Non alla fine della Seconda guerra mondiale, l’Italia è diventata una colonia, non è stato lo sbarco degli “alleati”, non sono tutte le basi NATO che “ospitiamo” a fare di noi una colonia.
Noi siamo una sorta di laboratorio, siamo cavie da esperimento e chi usa i vecchi
paradigmi interpretativi novecenteschi, per analizzare questo inoppugnabile
dato di fatto, è totalmente fuori pista: quei paradigmi sono obsoleti, perché
parte del retaggio ideologico stantio ed inutile che li ha prodotti.
Il colonialismo prebellico è stato un colonialismo soprattutto di rapina
di risorse territoriali, non serve
ora fare una disamina storica che chiunque può effettuare andandosi a studiare
uno qualsiasi tra le centinaia dei libri dedicati all’argomento, al contrario, il colonialismo a cui siamo
sottoposti è di ben altra natura, è un colonialismo inverso, noi siamo una
colonia di tipo diverso, lo
siamo in modo più profondo ed, in parte, ormai radicato.
A spiegarlo
diventano inutili e fuorvianti anche le farneticanti elucubrazioni
pseudostoriche sull’origine del nostro essere colonia; la nostra colonizzazione è iniziata ben prima
di essere una nazione, uno stato sovrano che, forse, non siamo mai stati
totalmente: pedine, come
altri, in uno scacchiere internazionale, a geometria molto variabile, a cui giocatori occulti, hanno suggerito e
guidato mosse che si sono trasformate in storia. La storia dei perdenti, fatta di
vicende tutt’ora semi-occultate, perché nel momento stesso in cui si cerca di
parlarne e di far luce su certi accadimenti, si abbatte su colui che lo fa la
scure del complotto che tutto fa tacere se non fosse che, come ricorda Il
Pedante, il complotto è, oggi, la più lucida delle letture della realtà…
Ma andiamo
con ordine.
C’era tutto l’interesse affinché si creasse un mondo bipolare, il bipolarismo è da sempre il
marchio di fabbrica del sistema politico statunitense: due blocchi, democratici
e conservatori, che recitano, a soggetto, giocando ad opporsi l’un l’altro,
senza esclusione di colpi, sul palco di una finzione democratica da
esportare. Il sommo divide et
impera, da cui discendono, come in un diagramma ad albero, tutti gli altri. Due blocchi dunque, reali o
figurati, la cui perpetua guerra,
altrettanto reale o figurata, ha funto e funge da stabilizzatore, in un perpetuo equilibrio normalizzante che
recide alla base qualsiasi spinta portatrice di un
qualsivoglia cambiamento.
Tutto deve e può cambiare affinché tutto resti uguale, purché nulla cambi.
Gli Stati Uniti, ma
potremmo parlare in linea di massima e senza banalizzare, di anglosfera, esportano “democrazia”, o meglio esportano il
loro modello ideologico, il loro modello politico, sociale e culturale: il vero
dominio mondiale è questo. Non hanno colonie, nel senso novecentesco del
termine, perché hanno colonizzato il mondo.
Interi continenti invasi e conquistati da quello stesso modello, laddove ci sono vere sacche di
resistenza, laddove ci si oppone
all’invasione, allora la guerra reale scende in campo, perché la
mondializzazione non ammette nemmeno la più piccola eccezione.
The WinnerTakes It All non è un simpatico motivetto musicale da fischiettare sotto la doccia
o da canticchiare in macchina, è
lo spirito del nostro tempo, lo Zeitgeist che tutto avviluppa in un allegorico,
ma anche reale, abbraccio distruttivo che lascia dietro di sé le macerie
fumanti di civiltà distrutte, rase al suolo.
Lo spirito dei vincitori che devono mostrare che tutto è fallace, che
l’ideologia non esiste perché, là dove è stata applicata essa ha fallito: ha
fallito il socialismo reale, ha fallito il nazional socialismo…ammesso e non
concesso che questi siano mai stati realizzati. Ancora una volta non mi impelagherò in una, al
momento, inutile analisi storico-teorica dell’argomento, perché andrei fuori
tema ed il lettore si focalizzerebbe su un falso obiettivo, distraendosi.
