domenica 6 novembre 2022

Aspettando il midterm della guerra

 


articoli, video, disegni di Mike Whitney, Charles Kupchan, Enrico Tomaselli, Vittorio Rangeloni, Angelo Baracca, Pino Arlacchi, Noam Chomsky, Jonathan Cook, Movimento Nonviolento, PeaceLink, Centro di ricerca per la pace i diritti umani e la difesa della biosfera, Mario Agostinelli, Fulvio Scaglione, Manlio Dinucci, Mauro Biani, Domenico Gallo, Pepe Escobar, Stefano Orsi, Ascanio Celestini, Daniele Novara, Enrico Euli, Danilo Tosarelli



IL PIANO DI WASHINGTON PER FRANTUMARE LA RUSSIA – Mike Whitney

“L’obiettivo occidentale è indebolire, dividere e infine distruggere la nostra nazione. Stanno affermando apertamente che, dopo che erano riusciti a smantellare l’Unione Sovietica nel 1991, ora è il momento di dividere la Russia in molte regioni separate che si scanneranno a vicenda.” Il presidente russo Vladimir Putin

“Cheney ‘voleva vedere lo smantellamento non solo dell’Unione Sovietica e dell’impero russo, ma anche della Russia stessa, in modo che non potesse mai più essere una minaccia per il resto del mondo.’… L’Occidente deve completare il progetto iniziato nel 1991…. Fino a quando l’impero di Mosca non sarà rovesciato, tuttavia, la regione, e il mondo, non saranno al sicuro…” (“Decolonizzare la Russia,” The Atlantic)

L’ostilità di Washington nei confronti della Russia ha una lunga storia che risale addirittura al 1918, quando Woodrow Wilson aveva dispiegato oltre 7.000 soldati in Siberia come parte di uno sforzo alleato per annullare le conquiste della rivoluzione bolscevica. Negli Stati Uniti, le attività dell’American Expeditionary Force, che era rimasta nel Paese per 18 mesi, sono svanite da tempo dai libri di storia, ma i Russi continuano a ricordare l’incidente come un altro esempio dell’incessante intervento dell’America negli affari dei propri vicini. Il fatto è che le élite di Washington si sono sempre immischiate negli affari della Russia nonostante le forti obiezioni di Mosca. In effetti, moltissimi rappresentanti dell’élite occidentale non solo pensano che la Russia dovrebbe essere divisa in unità geografiche più piccole, ma il popolo russo dovrebbe addirittura accogliere con favore un simile risultato. I leader occidentali nell’Anglosfera sono talmente consumati dall’arroganza e dal loro stesso senso di diritto, che, in tutta onestà, credono davvero che la popolazione russa vorrebbe vedere il proprio paese frantumato in piccoli stati aperti allo sfruttamento vorace dei giganti petroliferi occidentali, dell’industria mineraria e, naturalmente, del Pentagono. Ecco come la mente geopolitica di Washington, Zbigniew Brzezinski, lo aveva riassunto in un articolo su Foreign Affairs:

“Date le dimensioni e la diversità (della Russia), un sistema politico decentralizzato e un’economia di libero mercato potrebbero liberare il potenziale creativo del popolo russo e delle vaste risorse naturali della Russia. Una Russia blandamente confederata, composta da una Russia europea, una Repubblica siberiana e una Repubblica dell’Estremo Oriente, troverebbe anche più facile coltivare relazioni economiche più strette con i propri vicini. Ogni entità confederata sarebbe in grado di sfruttare il proprio potenziale creativo locale, soffocato per secoli dalla pesante mano burocratica di Mosca. A sua volta, una Russia decentralizzata sarebbe meno suscettibile alla mobilitazione imperiale.” (Zbigniew Brzezinski,“A Geostrategy for Eurasia,” Foreign Affairs, 1997)

La “Russia blandamente confederata,” immaginata da Brzezinski, sarebbe una nazione sdentata e dipendente, che non sarebbe in grado di difendere i propri confini o la propria sovranità. Non sarebbe in grado di impedire ai Paesi più potenti di invadere, occupare e stabilire basi militari sul suo territorio. Né sarebbe in grado di unificare i suoi disparati popoli sotto un’unica bandiera o perseguire una visione “unita” positiva per il futuro del Paese. Una Russia confederata, frammentata in una miriade di parti più piccole, consentirebbe agli Stati Uniti di mantenere il loro ruolo dominante nella regione senza minacce o interferenze. E questo sembra essere il vero obiettivo di Brzezinski, come aveva sottolineato in questo passaggio nel suo opus magnum The Grand Chessboard. Ecco cosa aveva scritto:

“Per l’America, il principale premio geopolitico è l’Eurasia… e il primato globale dell’America dipende direttamente da quanto tempo e quanto efficacemente verrà mantenuta la sua preponderanza nel continente eurasiatico.” (“THE GRAND CHESSBOARD – American Primacy And It’s Geostrategic Imperatives”, Zbigniew Brzezinski, pagina 30, Basic Books, 1997)

Brzezinski riassume in modo sintetico le ambizioni imperiali degli Stati Uniti. Washington prevede di stabilire il suo primato nella regione più prospera e popolosa del mondo, l’Eurasia. E, per farlo, la Russia deve essere distrutta e spartita, i suoi leader devono essere rovesciati e sostituiti e le sue vaste risorse devono essere trasferite nella morsa ferrea delle transnazionali globali che le utilizzeranno per perpetuare il flusso di ricchezza da est ad ovest. In altre parole, Mosca deve accettare il suo umile ruolo nel nuovo ordine, di fatto come compagnia mineraria e del gas di proprietà dell’America

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scrive Charles Kupchan:

Sarà un brutto risveglio in Ucraina e nei paesi occidentali più guerrafondai! Perché non aver promosso delle consultazioni delle popolazioni locali PRIMA del l’ignobile invasione? Chi è responsabile di queste chiusure?

Charles Kupchan, professore di affari internazionali alla Georgetown University e ricercatore presso il Council on Foreign Relations, scrive su New York Times e chiede un accordo di pace basato sulla promessa dell’Ucraina di non aderire alla NATO e di rinunciare alla Crimea e alle aree filo-russe del Donbass. (Se l’Ucraina fosse stata disposta ad attuare gli accordi di Minsk, avrebbe mantenuto tutto il Donbass).

“La Russia nutre legittime preoccupazioni in merito alla sicurezza della NATO che apre negozi dall’altra parte del suo confine di oltre 1.000 miglia con l’Ucraina. La NATO può essere un’alleanza difensiva, ma mette in atto una potenza militare aggregata che Mosca comprensibilmente non vuole parcheggiare vicino alla sua territorio.”

“Se la difesa dell’Ucraina non vale gli stivali statunitensi sul campo, allora il ritorno di tutto il Donbas e della Crimea al controllo ucraino non vale la pena rischiare una nuova guerra mondiale”.

A maggior ragione, aggiungerei, dato che la stragrande maggioranza della Crimea è filorussa.

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