Nella
solitudine della cella, Dora María ha molto da ricordare, così le
sue interminabili ore di isolamento, silenzio e oscurità non siano vane.
Oppure, al posto dell’oscurità, dal soffitto arriva sulla sua testa la luce
accesa tutta la santa notte affinché non possa dormire sulla lastra di cemento
che ha per letto. Senza carta per scrivere, senza libri da leggere, senza
nessuno con cui parlare, la sua memoria si converte in un cammino infinito,
tanti passi fatti, tanta vita vissuta.
L’adolescente
che abbandonò gli studi di medicina a León perché i bambini denutriti si
sarebbero sempre riammalati visto che era la fame la causa del loro
male. Meglio cercare il modo di tagliarlo alla radice, quel male, levando
di mezzo la causa, il regime di oppressione e obbrobrio della famiglia Somoza.
Una ragazza
guerrigliera con i riccioli neri sotto il basco nero, riccioli che le vennero tagliati
affinché sembrasse un soldato della guardia nazionale di Somoza quando diventò la numero due del commando che prese d’assalto il Palazzo
Nazionale.
Quella
ragazza sembrava che non desse ordini né volesse darli quando fu alla testa
delle forze guerrigliere che presero la città di León. Eppure tutti le obbedivano: uomini
duri, maleducati, senza paura della morte, che si mettevano sull’attenti quando
passava. L’abito da lavoro le stava su come un’uniforme scolastica, perché non
perse mai la faccia da bambina, eccetto ora, quando vedo quell’immagine
digitale che la riprende come appare adesso, sottoposta al rigore del mangiare
e dormire male nella cella di isolamento, dalla quale viene portata fuori per
gli interrogatori nelle ore più impensate, a mezzanotte o all’alba.
Eppure vedo
i suoi occhi vivi e vigili e so che la sua mente continua a lavorare dentro di
lei, guardando al passato e immaginando il futuro. Non è certo che le tirannie si
ripetano per sempre, e nella sua testa cerca un avversario che affermi tale
insensatezza per poterlo contraddire. Sempre dialettica, Dora, pronta ad
aprirsi all’analisi, una parola dopo l’altra, un pensiero da cui parte la
riflessione per poi non fermarsi più.
Ci siederemo
faccia a faccia un giorno, presto, nel corridoio della sua casa di Ticuantepe. Mi accoglierà con una risata per
un mio scherzo e insieme rideremo per uno scherzo suo. Questa scena ce l’ho
nella testa mentre scrivo queste righe dalla mia solitudine di Madrid. E ce
l’ha anche lei nella sua, nella cella di Managua mentre continua a pensare e a
ricordare tutto ciò per cui è valsa la pena, nonostante tutto: la vita, la
giovinezza, la lotta, le interminabili marce in montagna, la clandestinità, il
rischio, il carcere.
Ne è valsa
la pena perché il futuro che c’è nella sua testa non si arrende. Qui
non si arrende nessuno, me lo dice lo sguardo di sfida nei suoi occhi in
quel viso smagrito.
Traduzione
di Comune-info
(1) Anche il
Comandante Uno della guerriglia sandinista, Hugo Torres, è stato incarcerato
dal “sandinismo” privatizzato del regime Ortega-Murillo ed è stato lasciato
morire il 12 febbraio scorso nel centro di tortura di El Chipote a Managua.
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