1) Rotte di collisione
L’epoca contemporanea presenta una riedizione potenziata di quel sistema di
contraddizioni che ha caratterizzato il sistema capitalistico sin dagli inizi.
Il problema strutturale connesso al modo di produzione capitalistico è dato dal
suo carattere “monotonico crescente di tipo esponenziale”, ovvero dalla
sua tendenza intrinseca ad alimentare processi di “feedback positivo”, di
“interesse composto”, di crescita illimitata. Detto altrimenti: il meccanismo
del capitale, vivendo in funzione del proprio incremento, tende a spingere
tutti i fattori di produzione sempre costantemente in una medesima direzione,
creando perciò uno squilibrio sistematico. Il sistema spinge perciò la crescita
indefinita della produzione, la crescita indefinita dell’accumulazione di
capitale al vertice, la crescita indefinita dello sfruttamento delle persone,
la crescita indefinita dello sfruttamento della natura.
Questo è ciò che il vecchio linguaggio marxiano chiamava “contraddizioni
del capitalismo”. Ciascuna di queste tendenze entra in sistematico conflitto
con gli ordinamenti in equilibrio a livello sociale, umano, ambientale: cresce
la forbice tra vertice e base della piramide sociale, cresce sia il consumo che
lo scarto delle risorse, cresce la liquefazione degli organismi collettivi
(famiglie, comunità, stati, ecc) e delle identità personali. Mentre il mondo e
la vita possono essere concepiti sul modello organico dei sistemi a
“retroazione negativa”, che ripristinano e correggono le rotture
dell’equilibrio, il capitalismo opera come una proliferazione illimitata ed
incontrollata, letteralmente come un cancro ontologico.
Storicamente, visto che il primo a comprendere la natura del problema fu Marx,
si associa questa consapevolezza alla ricerca di soluzioni
“anticapitalistiche”, socialiste, comuniste o simili. L’idea dunque è spesso
che il “popolo” debba essere il primo soggetto di pertinenza di queste analisi.
Questa visione trascura un dato di realtà: a prendere massimamente sul serio le
analisi marxiane e postmarxiane sono da tempo i detentori del potere
all’interno del sistema, fortemente preoccupati di ciò che può minarne la
posizione: ad occuparsi principalmente dei problemi del capitalismo sono oggi i
capitalisti, i “padroni del vapore”.
2) I “padroni del vapore”
Quando si parla genericamente di “capitalisti”, “oligarchie”, “èlite”, ecc.
è inevitabile suscitare il sospetto di un’eccessiva vaghezza dei referenti. Chi
si intende? Si vorrebbe poter additare con nome e cognome il soggetto del
potere come si poteva fare nel mondo premoderno indicando il re, il papa,
l’imperatore, questo feudatario, quel cortigiano, ecc. Oggi però fare dei nomi
è una falsificazione della realtà. Per quanto le persone contino, il sistema ha
un’elevata capacità di sostituzione dei suoi membri ad ogni livello, vertice
incluso. Sapere chi è l’amministratore delegato di BlackRock o Vanguard non ci
porta più vicini ad una comprensione di chi esercita il potere, perché non è
come individui specifici che svolgono le proprie funzioni.
Un altro errore in cui non bisogna cadere è quello – alimentato
dall’ideologia del potere stesso – di supporre che l’esistenza di una pluralità
di “padroni del vapore” e non di un singolo “imperatore” garantisca in qualche
modo una diversificazione di interessi e progetti, e con ciò una qualche
“democraticità” al sistema (es.: “l’esistenza di capitalisti diversi implica
padroni di testate giornalistiche diversi e dunque pluralità dell’informazione”).
Questa è una grave ingenuità. Il giorno in cui l’amministratore delegato di
BlackRock dovesse riscoprirsi l’animo zapatista e la brama di sostenere la
liberazione del Chiapas, cesserebbe di essere amministratore delegato e
verrebbe sostituito (con buonuscita, beninteso). Le linee di fondo non possono
cambiare ed esse hanno un unico obiettivo indefettibile: la perpetuazione del
potere di chi lo detiene. Non bisogna neanche fissarsi su una specifica
ortodossia “capitalista”. Le oligarchie finanziarie non sono “capitaliste” per
amore ideale del capitalismo: non è una religione alternativa. Semplicemente
quella è la forma in cui si trovano a detenere il potere. Se lasciando cadere
questo o quell’altro aspetto ideologico si favorisce la conservazione e il consolidamento
del potere, nulla osta a farlo.
