le servitù militari
Questo è il documento che numerosi uomini di cultura e di spettacolo hanno
sottoscritto in vista della manifestazione contro le servitù militari, in
programma il prossimo 12 ottobre a Capo Frasca. È interessante aprire il
dibattito su una questione che viene periodicamente espulsa dal dibattito ma
che invece resta sempre centrale. E forse il punto è proprio questo: perché
parlare di servitù militari in questi ultimi anni è diventato sempre più
difficile? (vb)
***
OPPORSI ALL’ASSERVIMENTO MILITARE DELLA SARDEGNA È UNA BATTAGLIA
DEMOCRATICA E CIVILE CHE RIGUARDA TUTTE/I, NON SOLO IN SARDEGNA
(Il mondo della cultura, della letteratura, dell’arte e dello spettacolo a
sostegno della battaglia civile sulle servitù e le attività militari in
Sardegna)
In Sardegna è ubicata la maggior parte del territorio italiano sottoposto
ad attività militari. Sono decine di migliaia di ettari, in terra e in mare, su
cui, tutti gli anni, da più di settant’anni, vengono svolte esercitazioni e
sperimentazioni di vario tipo. Decine di migliaia di ettari sottratti all’uso
civile, alle attività economiche e alle comunità locali per molti mesi all’anno
e in certi casi permanentemente.
Nessuno ha mai chiesto il permesso o il consensodi chi in
Sardegna vive, lavora, produce, ha i propri interessi e i propri affetti. Mai,
né in passato, né oggi.
La Sardegna è stata trattata come una pedina di scambio, un mero oggetto
storico, nel grande gioco delle relazioni di potere della geo-politica, senza
alcun riguardo per la sua popolazione, la sua storia, la sua bellezza.
Le servitù militari in Sardegna servono a tenere in esercizio le forze
armate italiane e dei paesi alleati (NATO in primis), e non solo. Ma
soprattutto sono una condizione necessaria al giro di affari che l’industria
degli armamenti muove da sempre.
Per altro le aree sarde adibite a sperimentazioni belliche sono affittate
dal Ministero della Difesa italiano anche ad aziende private, non
necessariamente legate all’apparato militare e non necessariamente
italiane.
Un giro di soldi impressionante, che ha in Sardegna solo la
sede operativa, ma per tutto il resto fa capo al Ministero e al Governo.
Nell’isola arrivano, quando arrivano, le briciole, sotto forma di
“compensazioni”, “indennizzi”, usati per lo più come strumento di
persuasione e di controllo sociale.
Le popolazioni locali sono state persuase che le attività militari sono la
loro unica possibile fonte di reddito in quello che altrimenti sarebbe un
deserto.
Questo non è vero. Esistono le alternative. La nostra terra stessa ci offre
mille opportunità diverse dalle esplosioni, dalle esercitazioni, dai test di
materiali pericolosi, dalle polveri velenose e dalle conseguenze che esse hanno
sulla natura e sulla salute umana.
I problemi ambientali e sanitaricausati dalle attività militari
in Sardegna sono emersi solo in parte e solo negli ultimi anni, grazie
all’opera tenace di associazioni e comitati, spesso isolati e ignorati, e
infine anche tramite le inchieste della magistratura.
Quel che sta emergendo basta a considerarlo un disastro di
proporzioni storiche. Di cui in tanti hanno pagato e stanno pagando le
conseguenze.
Ma sono reali e tangibili anche le conseguenze negative sul tessuto
sociale locale, vincolato alla monocoltura della guerra. Un tessuto sociale
reso fragile e precario, esposto a interessi e volontà su cui le comunità
interessate non hanno alcun controllo.
E sono reali e tangibili le conseguenze sul tessuto culturale
dell’intera isola, dato l’impatto molto forte del militarismo,
già a partire dalla scuola, sull’immaginario, le aspettative e la visione del
mondo dei sardi.
Le servitù militari hanno dunque un loro peso concreto, di indole sociale e
ambientale, ma ne hanno anche uno politico, morale e simbolico.
La Sardegna, che non è in guerra con nessuno, deve ospitare la
guerra sul suo suolo, nei suoi cieli e nei suoi mari per intere stagioni ogni
anno. Partecipa dunque, sia pure passivamente, alla grande industria
della morte, spesso come tappa decisiva di operazioni belliche che poi si
dispiegano, con tutta la loro portata devastatrice, su altre terre e su altri
popoli.
