Il contrammiraglio Vittorio Alessandro ha dedicato 31
anni alla guardia costiera. Ha percorso tutto il cursus honorum di
un ufficiale, corredato dal comando di diversi porti. Si è anche occupato di
gestire le relazioni esterne del corpo, è stato in missione in Libano e ha
concluso la carriera da presidente del parco nazionale delle Cinque Terre.
Mentre mille persone sono bloccate su tre navi ONG, la
guardia costiera ne salva centinaia che sbarcano subito. Ci sono norme che
differenziano l’indicazione del porto in base alla bandiera della nave?
No. La differenza è che le motovedette sono collegate
a una regia istituzionale, mentre la nave straniera deve rientrare nel
coordinamento dell’area SAR [Search and rescue, ndr] in cui
opera. E quindi invocare di volta in volta un porto.
Le ONG dicono di chiedere sempre il coordinamento alle
autorità, ma queste non lo danno. Di fronte a un’imbarcazione in pericolo
dovrebbero attendere la risposta?
Non è una scelta. Il soccorso è un atto dovuto da
parte di chiunque si trovi lì, per volontà o caso. Va fatto nel più breve tempo
possibile per limitare i rischi. Nessuno ha mai messo in dubbio questa
certezza. Il tema del coordinamento arriva dopo: ho salvato delle persone e mi
rivolgo a qualcuno che coordini la mia attività, in particolare indicandomi
dove andare. Purtroppo è invalsa la prassi di non rispondere alle ONG.
Contravvenendo alle norme internazionali. Perché lo Stato deve rispondermi
anche se non è responsabile dell’area SAR in cui ho agito. Quella risposta
implica una responsabilità. Si crede di evitarla facendo finta di niente. Ma
non è così: non è un’opinione, è disposto dalle leggi.
Durante l’operazione Mare Nostrum le navi della
marina italiana salvavano persone in SAR maltese. Erano coordinate da La
Valletta?
No, svolgevano un’azione di assoluta marca italiana
che rispondeva a criteri diversi da quelli delle precedenti campagne di
soccorso. La marina si è spinta molto più a sud, verso la Libia. Non solo per
attuare uno straordinario programma di salvataggi ma anche per intercettare la
malavita che organizza i trasferimenti di migranti.
Quindi il centro di coordinamento della guardia
costiera (IMRCC) non le coordinava?
Le navi della marina rispondevano al ministero della
Difesa e allo stato maggiore. Quell’esperienza è durata un anno. Quando è stata
frettolosamente conclusa si è aperta la strada del soccorso tramite i
mercantili, coordinati da IMRCC anche fuori dalla SAR italiana. Le ONG sono
arrivate dopo. Oggi salvano meno persone di quanto facevano allora le navi
commerciali, che però si facevano pagare.
Quindi l’IMRCC può coordinare fuori dalla sua area di
competenza?
Certo, quando altri Stati non rispondono deve farlo.
Nelle aree marine non possono esserci buchi.
Il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi afferma che
le ONG salvano il 16% dei migranti che sbarcano in Italia. Siccome accogliamo
l’altro 84%, quelli devono andare altrove. C’è un nesso tra accoglienza e
soccorso?
Assolutamente no. La SAR è una vicenda che si svolge
in mare in un quadro di emergenza operativa. È come un interruttore: sì, salvo;
no, non salvo. Non esiste via di mezzo. L’accoglienza, invece, è un percorso
politico progettuale. Tutt’altra cosa. Se la Ocean Viking dovesse andare in
Norvegia, come sostiene Salvini, dovrebbe navigare 23 giorni. Senza contare
maltempo, rifornimenti di cibo, acqua e carburante. Impossibile con persone
provate da un viaggio pericolosissimo e da precedenti periodi di prigionia.
Non dare il porto è un’omissione di soccorso?
È una sottovalutazione dei gravi rischi che queste
persone corrono. L’omissione di soccorso è una fattispecie penale. Qui parliamo
di responsabilità politiche ed etiche, dei valori che reggono la cultura
marinara.
Giorgia Meloni ha definito quelle delle ONG “navi
pirata”. Tecnicamente è corretto?
Una nave pirata contravviene alle norme internazionali
ed esercita violenza su imbarcazioni e persone che solcano il mare. Non è
questo il caso. Qui parliamo di persone che soccorrono altre persone. Come in
terremoti, pandemie, guerre.
La Ocean Viking ha chiesto a Spagna, Grecia e Francia
di “facilitare l’assegnazione” del porto. Il diritto internazionale non prevede
lo sbarco in quello più vicino?
Il soccorso è un’emergenza complessa che comincia
quando prendo a bordo persone in pericolo e si conclude quando toccano terra.
In un porto vicino e sicuro. Deve essere vicino perché solo così si può evitare
ai naufraghi l’enorme fatica di una vicenda iniziata con il rischio di perdere
la vita. Parliamo di donne, bambini, persone vulnerabili.
L’articolo è tratto da il
manifesto del 4 novembre
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