Ma alla fine chi sono questi “padroni del vapore”? La concentrazione
contemporanea di potere è qualcosa di inedito nella storia: qualche centinaio
di persone tengono le redini dei maggiori gruppi finanziari mondiali
(angloamericani) e di ciò che Eisenhower chiamò il “complesso
militare-industriale” americano. Questi gruppi hanno tutte le leve di potere
fondamentali, sono in grado di orientare le decisioni politiche negli stati che
li ospitano (USA in primis) e a cascata in tutti gli stati ad essi subordinati,
o con essi indebitati. Non esistono esattamente contropoteri simili al di fuori
del mondo occidentale, nella misura in cui riesca a sottrarsi all’influenza del
primo, giacché altrove il potere, anche quello più inflessibile, è comunque
dominato da istanze di matrice politica (nazionalismo in primis).
Queste élite apicali occidentali sono compattate dalla motivazione del
mantenimento di un potere a base economica ed hanno capacità di coordinamento
immensamente superiori a qualunque altro gruppo d’interesse: essi hanno luoghi
e modi di incontro istituzionali e non, hanno risorse tali da consentire una
pluralità di accordi e comunicazioni per vie molteplici, ufficiose o
clandestine.
Chi si aspetta di trovare l’elenco dei regnanti e degli eredi al trono per
poter progettare l’assalto al “Palazzo d’Inverno”, e in mancanza di questa
lista preferisce derubricare il problema a congetture o teorie del complotto, è
purtroppo complice inconsapevole del potere.
Sono rari i soggetti delle élite apicali che cercano la prominenza
pubblica, e quelli che lo fanno sono quei pochi, vittime dei propri stessi
ideologismi, che si sono convinti di svolgere operazioni “paternalisticamente
redentive” (i soliti nomi che girano di Schwab, Soros, Gates, ecc.). I più
intelligenti tra loro sanno bene che il loro potere non passa attraverso il
consenso pubblico, e dunque che palesarsi non li rafforza, ma li espone e
indebolisce.
Ci troviamo dunque di fronte al seguente quadro: un gruppo ristretto di
soggetti, avendo ottenuto un posizionamento eminente all’interno del
capitalismo contemporaneo, detiene il potere con livelli di concentrazione mai
esistiti prima, e si muove e coordina (al netto delle particolarità personali)
avendo come fine il mantenimento e consolidamento di tale potere. Al tempo
stesso, questo gruppo apicale ristretto ha perfetta consapevolezza delle
tendenze critiche implicite nel sistema di cui è al vertice. Dobbiamo smettere
di immaginare il capitalista come un viveur che si trastulla tra sex toys,
yacht e vini prestigiosi. A muoversi su questo orizzonte edonistico sono
tipicamente soggetti di medio cabotaggio, nuovi ricchi. Il capitale consolidato
(“old money”) forgia tipi umani diversi, che o hanno una formazione adeguata a comprendere
i problemi del sistema, o sono adusi a pagare think tank che svolgono questo
lavoro per essi.
3) Le prospettive delle élite apicali
Ciò che dobbiamo mettere perciò in primo piano è l’assunto che le linee di
contraddizione interna al sistema del capitale sono perfettamente note ai
“padroni del vapore”. Sono solo i loro garzoni di bottega liberisti che
continuano a creare cortine di fumo a colpi di “mercato perfetto”, “equilibri
generali a lungo termine” e altre besuaggini. Questa manovalanza intellettuale,
finanziata prodigalmente, occupa spesso posti accademici prestigiosi, ed ha la
funzione di fornire una spessa nebbia ideologica, vecchia di cent’anni, su cui
far disperdere le energie della critica. Si tratta di una difesa di fanti di
prima linea che si agitano per tenere la mira degli avversari lontana dal vero
fronte. I più sono troppo stupidi per sapere di avere una mera funzione di
bersaglio fittizio.