Questo fomenterebbe un’altra inutile divisione.
I vincitori scrivono e riscrivono, come in 1984, la storia, piegandola tanto alla loro
volontà, quanto alle loro necessità e, per farlo usano qualsiasi
mezzo: producono documenti, occultano, falsificano… la realtà deve diventare illusoria, fumosa,
ambigua e dalle nebbie deve emergere solo ciò che Pier Paolo Dal Monte
definisce il mondoide.
Vicende
reali, create a tavolino o spontanee, non importa, diventano funzionali allo
scopo, se ne falsificano i fini, se ne crea una narrativa ad hoc, dato il
monopolio dei mezzi di comunicazione, se ne celano le origini o gli sviluppi…
Tutto purché quel che è, sembri
quel che deve necessariamente essere.
Uno spettro
si aggirava per l’Europa, bene nel momento in cui questo spettro cerca di
incarnarsi, si farà in modo di agire così che si dimostri a tutto il mondo che
è inadeguato, non tanto economicamente, l’economia è un epifenomeno
sopravvalutato, ma culturalmente, socialmente, politicamente…
Nessuno
gioisca, perché la stessa identica sorte, tramite modalità diverse, è toccata
anche al nazionalismo, bestia altrettanto pericolosa per chi vuol distruggere
ogni brandello di sovranità ed indipendenza….
La fine della storia è questa. La fine della storia avrebbe dovuto
coincidere con la vittoria totale del modello liberale, il modello statunitense…
No, signori, il giorno della fine non ci servirà l’economia.
Il giorno della fine sarà necessaria la civiltà, quella civiltà che,
almeno nel nostro occidente, vanta più di duemila anni di storia, quella
civiltà che deve disintossicarsi da tutte le scorie e le contaminazioni
colonizzanti che lo hanno reso terra di nessuno, dove il nulla regna, dove la
spiritualità è morta per lasciare il posto ad indefinite ricette di finta
felicità immanente e precarizzante.
Un occidente ucciso da un cieco consumismo impoverente che ci obbliga a girare in un
SUV, pagato a rate, anche tra le minuscole strade di città medioevali. Un misero stile di vita che ci
chiede di mangiare, possibilmente in macchina o in piedi, della merda purissima
che ha la forma di un cibo reale, noi che siamo i depositari di una delle
culture culinarie tra le più elevate al mondo ci siamo prostrati
all’immondizia, al cibo spazzatura.
Un colonialismo che vuole che la nostra lingua si impoverisca sempre di
più affinché il nostro stesso pensiero si impoverisca ed allora scompare il
congiuntivo, il modo dell’espressione dell’interiorità, compaiono gli
anglicismi semplificanti e soppiantano la complessità linguistica, scompare il
futuro, sostituito sempre più frequentemente dal presente…nulla accade per
caso: il linguaggio origina il
pensiero, tanto più è povero, misero, semplicistico, tanto più lo sarà il
nostro pensiero.
La società statunitense è disgregata, apolide, meticcia, senza radici
comuni, priva di storia, come
scrisse Oscar Wilde «L’America è l’unico paese che è passato dalla barbarie
alla decadenza senza aver mai conosciuto la civiltà».
Ci sono
voluti anni ma, finalmente, anche noi siamo sulla retta via!
Disgregati in monadi, singoli individui al massimo accompagnati nelle nostre vite da qualche
animale domestico e pieni di
psicopatologie, reali o presunte, apolidi perché il tessuto sociale è stato polverizzato grazie
anche ad una demolizione calcolata del tessuto economico su cui si basava il
nostro paese, meticciati
forzosamente dagli anni novanta, e non solo a causa degli sbarchi,
fenomeno massiccio recente, ma da assurdi programmi pseudo-culturali legati
alla cloaca sinistrata universitaria e scolastica in generale…restavano le radici culturali, la nostra
storia: questa operazione è stata più lenta, ha richiesto più tempo per essere
portata avanti.