Senza dimenticare che in Sardegna si assemblano ordigni che poi vengono
venduti a stati belligeranti, in contrasto esplicito con la stessa legislazione
italiana.
I governi, la NATO, le grandi aziende che guadagnano dall’industria bellica
hanno senz’altro il loro interesse a usare la Sardegna in questo modo. Possiamo
arrivare a comprendere –in un’ottica geopolitica – le esigenze di alleanze
internazionali e di convenienza che spingono lo Stato italiano a mettere a
disposizione la Sardegna per tali attività, a cui l’Italia stessa prende
parte.
Possiamo comprendere questa logica, ma non dobbiamo per forza accettarla. La prospettiva
geopolitica non può comprimere e annullare i diritti civili e umani, né
prevalere sulla democrazia, sulla salute dei cittadini e sull’equilibrio
ecologico.
Ribadiamolo: nessuno ha mai chiesto il permesso e nemmeno il parere dei
sardi in proposito.
Dopo settant’anni e passa di asservimento militaredella
Sardegna, è lecito pretendere che esso sia messo radicalmente, pubblicamente e
democraticamente in discussione.
Sia per ciò che rappresenta, sia perché il mondo ci manda ormai chiari
segnali della necessità storica di mutare drasticamente i nostri paradigmi
produttivi, di consumo, sociali e dunque anche giuridici e politici.
Il modello economico dominante, votato al profitto privato,
alla competizione sfrenata, all’individualismo e alla legge del più forte,
incurante di qualsiasi conseguenza sulle persone, su interi popoli, sul pianeta
medesimo, ha negli apparati militari delle grandi e medie potenze un suo
elemento costitutivo.
Si può e si deve discutere dell’asservimento militare della Sardegna anche
dentro questa cornice più ampia, non più eludibile.
Appellarsi alla politica istituzionale non basta. Serve un’assunzione di
responsabilità collettiva, a partire da chi ha più strumenti per
comprendere quel che accade.
È del tutto inutile, come sappiamo per esperienza, affidarsi all’azione di
controllo e di interlocuzione della politica sarda. Tale azione non è mai stata
realmente esercitata. Non sistematicamente, né con l’attenzione e la severità
necessarie.
La politica italiana, dal canto suo, ha ben poco interesse per la
Sardegna, che costituisce una porzione lontana e marginale del
territorio statalee rappresenta meno del 3% della popolazione.
Dobbiamo essere coscienti di questa realtà, per spiacevole che appaia ai
nostri occhi.
Come sardi, in qualità di cittadini di uno stato formalmente democratico e
di un’Unione Europea formata da stati anch’essi nominalmente democratici, non
possiamo né dobbiamo continuare ad accettare questa situazione passivamente.
Dobbiamo fare in modo che essa sia conosciuta e riconosciuta come un problema
di democrazia, di giustizia e di salvaguardia ambientale dalle opinioni pubbliche
di tutto il continente e anche oltre lo spazio europeo.
Dobbiamo pretendere di sapere quel che si fa sul territorio sardo, di avere
voce in capitolo in questa come in altre questioni fondamentali e di vedere
riparati i danni ambientali e materiali causati dalle attività militari
(laddove ancora possibile).
Non è una pretesa esosa. È una pretesa democratica. Da
rivendicare davanti allo Stato italiano e alla comunità internazionale, in
tutte le sedi.
È il minimo che possiamo fare per cercare di recuperare voce in capitolo
sulla nostra sorte collettiva, oltre che una dose accettabile di dignità.
Non si tratta di sostenere posizioni ideologiche o di alimentare retoriche
politiche di parte. Non è nemmeno una questione di rivendicazioni
localiste.
Si tratta semplicemente diuna situazione intollerabile, ingiusta,
anti-democratica e pericolosa, che deve finire al più presto.
La Sardegna ha bisogno di una democrazia compiuta e pienamente dispiegata. Ha diritto a
decidere con piena competenza sulle partite strategiche che la riguardano. Ha
diritto alla pace. Ha diritto a un’economia sana, non assistita, non asservita
ad interessi costituiti esterni.