Che l’accelerata sostituzione dei lavoratori con macchinari crei uno
strutturale scompenso nel sistema produttivo, con un’eccedenza di prodotto
potenziale rispetto al consumo, e un eccesso di domanda impotente (consumatori
senza potere d’acquisto) rispetto ad un’offerta debordante, è del tutto
evidente e pacifico.
Che ciò configuri l’esistenza di una vasta popolazione superflua, esagerata
per essere utile come “esercito di riserva del capitale”, una moltitudine di
bocche da sfamare e di scontenti in ebollizione è altrettanto evidente.
Che un sistema a crescita infinita finisca per minare l’intero sistema,
ambientale e sociale, in cui viviamo è altrettanto chiaro.
Le linee di frattura primarie che cadono sotto l’attenzione delle élite
sono dunque: 1) frattura sociale (rischio di rivolte); 2) frattura ecologica
(rischio di destabilizzazione degli equilibri ambientali); 3) frattura
finanziaria (collasso terminale delle aspettative di crescita e con ciò dei
presupposti del sistema).
L’errore degli eredi della prima linea di analisi critica, quella marxista,
è di pensare che il riconoscimento di queste tendenze comporti di per sé
l’adesione ad una prospettiva di “superamento del capitalismo”, con la ricerca
di forme sociali che rifuggano dalla disumanizzazione, dall’alienazione, che
ripristinino un sistema in equilibrio (“da ciascuno secondo le sue capacità, a
ciascuno secondo i propri bisogni”).
Questa è un’altra grave ingenuità. Le élite apicali del sistema
contemporaneo conoscono le contraddizioni del sistema, ma questo non significa
affatto che intendano abbandonarlo. Non c’è niente di strano in ciò, nessun
blocco di potere nella storia ha mai lasciato il potere spontaneamente. Il
punto qui è comprendere bene quali sono le prospettive che si aprono
nell’ottica di questo potere, in quanto ciò ci può mostrare lo
spettro dei rischi sotterranei nell’epoca contemporanea (quei rischi che spesso
finiscono espressi confusamente, e perciò screditati, nella forma di “teorie
del complotto”.)
3.1) Prendere tempo con soluzioni di mercato
La prima prospettiva è la meno radicale e la più debole, ma è anche quella
che può venire dichiarata apertis verbis senza remore. Si tratta di far passare
l’idea che per ogni problema esiste in potenza una risposta che soluzioni
tecnologiche sul mercato saranno in grado di fornire. Questa idea viene
proposta ai quaquaraquà dei media come se fosse un’opzione realistica, mentre
di fatto serve solo a dilazionare alcuni processi, consentendo intanto
ulteriori accumuli di capitale. Così viene fatto balenare di volta in volta sui
media a gettone la prospettiva salvifica delle auto elettriche, o dell’energia
nucleare, o dell’euro 7, ecc. per rispondere ad un singolo e attentamente
selezionato problema ambientale (riscaldamento globale?). Con questa attenzione
selettiva si dà l’impressione che si tratti di risolvere sempre un solo
problema preminente, rendendo plausibile la ricerca di soluzioni tecniche; ciò
permette di prendere un po’ di tempo in un settore, di distrarre l’attenzione
pubblica fornendo una speranza, e di indirizzare le politiche pubbliche in modo
profittevole.
Naturalmente queste operazioni settoriali, condividendo la spinta
strutturale alla perenne innovazione e al perenne incremento produttivo,
continuano ad alimentare il processo di destabilizzazione sistemica. Nel
migliore dei casi soluzioni tecnologiche ad hoc possono tappare
provvisoriamente una falla, mentre contemporaneamente ne vengono aperte altre
dieci in forma di esternalità sistemiche.