Cancellare i
nativi americani è una cosa, cancellare
la culla della civiltà occidentale è ben più arduo compito. Non
bastano certo quattro gomme del Ponte, qualche sigaretta o una manciata di
telefonini e computer con la mela!
Questa è la conquista delle conquiste, la madre di tutte le distruzioni: rendere inutile il passato, sradicare la storia dalla nostra esistenza,
sostituire la realtà reale con quella fantasma, addestrarci, formarci e conformarci
ad essa, ubbidienti, mansueti e spaventati ma entusiasti, è stata una
lunga marcia, progettata in ogni singolo passo e portata avanti con assoluta
attenzione, quasi maniacale, anche ai più insignificanti dettagli. La trasformazione di una civiltà richiede
tempo e metodo.
Politicamente è bastato trasformare le istituzioni in contenitori privi
di ogni valenza e vincolarli ad una sovrastruttura fantoccio, poi distruggere qualsiasi retaggio di opposizione, fosse anche
apparente, e la relativa classe politica che la incarnava, mani pulite docet,
in seguito si doveva iniziare a toccare i diritti per cui ci eravamo battuti,
credendoci fermamente: per mille
diritti fondamentali abrogati, tolti, soppressi, ne hanno creati altrettanti
falsi ma tanto simili al vero da farli apparire come conquiste inestimabili.
Creare una
falsa opposizione bipolare, su modello statunitense, ridurre il numero dei
parlamentari, svuotare le elezioni di qualsiasi possibilità di reale
rappresentanza, grazie a l’opera maestra del nostro meraviglioso sistema di
voto, sono solo la conseguenza di questo percorso che, per essere attuato
doveva passare per un Parlamento riempito di utili, insignificanti idioti
presentati come progresso della politica, voce diretta del popolo.
Tutte le altre emergenze che si sono avvicendate sono solo servite a
distrarre, dividere, impoverire, controllare, rassegnare, impaurire,
demotivare, fragilizzare, addestrare, abituare, umiliare…
La massa ha seguito ed eseguito.
La colonizzazione della culla della civiltà occidentale è quasi compiuta,
restano solo opere di consolidamento e rifinitura.
Ma cosa accade in uno dei momenti più gravi della nostra storia? Si prende coscienza e si inizia un’opera di sensibilizzazione che possa,
seguendo un lungo cammino disseminato di ostacoli, portare ad una lenta
ricostruzione di ogni ambito della Civiltà? No, si distrugge, invece a suon di puristi vagiti pseudo
intellettuali, pseudo politici, pseudo culturali. Da alleati si diventa avversari, anzi, nemici e così facendo si divide
ancora di più, si opera una sorta di molecolarizzazione, utile solo al sistema
che, sentitamente, ringrazia per questo aiuto insperato.
Occorre fare attenzione, a tal proposito, alla differenza che c’è tra
collaborare, allearsi ed unirsi, perché, evidentemente, non sono la stessa cosa, ed è
esattamente in questa differenza fondamentale che dobbiamo trovare una risposta
alla drammatica situazione attuale.
Destristi e sinistrati impantanati ancora in inutili diatribe, lì ad osservarsi il pene per
stabilire chi ce lo abbia più lungo, persi in onanistiche disquisizioni sul sesso degli angeli,
pronti a sputare su chiunque si muova…
Intanto, il nuovo colonialismo procede, inarrestato, il proprio cammino
distruttivo.
È il momento di prendere coscienza della realtà e rimboccarsi le maniche,
collaborando con chi condivida la nostra stessa visione del mondo e possieda
degli strumenti per interpretare la complessità del reale.
Non guru, imbonitori da fiera o sfavillanti personaggetti da talk show,
ma uomini e donne che abbiano visione politica, cognizione di causa e idee…
C’è molta strada da fare e molto da ricostruire perché, malgrado tutto, esistono ancora barlumi di civiltà da cui
partire.
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