sabato 12 novembre 2022

Perché in un regime neoliberista è inutile informarsi - Francesco Erspamer

 

La guerra in Ucraina mi ha allontanato dai giornali, che ormai non fanno che amplificare le veline passate loro dal Pentagono tramite CNN o il New York Times, senza alcuno spazio per dubbi: gott mit uns (lo scrivo minuscolo perché si tratta del dio mercato) per cui chi si oppone alla crociata è un infedele e potenziale terrorista o, peggio, una minaccia all'edonismo obbligatorio e al consumismo compulsivo (di prodotti ma anche di idee, comportamenti, valori) che costituiscono ormai gli unici scopi esistenziali di milioni di italiani privi di memoria e di un senso di appartenenza a qualcosa (famiglia, comunità, Chiesa, Stato, patria, tutte indebolite da radicali e liberal) che trascenda la loro individualità.

 

Da tempo purtroppo mi sono accorto che è inutile informarsi: in un regime neoliberista verificare ed eventualmente contestare i «fatti» spacciati dall’apparato mediatico è vano; non perché non sia possibile dimostrarne, alla fine, l’eventuale mendacità, ma perché quando faticosamente ci si riesca, nel frattempo quei fatti già non contano più nulla per nessuno: il culto della novità e la pratica dell’innovazione continua, rapidissima e fine a sé stessa, ha come effetto l’oblio del passato, incluso quello recente, cancellato ancor prima che diventi passato da nuove pressanti novità che, sia pure per poche ore, assorbono tutta l’attenzione, peraltro scarsissima grazie a un sistematico addestramento, anche scolastico, alla superficialità.

 

La gente vive di «breaking news» (anglicismo e concetto importato dagli Stati Uniti), ossia di fatti che durano al massimo pochi giorni, poi vengono rimossi e non ha più alcuna importanza che fossero stati veri o falsi; come quando il mondo si indignò per le armi di distruzioni di massa del cattivo Saddam e diede mandato all’invincibile armada dei paesi democratici e politicamente corretti di distruggerlo; ma quando poi si scoprì che quelle armi non c’erano, si indignarono in pochissimi: per gli altri gli eventi di qualche mese prima erano altrettanto remoti e indifferenti delle guerre puniche. Tant’è che gli Stati Uniti non hanno perso un briciolo della loro credibilità e possono ripetere il giochetto accusando la Russia di avere armi di distruzione di massa in Ucraina.

 

E allora? E allora occorre ricostruire (ci vorranno decenni) le basi sociali e culturali che rendano di nuovo possibili le discussioni e valutazioni dei fatti: a cominciare da leggi che proibiscano le concentrazioni editoriali, che pongano drastici tetti alla pubblicità e dunque alla connivenza di potere finanziario e potere mediatico, che restituiscano alla scuola una funzione di educazione del cittadino e non di preparazione della mano d’opera gradita alle multinazionali per arricchirsi e rafforzare i loro monopoli. Nel frattempo, accettare che la politica si occupi prevalentemente di fatti (ossia di ciò che i media definiscono tali) è un errore; bisogna piuttosto analizzare gli ideali, gli obiettivi, i metodi, e appassionarsi per essi. Pensate che siano facilmente manipolabili? Molto meno dei fatti. Io per esempio vorrei una società socialista, in cui i ricchi siano tassati a sangue e le multinazionali ancora di più; in cui invece che di diritti individuali (incluso quello di drogarsi con la scusa della libertà d’espressione) si parli di diritti collettivi e anche di doveri, ossia di valori condivisi; in cui i settori essenziali (sanità, istruzione, trasporti, difesa, ordine pubblico e in misura significativa l’informazione) siano gestiti direttamente dallo Stato e non da miliardari generalmente americani. Mica pretendo che la pensiate come me e so bene che pochi lo fanno ma mi piacerebbe che l’accordo e il dissenso si fondassero sulle priorità assegnate ai principii e ai propositi, non sulla pretesa di sapere cosa sia «oggettivamente» giusto o sbagliato, meglio o peggio, vero o falso.

da qui

2 commenti:

  1. Grazie. Avevo bisogno di leggere riflessioni così...

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    1. pensavo al fatto che il criminale di guerra Tony Blair sia stato proposto per il Nobel per la pace, quando Francesco Erspamer scrive che per la scoperta della non esistenza delle armi di distruzione di massa in Iraq non si indignò quasi nessuno.

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