3.2) Guerra come igiene del mondo
La seconda prospettiva è una linea di soluzione classica, di maggiore
radicalità, che consente di circoscrivere provvisoriamente i danni lungo
diverse linee di frattura. Quando si riesce a fomentare una guerra, essa
rappresenta, almeno con riferimento ai paesi coinvolti, una soluzione efficace,
in quanto simultaneamente: irreggimenta le popolazioni, bloccando la protesta
sociale; crea un’area di consumo frenetico (e dunque di rendita del capitale)
senza bisogno di conferire potere d’acquisto alla popolazione; rallenta gli altri
processi sociali, riducendo la “impronta ecologica” umana, e nel migliore dei
casi riduce anche la popolazione. Questa soluzione funziona idealmente tanto
meglio quanto più paesi sono coinvolti. Se un conflitto ha carattere
militarmente molto circoscritto, non ci sarà un’incidenza sulla numerosità
della popolazione, ma sarà comunque efficace sotto gli altri aspetti
(irreggimentazione e disciplinamento sociale + drenaggio economico in un
“potlatch” postmoderno, dove vaste risorse vengono bruciate per muovere la
macchina dei consumi).
Una guerra mondiale durevole e a basso voltaggio sarebbe in effetti una
soluzione perfetta: essa consentirebbe idealmente: 1) di abbattere ogni
resistenza o rivolta sociale nel nome della santa opposizione al nemico
esterno, 2) di concentrare le energie in una produzione infinita rivolta ad un
consumo infinito, che ignora ogni saturazione di mercato; 3) di ridurre
progressivamente la popolazione.
Tuttavia questa prospettiva è altamente instabile e non facile da
manipolare neppure per le élite apicali, per quanto potenti. Provocare un certo
numero di conflitti in aree già in sofferenza e politicamente deboli è
relativamente facile, ma una condizione di guerra mondiale durevole e a basso
voltaggio non è direttamente orchestrabile, e rischia continuamente o di
spegnersi, o di creare un’escalation nucleare, in cui finirebbero per essere
coinvolti in qualche misura anche le élite apicali.
3.3) Società del controllo
La terza prospettiva è da tempo manifesta e si concentra tutta su una trasformazione
del modello ideologico liberale in un modello autoritario, senza cambiarne di
una virgola l’apparenza. La società contemporanea occidentale (ma non solo
occidentale) è più normata, legificata e sorvegliata di qualunque altra società
della storia. Non solo esistono rispetto al passato più leggi, e più
dettagliate, su aree di comportamento che nel mondo premoderno non erano
oggetto di attenzione legislativa, ma la capacità tecnologica accresciuta
consente livelli di implementazione e controllo di questa norme assolutamente
inediti.
Posto che ogni potere ha un incentivo intrinseco ad aumentare le proprie
capacità di controllo, nel mondo liberale ciò avviene in modo paradossale,
sulla scorta della pretesa di operare per una “promozione della libertà”. Per
poter trasformare un’ideologia della libertà in ideologia del controllo il
neoliberalismo fa sistematicamente leva sull’idea di “vittimizzazione” o
“vulnerabilità” di un gruppo. Una volta scelto un certo gruppo come
potenzialmente offeso, violato nei propri diritti naturali o umani, si può
procedere con atti coattivi nel nome delle “vittime”, magari per prevenirne la
potenziale vittimizzazione. Questo meccanismo può essere fatto funzionare tanto
all’interno di un paese che all’esterno. Si può intervenire coattivamente sulla
libertà di espressione con la scusa di “tutelare la sensibilità” di questo o
quel gruppo, si può intervenire con medicalizzazioni coatte (o certificati
verdi) per “tutelare i fragili”, esattamente come si può intervenire come “polizia
internazionale” per “difendere i diritti umani” in questa o quell’area del
mondo. La stessa logica consente di disseminare di telecamere di sorveglianza
qualunque luogo pubblicamente accessibile o di violare ogni comunicazione
privata nel nome di una “tutela della sicurezza”, ecc.
È importante essere allertati del fatto che oggi le tecnologie di controllo
disponibili sono straordinariamente sofisticate e che una volta rotto l’argine
della giustificazione legale le capacità di sorvegliare (e sanzionare) sono
pressoché illimitate.
L’interesse delle élite apicali per un sistema totale di sorveglianza,
controllo e sanzione è autoevidente. Esso viene e verrà sempre presentato come
operazione di “difesa del vulnerabile”, mentre di fatto è un modo per bloccare
alla radice la possibilità che chi non ha il potere diventi una minaccia per
chi lo ha.