Chi abita e vive la Sardegna ha diritto di poter usufruire collettivamente
delle proprie risorse e del proprio territorio, liberamente e in relazione
proficua e solidale con i popoli e i territori vicini. Ha diritto alla
salute, ossia, prima ancora che alle cure, a vivere in modo sano.
Tutto ciò è incompatibile col perdurante asservimento militare di ampie
porzioni di territorio sardo.
La mobilitazione permanente di tante associazioni, gruppi di studio,
comitati e organizzazioni politiche interessate al tema ha consentito negli
anni la maturazione di una sensibilità diffusa in merito a questo problema.
Oggi è più alta che in passato.
Oggi sono meno efficaci le argomentazioni con cui i vertici militari
italiani e la politica, sia italiana sia sarda, giustificano questo stato di
cose insopportabile. Oggi è il momento di dare loro un segnale forte.
Un segnale libero, dignitoso, pacificamente intransigente, democratico,
collettivo.
Riappropriamoci del nostro status di cittadinie rigettiamo
quello di sudditi.
Ribadiamo la nostra ferma opposizione all’uso bellico del territorio sardo
e alle sue nefaste conseguenze. A partire dalla manifestazionein
programma il 12 ottobre 2019, presso il Poligono di Capo Frasca.
Così come abbiamo già fatto con la grande mobilitazione del 13 settembre
2014, a cui presero parte migliaia e migliaia di sardi, militanti,
organizzazioni, singoli, famiglie, anziani, bambini.
Poniamoci come obiettivo una Sardegna che sia terra di pace, di
accoglienza, di democrazia, di bellezza e di benessere diffuso.
Facciamolo insieme. Per l’oggi e per il domani.
PRIME/I FIRMATARIE/I
Omar Onnis
Frantziscu Medda “Arrogalla”
Michela Murgia
Giacomo Casti
Giulio Landis
Andrea Pau Melis
Stefano Puddu Crespellani
Angelo Monne
Ivo Murgia
Chiara Manca
Andrea Andrillo
Teresa Porcella
Francesco Leone
Josephine Sassu
Claudia Crabuzza
Francesco Piu
Alec Cani
Stefano Masili
Piero Marcialis
Anna Marceddu
Rossella Faa
Stefania Lai
Rossella Fadda
Giovanni Manunta Pastorello
Gianni Atzeni
Nicolò Migheli
Paolo Zucca
Claudia Aru
Tzoku
Nanni Falconi
Cristina Ariu
Giuseppe Mulas
Caterinangela Fadda
Marcello Fois
Cristina Sanna Passino
Francesca Biccone
Alberto Soi
Monica Corimbi
Alessandro Cauli
Sofia Inconis
Giacomo Pitzalis
Daniele Pani
Emiliano Longobardi
Francesca Mulas Fiori
Dr Boost
Giuseppe Serra
Francesco Trento
Mimmo Di Caterino
Giancarlo Biffi
Stranos elementos
Wu Ming
Chiara Effe
Silvano Tagliagambe
Frantziscu Medda “Arrogalla”
Michela Murgia
Giacomo Casti
Giulio Landis
Andrea Pau Melis
Stefano Puddu Crespellani
Angelo Monne
Ivo Murgia
Chiara Manca
Andrea Andrillo
Teresa Porcella
Francesco Leone
Josephine Sassu
Claudia Crabuzza
Francesco Piu
Alec Cani
Stefano Masili
Piero Marcialis
Anna Marceddu
Rossella Faa
Stefania Lai
Rossella Fadda
Giovanni Manunta Pastorello
Gianni Atzeni
Nicolò Migheli
Paolo Zucca
Claudia Aru
Tzoku
Nanni Falconi
Cristina Ariu
Giuseppe Mulas
Caterinangela Fadda
Marcello Fois
Cristina Sanna Passino
Francesca Biccone
Alberto Soi
Monica Corimbi
Alessandro Cauli
Sofia Inconis
Giacomo Pitzalis
Daniele Pani
Emiliano Longobardi
Francesca Mulas Fiori
Dr Boost
Giuseppe Serra
Francesco Trento
Mimmo Di Caterino
Giancarlo Biffi
Stranos elementos
Wu Ming
Chiara Effe
Silvano Tagliagambe
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