3.4) Depopolamento
Mentre sorveglianza e controllo possono disinnescare il pericolo
rappresentato dal malcontento delle masse (malcontento che finché è a basso
livello può essere contenuto con semplici sistemi di distrazione e
intrattenimento), il problema rappresentato dall’eccedenza di popolazione
economicamente “inutile e dannosa” richiama un’altra tentazione, che non deve
essere sottovalutata semplicemente perché suona “scandalosa”. Paesi privi di un
impianto ideologico liberale, come la Cina, possono permettersi di trattare
questioni di controllo demografico in modo esplicito, come è accaduto con la
“politica del figlio unico”. Nell’Occidente liberale questa possibilità di
trattazione aperta è preclusa in quanto richiederebbe di mettere in primo piano
problemi imbarazzanti (a partire dai “consumi vistosi”) per le élite. Ma questo
non significa che la tentazione di intervenire dall’alto non sia ben presente.
Su questo tema è impossibile andare al di là di congetture e illazioni, ma
sottovalutare la tentazione di un utilizzo clandestino di soluzioni
tecnologiche per limitare la fertilità o per incrementare la mortalità
(preferibilmente per i soggetti non più in età lavorativa) sarebbe sbagliato.
3.5) Neofeudalesimo o nazismo 2.0?
Tutte le “soluzioni” precedenti rimangono all’interno della cornice
capitalista, con i suoi meccanismi e le sue contraddizioni interne. Questo
significa che, in buona sostanza, si tratta sempre di spinte miranti a
guadagnare tempo rallentando certi processi, o rimettendo indietro le lancette
dell’orologio storico. Una soluzione radicale di uscita dal modello capitalista
da parte del potere capitalista è immaginabile solo con la promessa di cristallizzare
i rapporti di potere correnti (un’uscita in direzione di una democrazia
socialista non risulta perciò particolarmente gettonata).
In una cornice di capitalismo finanziario come quella contemporanea le
concrezioni di potere possono essere labili, perché una certa capitalizzazione
dipende innanzitutto da aspettative di consumo. Chi detiene grandi liquidità
possiede un potere d’acquisto potenziale che dipende integralmente dalle
prospettive di disponibilità dei beni e dalla fiducia pubblica nei titoli di
credito. Questo potere è lo stesso esercitato da una banconota, un oggetto
virtuale che può divenire carta straccia nel momento in cui non la si ritenesse
più capace di mediare la fornitura di beni. Per questo motivo, per la necessità
di curarsi delle apparenze, delle aspettative, il capitalismo finanziario deve
dedicare particolare attenzione al governo degli apparati mediatici. Ma in ogni
caso, ci sono limiti al governo delle aspettative, giacché i meccanismi stessi
di competizione economica generano costantemente sommovimenti destabilizzanti.
Nel mondo capitalista il potere “liquido” è assai più potente (grazie alla
sua massima mobilità e trasformabilità) di ogni potere “solido” (la proprietà
di beni reali). Tuttavia i beni reali conferiscono una stabilità di lungo
periodo che il capitale liquido non consente. Perciò la prospettiva di
un’eventuale uscita “post-apocalittica” dal modello capitalista con le sue
contraddizioni è pensabile, per le élite apicali, solo nei termini di un
passaggio ad una sorta di “neofeudalesimo”, in cui il potere liquido si
ritramuta in proprietà materiali (terre, immobili, armamenti, tecnologie,
ecc.).
Emerge qui tuttavia un problema che modifica completamente il quadro. Il
feudalesimo storico funzionava sulla base di un sistema di
legittimazione (inclusa la legittimazione alla proprietà) dipendente
dalla tradizione e dalla religione. Il mondo
odierno ha spazzato via entrambi questi fattori come conferitori di
legittimità. Dunque la questione che qui si apre è: come potrebbe funzionare un
sistema di potere e di legittimazione della proprietà in un “neofeudalesimo”
privo di tradizione e di religione?
Il potere nella storia dell’uomo è stato sempre, anche nelle culture più
autoritarie, determinato dal riconoscimento medio della legittimità del
potere. Finché i più riconoscevano o almeno non contestavano la legittimità di
un potere, esso rimaneva fungente. Questo potere funzionava trasmettendosi con
continuità, per passaggi intermedi, dal vertice alla base (dal re ai vassalli,
dai feudatari ai cavalieri ai contadini ai servi.) Questa forma di potere ha
dunque comunque sempre un aggancio umano, nella sfera del riconoscimento. Ma se
viene meno la matrice stessa della legittimazione, come può esercitarsi il
potere in modo capillare, dal vertice alla base? In un sistema capitalistico la
ricchezza è potere senza necessità di riconoscimento perché si riconosce il
potere come potere d’acquisto, garantito dal sistema economico. Se salta il
sistema, salta quella forma di riconoscimento di potere impersonale. Come
potrebbe funzionare un nuovo potere senza riconoscimento di legittimità?
Tecnicamente la risposta è semplice: dovrebbe soppiantare il potere del
“mezzo” rappresentato dal denaro con un altro mezzo esterno adeguato allo
scopo. In concreto la prospettiva più plausibile è che ciò avvenga con la
manipolazione di mezzi atti ad incutere paura, una paura che i pochi devono
essere in grado di instillare direttamente nei molti.
Una prospettiva del genere era inaccessibile in passato, ma il progresso
tecnologico nutre da tempo costantemente questa possibilità, cioè la
possibilità, attraverso il potenziamento degli effetti, che un centro
circoscritto si imponga alla moltitudine. Una spada poteva imporsi magari a
cinque persone disarmate, una pistola a dieci, una bomba a mille; e con
l’aumentare tecnico del potere è diminuita anche la difficoltà a usarlo: è più
facile oggi far scoppiare una bomba che un tempo maneggiare una spada. Ma non
dobbiamo immaginare la potenza tecnologica semplicemente come esercizio della
forza bruta. Pensiamo piuttosto ad una situazione attuale come l’esistenza di
sementi geneticamente modificate che non permettono di ripiantare i loro semi
per il raccolto successivo, vincolando all’acquisto delle sementi stesse da un
fornitore centrale. Le linee di fondo di questo meccanismo di potere è
semplice: si tratta di rendere strutturalmente dipendente un gruppo, per la
propria stessa esistenza, dall’accesso ad una tecnologia non autonomamente
riproducibile, ma somministrata centralmente. Di meccanismi del genere se ne
possono inventare numerosi, basta rendere le persone dipendenti da un bene
tecnologicamente scarso e non riproducibile autonomamente (una terapia?). Un
meccanismo del genere può consentire di principio un esercizio del potere in
forma diretta, “neofeudale”, senza bisogno di meccanismi di intermediazione e
legittimazione.
Un’osservazione conclusiva: parlare qui di “neofeudalesimo” è
un’espressione fuorviante. Siamo di fronte ad un sistema in cui, sì, avremmo a
che fare con una società gerarchica chiusa, come il feudalesimo, fondata su
poteri e proprietà reali, e non liquidi, ma tutti gli altri aspetti sono
profondamente diversi e non in senso migliorativo. Sarebbe un mondo in cui una
casta superiore esercita il proprio potere attraverso la paura, dopo aver
sostituito, come fonte ultima di autorità, ciò che nel feudalesimo era Dio, con
la Tecnologia. Sarebbe una società del comando diretto, non intermediato da
alcuna adesione ideologica, una società che venera l’efficienza tecnica e
concepisce la subumanità al di fuori della casta superiore come materia prima
di cui disporre a piacimento.
Questo quadro in effetti non ricorda il feudalesimo, ma un’esperienza a noi
molto più vicina, cioè il nazismo. Il nazismo, infatti, al di là delle proprie
tinteggiature esoteriche e paganeggianti, era essenzialmente venerazione della
forza diretta, attribuita ad una casta superiore, ed esercitata con rigorosa
efficienza produttivistica, concependo l’uomo stesso come mezzo manipolabile (eugenetica)
o risorsa asservibile (KZ).
Potremmo così scoprire un bel dì che quella dozzina di anni in cui il
nazismo ha fatto la sua breve e ingloriosa comparsa nella storia sono stati
solo la prima sperimentazione di istanze e tendenze destinate ad acquisire
tutt’altra solidità un secolo più tardi.
link fonte: https://www.ideeazione.com/lera-delle-distopie/
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